Fanno molto pensare le immagini che ci giungono da Roma, dove nella manifestazione del 25 aprile è avvenuto uno scontro tra la brigata ebraica e il presidio pro palestina. Queste immagini contraddicono il significato del 25 aprile, che dovrebbe essere la festa di tutti gli italiani, in cui ci si unisce e non ci si divide, nella consapevolezza di essere parte di una nazione che “ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”.
Proverei allora, alla luce del vangelo che la Chiesa oggi ci offre, nella festa di san Marco, ad enucleare alcuni aspetti che mi sembrano più interessanti per questa celebrazione che, ripeto, dovrebbe unire e non dividere. T
Annunciate il Vangelo ad ogni creatura: è l’invito del risorto ai suoi discepoli in questa finale del Vangelo di Marco che oggi ci viene donata dalla liturgia, che celebra l’evangelista Marco. Chi ha scritto queste parole deve aver lungamente riflettuto dopo decenni di esperienza di diffusione del Vangelo e di espansione delle comunità cristiane sul potenziale di “universalità” del Vangelo. Esso è addirittura rivolto alla “creazione”, al “cosmo” che diviene così partecipe di una forza di guarigione, di risanamento che attraversa non solo tutti gli uomini, ma anche tutta la “biosfera”.
È un aspetto su cui i più giovani ci fanno riflettere e che dobbiamo evidenziare proprio in questo 25 aprile. Riprendo qui le parole dello scrittore Erri de Luca. “Per la prima volta c’è una generazione che sente il proprio futuro collegato e connesso con quello della Terra”. “Questi giovani, spesso giovanissimi, sanno bene che il loro futuro o va insieme con quello del pianeta, o presto non ne avranno”.
In questo 25 aprile siamo chiamati a riscoprire il Vangelo come una forza di liberazione da un capitalismo muscolare che si misura solo con il PIL e che distrugge l’ambiente e provoca le guerre nel mondo. È la liberazione che Papa Francesco ci indica nella Laudato si dove l’equilibrio uomo-creazione e la povertà e la guerra si vedono strettamente connessi.
C’è un altro dettaglio che mi sembra interessante nel Vangelo di Marco: “parleranno lingue nuove”. Nel Vangelo c’è una forza comunicativa in grado di valorizzare l’altro, con la sua cultura, la sua lingua, le sue tradizioni: il Vangelo non può essere strumento di dominazione ideologica o di colonialismo e quando è stato utilizzato con questa intenzione non ha prodotto i frutti più duraturi.
Mi pare di poter declinare questo per il 25 aprile come un’invito a fare del dialogo, del confronto anche tra culture diverse, il cuore della nostra democrazia. Santarcangelo è sempre più una città plurale, ci sono e convivono culture e religioni diverse. Oltre alla tradizionale immigrazione albanese o est europea vediamo sempre più bimbi cinesi nelle nostre scuole, o anche provenienti da paesi a maggioranza mussulmana. Siamo chiamati a promuovere una cultura del dialogo, in cui il Vangelo non solo non rappresenta un ostacolo ma diviene fattore di comunione nelle differenze.
Certamente questo dialogo richiede che vi sia libertà di coscienza, di parola, di critica. C’è oggi la tentazione di guardare al potere come ad una realtà che non tollera la critica e la dialettica tra le parti. Questa non è democrazia: quando si auspica un uomo forte, quando il dibattito si spegne a favore di celebrazioni in cui emerge una voce sola, la democrazia è già morta e la dittatura alle porte.
I giovani oggi desiderano essere partecipi di una società in cui si può discutere di temi anche da prospettive diverse, in cui maggioranze e opposizioni collaborano e sono in grado di coltivare un terreno comune, sulle finalità di fondo, sui valori, sulle regole democratiche.
Proprio per questo il 25 aprile deve essere la festa di tutti, non solo di una parte, in cui ricordiamo chi ha combattuto perché questo fosse oggi possibile, i nostri padri, il cui sacrificio e la cui lotta ci ha donato ormai ottant’anni di democrazia: Lello Baldini, Tonino Guerra, Flavio Nicolini, Nino Pedretti che hanno contribuito a liberare Santarcangelo. Ma ricordiamo anche il sacrificio di un altro giovane santarcangiolese che è morto assassinato prima di vedere l’alba di un nuovo mondo: Rino Molari. Qui vorrei ricordare anche un altro Santarcangiolese, don Giovanni Montali (nativo di Canonica), a cui squadraccie fasciste uccisero il fratello e la sorella. Anche don Giovanni era un convinto democratico e sapeva bene che il suo impegno a favore della resistenza doveva promuovere la nascita di un’Italia nuova.