At 11,27–30; 12,24–25; 13,1–3. L’inizio della missione paolina
- Koinonìa e missione universale
Un gruppo di profeti viaggia da Gerusalemme fino ad Antiochia. Come abbiamo già visto per Barnaba la profezia è un carisma che è dono di Dio e non è frutto dell’imposizione delle mani da parte dell’autorità: la parola del profeta può avere molti frutti, tra cui incoraggiare nelle prove, consolare, predire. Il legame tra Gerusalemme e Antiochia non è dunque caratterizzato solo da una responsabilità ministeriale da parte della Chiesa madre, ma anche da un flusso di carismi, che arricchiscono Antiochia. La risposta della giovanissima Chiesa di fronte alla profezia di Agabo è la manifestazione concreta di questa koinonìa (comunione ecclesiale) che si è stabilita con Gerusalemme. La colletta, di cui Paolo si farà portatore ben oltre i bisogni di questa carestia, è vista già qui come il dono materiale delle Chiese della gentilità in risposta al dono della fede ricevuto dalla Chiesa giudeo-cristiana di Gerusalemme (cfr. Rm 15,25-27). Tale colletta viene consegnata agli “anziani” (presbiteri) di Gerusalemme, prima interessante indicazione di un incarico ministeriale, distinto da quello degli Apostoli, a capo della Chiesa madre.
La comunione ecclesiale è un fatto insieme concreto e spirituale, che mostra il disegno di Dio in atto (Giudei e pagani insieme, che fanno della loro differenza un dono reciproco). L’elezione del popolo di Dio è per tutti i popoli e il loro ingresso nella salvezza porta a Gerusalemme le ricchezze delle nazioni (cf. Is 60,1-5). Tale comunione è insieme anche apertura universale della Chiesa, a tutti i tempi e tutti i luoghi. La Chiesa di Antiochia si mostrerà pronta a donare due dei suoi più autorevoli membri, Paolo e Barnaba, per una missione che oltrepassa i suoi confini territoriali.
La diaconia materiale di Paolo e Barnaba per Gerusalemme è il riflesso del dono spirituale ricevuto. Alla luce di questa dinamica spirituale si può immaginare che ogni atto di servizio “materiale” nella Chiesa sia il riflesso di un dono spirituale che viene scambiato. Anche il servizio ai poveri può essere visto come un ricevere da loro il dono di Cristo povero. Questa riflessione può forse aiutarci ad approfondire il senso del servizio sociale nella Chiesa (cf. Rm 15,25-27).

- Presbiterio e diakonia, luogo di profeti e dottori
Dopo aver narrato l’arresto di Pietro ad opera di Erode, la sua miracolosa liberazione e la morte di Erode, Luca, con un brevissimo sommario accenna al fatto che la Parola di Dio cresceva e si diffondeva, senza che nessun potere umano potesse ormai ostacolarla (12, 24). In questo contesto di persecuzione e di crescita della Parola Paolo e Barnaba avevano compiuto il loro servizio (diakonìa) verso la Chiesa di Gerusalemme e, avendo preso con se Giovanni Marco, erano tornati ad Antiochia. Questa comunità viene nuovamente descritta da Luca come retta da profeti e dottori. Preghiera collettiva e digiuno sono la modalità con cui la Chiesa si pone in comunicazione con Dio per fare la Sua volontà ed è in questo contesto che interviene nuovamente lo Spirito Santo, che designa Paolo e Barnaba per l’opera alla quale sono stati chiamati e che il lettore scoprirà essere la grande opera di evangelizzazione delle genti.
La conoscenza e la profezia sono due polarità entrambe necessarie e spesso compresenti in ciascuno di questi leader della comunità antiochena. Infatti una conoscenza senza profezia manca di orecchi per ascoltare le indicazioni concrete e spesso improvvise dello Spirito. Ma anche una profezia senza conoscenza è pericolosa, perché rischia di perdere di vista il disegno complessivo della missione ecclesiale connessa alla profondità del mistero di Cristo attestato dalle Scritture. Profondità di visione e capacità di intuire i passi concreti da fare e le persone da promuovere: questo è il mix che la polarità di profeti e dottori può assicurare ad una Chiesa in cammino. Questa piccola comunità di uomini può costituire un modello per il presbiterio diocesano, chiamato a vivere gli “spostamenti” al suo interno in uno stile di condivisione, corresponsabilità, discernimento comunitario e in uno stato di tensione missionaria.
La comunione di profeti e dottori offre un punto di vista privilegiato sul discernimento comunitario dello Spirito. Esso richiede una “conversione”: digiuno e culto eucaristico sono due simboli che indicano la “scoperta” dell’amore di Dio per me in Cristo, con segni di cambiamento interiore ed esteriore per rendere tale amore più operativo nella mia vita. Essi indicano la disponibilità a servire il Regno di Dio e rendono possibile il linguaggio dello Spirito nella comunità. (1Cor 12,4-11)
- Discernimento pastorale e missionario
Questa comunità di profeti e dottori, in costante tensione missionaria, è mossa a discernere continuamente la volontà di Dio perché il Vangelo si diffonda secondo il Suo progetto e non secondo impostazioni e modalità puramente umane. Non c’è un disegno pastorale preventivato nei dettagli, e nemmeno vengono faticosamente messi per iscritto molti orientamenti di fondo della missione. Semplicemente c’è l’attitudine a coltivare uno spirito pronto all’ascolto dello Spirito e al discernimento della volontà di Dio. Questa coltivazione, questa ascesi comunitaria non avviene se non attraverso gli strumenti della preghiera e del digiuno. In questo caso si tratta della preghiera comunitaria del culto, molto probabilmente dell’Eucarestia. Il disegno missionario parte anzitutto dalle persone e da alcune esperienze teologicamente fondate e costruisce gradualmente il progetto a partire dai frutti che queste prassi iniziali mostrano. Nel caso di Paolo si tratta di muoversi nei centri urbani dell’Asia minore iniziando la predicazione del Vangelo nelle sinagoghe, a partire cioè dalle diverse comunità ebraiche della diaspora, coinvolgendo proseliti e timorati di Dio. Successivamente, dopo l’accettazione o il rifiuto di questi ultimi, la predicazione si sposta verso i pagani. Questo stesso modello viene riproposto successivamente, con variazioni o cambiamenti di programma che dipendono dalle situazioni locali o da indicazioni profetiche (cf. 16,6-10).
La missione paolina, che caratterizzerà tutto l’itinerario degli Atti degli Apostoli da qui in poi non nasce dal carisma individualistico di Paolo, ma da una precisa chiamata del Signore nello Spirito Santo, avvenuta attraverso la mediazione ecclesiale. Non si può negare che la presenza della comunità ecclesiale sia all’origine della missione paolina: Luca lo afferma con forza facendo sorgere questa chiamata da un lavoro di discernimento comunitario, nell’ascolto dello Spirito, e facendo scaturire l’invio missionario dal rito dell’imposizione delle mani.
L’invio missionario di Paolo e Barnaba priva Antiochia di due personalità importanti. Essi non si sono resi “necessari” fino al punto da non poter lasciare la comunità e per converso la comunità si ritiene libera di inviarli, aprendosi ad una missione che la supera. In che misura le nostre comunità sono aperte al “dono” o coltivano relazioni di reciproco possesso? (2Cor 2,14-3,3)





