Dopo l’arresto del Battista, Gesù inizia la sua missione, trasferendosi a Cafarnao, presso il mare di Galilea. Questo territorio, abitato originariamente dalle tribù Israelitiche di Zabulon e di Neftali, viene definito dal profeta Isaia, «Galilea delle genti» (v. 15). Dopo la distruzione del Regno del nord e la deportazione degli Israeliti in Assiria, nell’VIII sec. a.C., il territorio dei Galilea era sempre stato caratterizzato da una certa coabitazione degli Israeliti con i popoli pagani. Secondo Matteo, il fatto che Gesù abbia iniziato il suo ministero in Galilea non è casuale, ma è accaduto perché si compisse la parola profetica di Isaia, che viene interpretata dall’evangelista come un annuncio di salvezza per tutti i popoli. L’evangelista intende in tal modo sottolineare che tutto il ministero di Gesù, dall’inizio della sua missione fino alla resurrezione, costituisce una via di salvezza, attraverso Israele, per tutti i popoli (cf. Mt 28,16-20).
Da questo momento in poi Gesù incomincia a predicare che il Regno dei cieli è vicino, riprendendo l’annuncio del Battista (cf. 3,2). L’invito alla conversione, al cambio di mentalità è strettamente legato alla vicinanza del Regno di Dio. Ci si converte per entrare nel Regno di Dio e, viceversa, solo la vicinanza di tale Regno rende possibile la conversione (v. 17).
La profezia si compie (v. 18): presso il mare di Galilea la luce di Gesù comincia a rifulgere nelle tenebre e Gesù chiama due coppie di fratelli a seguirlo, per diventare pescatori di uomini (v. 19). Nel corso del racconto evangelico Gesù li invierà ad annunciare il Vangelo, come agnelli in mezzo ai lupi (cf. 10,5-6.16), per costruire quella rete in grado di pescare ogni sorta di pesci (cf. 13,47-48). Al termine del vangelo l’invio di Gesù avrà una durata eterna (cf. 28,19), perché Gesù sarà sempre con loro fino alla fine dei tempi, mentre essi faranno discepoli tutti i popoli con la parola dell’annuncio e del sacramento. Con la chiamata di Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, inizia la sequela di Gesù che caratterizza non solo i primi discepoli, ma tutta la comunità ecclesiale (cf. v. 25). Si tratta di lasciare il proprio padre (v. 21), cioè le proprie appartenenze e sicurezze, per aderire a qualcosa di radicalmente nuovo, con cui Gesù trasformerà il mondo intero. La potenza del suo insegnamento, che si accompagna a segni di guarigione e di vita, rivela tutta la novità del Vangelo (v. 23).
Contesto spazio-temporale del racconto
Giovanni il Battista è stato arrestato: inizia ora il tempo di Gesù. Egli si sposta in Galilea e da Nazareth va ad abitare a Cafarnao. Tutto questo fa parte di un disegno di Dio, contenuto nelle Scritture profetiche, che inizia a compiersi con il ministero di Gesù in Galilea: «il popolo che abitava nelle tenebre, vide una grande luce». Quali tenebre e quale luce nella storia del nostro popolo e della mia vita?
Chi sono i personaggi e cosa fanno
Gesù inizia ad annunciare. Mi lascio affascinare dalla predicazione di Gesù e da come entra la luce della Parola nella mia vita. Gesù cammina lungo il mare di Galilea: mi chiedodove sta camminando Gesù nella mia vita, dove lo incontro. Gesù vede due fratelli, che gettavano le reti in mare. Riesco a pormi sotto lo sguardo di Gesù, in ciò che faccio? Come lo percepisco? I discepoli subito lasciata la rete (e il padre) lo seguono. Sento l’urgenza di seguirLo? Mi chiedo cosa o chi mi è chiesto di lasciare.
Cosa dicono i personaggi
Gesù dice: «Convertitevi, è vicino a voi il Regno di Dio». Mi interrogo su quale cambiamento di mentalità mi è richiesto. «Vi farò pescatori di uomini». Come sento e interpreto questo invito di Gesù rivolto a me?
La rivelazione
L’inizio del ministero di Gesù in Galilea annuncia già la fine, ossia l’invio missionario dei discepoli fino ai confini del mondo. La rete della comunità ecclesiale inizia ad essere gettata, per raccogliere ogni sorta di pesci, con un annuncio che guarisce e coinvolge.
PASSI PER LA PREGHIERA PERSONALE
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo in un luogo affollato, dove Gesù predica e fa miracoli.
Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
Cerco di avvicinarmi ai personaggi in gioco.
Contemplo cosa dicono e fanno i personaggi e ne ricavo un frutto.
Cerco di raccogliere tutto ciò che ho contemplato, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.
Giovanni il Battista proclama Gesù l’Agnello di Dio davanti ad interlocutori non precisati. Egli sta parlando a tutti, perché la sua testimonianza è universale (cf. 1,7). Gesù è presentato nell’atto di venire – perché egli è il Signore che viene (cf. Is 40,10) – verso Giovanni che rappresenta tutta l’attesa del popolo di Israele di un messia che avrebbe tolto i peccati del mondo (Zc 13,2), ossia non solo i peccati individuali, ma il dominio del peccato sul mondo. Gesù è dunque l’Agnello che evoca i sacrifici di cui Israele non avrà più bisogno perché Egli toglie definitivamente ogni peccato. Giovanni vede in Gesù Colui che era vissuto prima di lui (v. 30), come Elia o il Profeta che doveva ritornare sulla terra a preparare gli ultimi tempi. Più radicalmente, come aveva già sottolineato il prologo, Gesù precede Giovanni perché è il Verbo di Dio, in cui era la vita e la luce (cf. 1,15). La testimonianza di Giovanni si sviluppa nei vv. 32-34, dove egli allude implicitamente al battesimo ricevuto da Gesù, per sottolineare la discesa dello Spirito. A differenza dei Vangeli sinottici (cf. Mt 3,13-17 par.) qui lo Spirito non solo discende su Gesù, ma anche rimane su di lui, perché egli sarà colui che battezza nello Spirito Santo, trasformando l’uomo in modo definitivo, col perdono dei peccati (cf. 3,5;7,37-39;20, 22-23). Se lo Spirito rimane in lui, ciò significa che egli “rimane” nel Padre, e, attraverso lo Spirito donato sulla croce, egli stesso rimane nei suoi discepoli e i suoi discepoli in lui (cf. Gv 15,4-5)
Se nei Sinottici (cf. Mt 3,17 par.) è una voce divina a proclamare Gesù come Figlio di Dio, qui è Giovanni il Battista a testimoniarlo, grazie alla sua capacità di “vedere” lo Spirito. Egli porta così a compimento tutta l’attesa ebraica di un messia, Figlio di Jhwh (cf. Sal 2,7), in grado di instaurare definitivamente il Regno di Dio.
La presentazione di Giovanni si ripete al v. 35 una seconda volta davanti ai discepoli, che iniziano a seguire Gesù. Nel QV sono i discepoli a seguire Gesù e non lui a chiamarli. Egli anzi chiede loro “cosa cercate?”, per aiutarli a chiarire il loro desiderio. La loro domanda è simbolicamente interpretabile: “Rabbì, dove dimori?”. Non si tratta semplicemente di stare a casa di Gesù ma di imparare a dimorare dove lui sta, ossia nella dimora del Padre suo (cf. 2,16).
Qual è il contesto spazio-temporale del racconto
Ci troviamo nel luogo dove Giovanni battezza, a Betania, al di là del giordano. L’incontro con Gesù avviene il giorno dopo l’interrogazione dei sacerdoti e leviti e la testimonianza di Giovanni. Siamo al culmine del percorso di preparazione della venuta di Gesù.
Chi sono i personaggi e cosa fanno
Giovanni il battista vede Gesù, vede lo spirito scendere e rimanere e fissa lo sguardo su di lui. Giovanni è un uomo che vede, al di là del banale e del superficiale. Mi posso chiedere come anch’io educo il mio sguardo sulla realtà, se alla luce della fede o meno. Giovanni testimonia:egli non tace ciò che vede, ma lo dona agli altri. Come vivo il dono della fede, se è qualcosa da custodire solo nella propria coscienza o in grado di essere condiviso. Gesù passa e osserva: come colgo il tempo opportuno del suo passaggio nella mia vita? Come sono osservato da lui? I discepoli seguono Gesù e vedono dove abita. Quale familiarità con il Signore Gesù?
Cosa dicono i personaggi
Giovanni il Battista esclama che Gesù è l’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Di fronte a tale annuncio di speranza, come mi pongo? Lo Spirito Santo scende e rimane su di lui. Gesù mi dona lo Spirito Santo. Cos’è per me la “vita spirituale”?Venite e vedrete. Faccio esperienza di stare con Lui?
Quale rivelazione
Gesù è il messia che dona lo Spirito Santo, compiendo tutti i disegni di salvezza manifestati ad Israele.
PASSI PER LA PREGHIERA PERSONALE
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo in un luogo affollato, dove Gesù predica e fa miracoli.
Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
Cerco di avvicinarmi ai personaggi in gioco.
Contemplo cosa dicono e fanno i personaggi e ne ricavo un frutto.
Cerco di raccogliere tutto ciò che ho contemplato, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.
Il mestiere di dividere è tipico di chi esercita un potere in modo autoritario. Infatti l’unico modo per governare con la paura è impedire che chi è sottoposto possa vincere la paura con l’unione delle forze. Se gli avversari si dividono, è più facile mantenere il potere! Anche tutta la vita personale può essere costruita in questo modo, ossia decidendo in modo arbitrario sulla propria esistenza, per soddisfare alcuni bisogni di protagonismo e di centralità, ma tenendo fuori da essa tante dimensioni apparentemente contraddittorie. Vivere così, apparentemente molto produttivi, significa stare alla periferia del proprio cuore, in un luogo di apparenza, incapace di produrre veri cambiamenti, dentro e fuori di sé. è il mondo dell’immagine e del narcisismo che sono propri della vita contemporanea, che divide l’apparire dall’essere.
Maria è invece colei che unisce nel suo cuore tanti elementi diversi, tenendoli insieme, anche se sembrano contraddittori. Maria è capace di “stare” nella contraddizione, abitandola senza pretendere di risolverla o di superarla: solo così la contraddizione trova nella vita una possibilità di significato, che permette di penetrarla e comprenderla. Quali sono le contraddizioni che Maria vive? Sicuramente quella di essere destinataria di una Parola così grande nell’annunciazione e poi dover constatare un compimento così umile e ordinario: il figlio di Dio non nasce nel contesto di una reggia, ma in un umile stanza di sotto, alla presenza di semplici pastori. E ancora quella di essere sposa di Giuseppe ma al contempo di custodire una fecondità così radicalmente nuova e indipendente da lui. Si tratta di una originalità davvero rivoluzionaria, che scardina dal basso tutto il sistema di potere maschilista e patriarcale su cui è costruita la società del tempo e, per certi versi, anche quella attuale. Questo potere nuovo porta con se un’ulteriore contraddizione, ed è la terza, ossia quella di esprimersi non con segni di cambiamento sociale e istituzionale, ma anzitutto nella “carne” di Maria e nella sua vita ordinaria.
Come può Maria mettere insieme queste contraddizioni e abitarle senza essere divisa in sé stessa?
Maria rilegge la sua esperienza ed ha un atteggiamento di contemplazione e di discernimento: sa individuare le connessioni tra quella Parola ricevuta nella sua interiorità e le parole degli uomini; stabilisce una correlazione vitale tra quanto ha ricevuto da Dio nel suo cuore e gli eventi che accadono attorno a Lei. In una parola, lei è capace di unire Parola di Dio e vita concreta, che così, pur nella loro distinzione, finiscono per illuminarsi a vicenda: la Parola di Dio diviene vita, carne, embrione che cresce; gli eventi che accadono intorno a lei, il parto, i pastori e tutti gli altri incontri che fa sono altrettante manifestazioni di un mistero che si svolge e dispiega progressivamente nella sua vita. Soprattutto Maria è in grado di non illudersi: il disegno ricevuto da Dio non la porta a sogni narcisistici ed irreali, ma si manifesta nella sua coscienza come contemplazione di eventi concreti e nel discernimento del loro significato per la sua esistenza.
Ricavo da queste considerazioni due brevi indicazioni per noi: la prima è quella di abituarci a rileggere la nostra esperienza di vita quotidiana, per vedere i segni della Sua presenza e per non subire decisioni prese secondo i nostri ricorrenti schemi di svalutazione o sopravvalutazione di noi stessi. Dio ci può condurre solo per sentieri di pace e di pienezza, anche se le contraddizioni non mancheranno. Questa rilettura ci permette allora anche di stare nella contraddizione, senza temerla e senza cercare di risolverla arbitrariamente o ideologicamente. La seconda indicazione la traggo dall’ultimo messaggio del papa per la Pace: cosa abbiamo imparato dalla Pandemia di Covid 19? Che siamo tutti connessi e che abbiamo bisogno delle relazioni umane, per incarnare quella Parola che il Signore rivolge nel nostro cuore: il nostro progetto non può essere individualista, ma si può compiere solo nella relazione con gli altri, nell’incontro con l’altro, con il fratello, che non può mai essere escluso dal mio orizzonte definitivo. E allora, se ci sono relazioni ferite, faticose, problematiche, ancora una volta siamo davanti all’occasione di far pace anzitutto nel nostro cuore…abbiamo bisogno degli altri, dell’altro, anche nella contraddizione del conflitto. Per imparare ad amare, nonostante tutto e al di là di noi stessi.
Caterina va a scuola e cerca di fare del suo meglio ma, purtroppo, i risultati non sono sempre dei migliori. È spesso distratta e svogliata, ha nel suo cuore un desiderio a cui non riesce a dare un nome e che non sa come realizzare nella sua vita. Tutto ciò che le viene proposto a scuola o nello sport – lei fa danza – non attira più molto la sua curiosità e il suo slancio. Fa tutto perché lo deve fare o per far contenti i suoi genitori…ma questo desiderio nel cuore punta ad altro, ad un futuro che lei non riesce bene a chiarire a sé stessa. Negli ultimi mesi poi si è un po’ chiusa, dopo una discussione avvenuta in classe con le sue amiche, da cui si è sentita esclusa perché non l’hanno invitata ad una festa di compleanno. Sempre lì con il cellulare, gli unici contatti che la soddisfano sono quelli con gli amici di tik tok, quelli che le inviano rose e cuori mentre lei fa le dirette video sul social. Lì si sente gratificata e accettata. Ma il mondo fuori è grande, troppo grande per essere affrontato, compreso, desiderato…Ogni tanto pensa alle guerre, pensa ai ragazzi che come lei emigrano e fanno lunghi viaggi per arrivare in Europa: a pensarci dovrei sentirmi fortunata, considera tra sé e sé, ma in realtà mi sento solo più ansiosa perché il mondo non è più un luogo sicuro. La cosa che però la agita maggiormente è la prof. di inglese: sempre arrabbiata con lei e con alcuni altri suoi amici, perché sente le scarse prestazioni dei suoi studenti come un suo fallimento personale: una volta Caterina ha avuto perfino un attacco d’ansia in classe, prima di un’interrogazione di inglese! Poi i suoi genitori l’hanno rassicurata e trasmesso una certa sicurezza: troverà in lei la forza di affrontare tutte le sfide! In quel momento ha sentito di nuovo dentro di sé quel desiderio, quell’apertura, quella fiducia pensando al suo futuro, quella stessa fiducia che percepisce quando prima di andare a dormire si rivolge a Dio, non più con le preghiere insegnatele dalla nonna, ma con parole sue… Che questa fiducia sia davvero un segno della presenza di Dio in lei?
Hamina è una giovane afghana venuta in Italia con un ponte aereo organizzato da un’agenzia umanitaria. Con le sue sorelle, Haris e Farah, più piccole di lei, si trova accolta temporaneamente presso una famiglia. Non conosce la lingua italiana e comunica un po’ solo con i gesti e con qualche parola di inglese. Ma con la nuova famiglia da cui è stata accolta si è fatta capire subito: lei e le sorelle sorelle hanno stretto amicizia con i genitori, con i loro figli, che hanno più o meno la stessa età e con altri giovani amici che vengono ad aiutarle ad imparare l’italiano. Quello che la imbarazza di più però sono le strette di mano degli uomini adulti italiani: nella loro cultura è proibito toccare un uomo adulto. Poi le manca la sua casa, il babbo, la mamma, la sua scuola…ma adesso in Afganistan per lei non ci sarebbe stato più futuro. Suo babbo è in carcere come prigioniero politico e lei non avrebbe più potuto studiare o aspirare ad una qualsiasi professione…il suo desiderio è di riscattare con il suo impegno tutto il sacrificio che suo padre sta facendo. Non sa nulla dell’Europa, ma già sta nascendo in lei il desiderio di farsi una strada, una famiglia, un lavoro…di vivere insomma tutte le possibilità che una ragazza come lei potrà avere in un paese come l’Italia. Certo c’è anche un po’ di ansia, un po’ di paura, e forse un segreto desiderio di ritornare, da grande, nel suo villaggio nativo, dai suoi cugini, nel suo paese…ma è ancora tutto così incerto. Per ora in Italia c’è solo il suo permesso di soggiorno come rifugiata che è sicuro…cosa accadrà per lei nei prossimi anni? Solo il suo Dio, a cui lei si affida, fin da bambina, può saperlo.
Caterina e Hamina sono accomunate da molti aspetti: il primo è che hanno entrambe 15 anni; il secondo è che sono in una situazione di bisogno, confusione ed anche emergenza. Per Hamina si tratta di un’incertezza soprattutto esterna, sociale e della mancanza di punti di riferimento sicuri per il suo futuro, in un paese non suo. Per Caterina invece si tratta di un’incertezza interiore, di un’ansia rispetto alle sfide di ogni giorno, di una difficoltà di capire sè stessa e di fidarsi nelle relazioni, come pure di comprendere cosa desidera veramente dalla vita. Entrambe, sia Caterina che Hamina, sono al di là e al di fuori dei pensieri di chi conta veramente nel mondo: in Afganistan le donne non sono minimamente considerate dai potenti talebani; ma anche in Italia, purtroppo, non si può dire che gli adolescenti siano sempre in cima all’agenda politica dei decisori. Basta vedere le difficoltà in cui versano le nostre scuole a gestire un disagio adolescenziale sempre maggiore. Le due ragazze infine hanno un ulteriore punto in comune: hanno una ricerca di Dio nel loro cuore, sperimentano una certa luce che le guida e orienta ad affrontare il futuro, proprio quando sentono più insicurezza e precarietà.
Questa stessa situazione di precarietà e insicurezza è quella che ha abitato Gesù, appena nato. Il suo posto non è stato la reggia del potere di Augusto, ma il katalyma, la stanza di sotto, dove ci sono gli animali: non è propriamente un contesto sicuro, protetto e garantito, per un momento così delicato e fragile come il parto. Anche il contesto sociale non è dei migliori: Giuseppe ha affrontato quel viaggio solo per andare a pagare le tasse e a quel tempo, come pure in tutti i decenni successivi in terra di Israele, ci sarebbero state forti proteste e un vasto malcontento sociale per quei gravami imposti da Roma. In questa situazione di crisi il bambino Gesù è sottoposto ai poteri di questo mondo e sperimenta la debolezza e l’incertezza dei piccoli e dei poveri, di chi non conta nulla. Nella crisi egli è luce che indica una strada, non all’imperatore Augusto, ma a pastori che ci ricordano il pastore Davide, l’ultimo dei fratelli, il più piccolo, che è diventato re di Israele. Davide infatti è il segno di una regalità che nasce dalla piccolezza, che valorizza risorse poco appariscenti, ma destinate a crescere. Davide è figura che anticipa questo re bambino, Gesù, che proprio abitando la storia e immergendosi in essa, con le sue crisi e contraddizioni, è in grado di aprire una strada e ad offrire una luce a tutti i poveri e a tutti i giovani.
Loro cambieranno il futuro, che è nelle loro mani.
A noi adulti spetta dare e trasmettere fiducia, creare un contesto ambientale e sociale più solido, fornirli di strumenti e capacità che li aiutino a crescere e a costruirsi opportunità a partire dai loro desideri. Soprattutto ci chiedono di aiutarli a rafforzare la loro fiducia, in sé stessi, nei loro desideri e nei valori con cui intendono costruire il loro futuro. Fiducia in quella luce che li sostiene anche quando sono in crisi; fiducia in quelle relazioni che li fanno crescere, molto più di tanti contatti al cellulare. Il Signore Gesù è venuto come bambino e come giovane, per aprire il futuro di ogni generazione: oggi in particolare Gesù è venuto a riaprire il loro cuore ai desideri più veri, per vincere i condizionamenti di un mondo economico invasivo, che li profila per poterli rendere consumatori perfetti dei propri prodotti. Contro l’invasione dei cellulari nella vita dei nostri ragazzi, questo Natale può essere occasione per riscoprire i legami veri e aiutare i ragazzi a “sentire” l’importanza della vita reale, di un contesto relazionale che non si limita a custodirli, ma li incoraggia anche a scoprire e onorare fino in fondo la loro autenticità e i loro doni.
Giuseppe e la maschilità liberata (breve riflessione)
Sognare. Sembra qualcosa che non c’entra più con la vita adulta. Solo i bambini e gli adolescenti sognano. Eppure anche oggi ci possiamo chiedere quanto i ragazzi sognino il loro futuro e quanto invece siano presi dal gestire continuamente stimoli provenienti dal loro presente. La verità è che il sogno esprime la parte più profonda del cuore, di ragazzi e di adulti, e muove ciascuno verso il futuro, verso la vita, verso una pienezza misteriosa, non ancora del tutto chiara.
Anche Giuseppe si è lasciato mettere in discussione da un sogno.
Che cosa si oppone maggiormente alla logica del sogno e perché noi adulti ormai sogniamo così poco, tanto da avere pochissima fiducia nel futuro? La logica opposta al sogno è quella del controllo. Dove c’è controllo totale non c’è vita: c’è infatti la pretesa di regolare tutto, in modo difensivo e rassicurante: alla fine però ciò che rimane fuori da questo controllo della realtà è l’essenza stessa della vita, che è anche cambiamento, novità, rischio, imprevisti…
Vediamo il caso di Giuseppe, uomo giusto. Nella sua prospettiva di vita, lui un buon artigiano che aveva stipulato un contratto di matrimonio con una giovanissima donna, Maria, si profilava un’esistenza sobria ma tutto sommato sicura: in questa vita c’era la possibilità di compiere il suo sogno, avere una famiglia, in modo ordinario. Ecco che in questa situazione di normalità e serenità subentra un imprevisto che turba Giuseppe e lo mette in una situazione di grande ansia. Che fare? Ripudiare Maria? Ma sarebbe stato come condannarla a morte. Rimandarla in segreto con una lettera? Si, forse, la Legge lo consentiva…ma in un villaggio così piccolo sarebbe stato comunque una macchia importante per Maria. Sicuramente Giuseppe si sente tradito, può fare diverse ipotesi, tra cui anche quella che Maria abbia subito una violenza e non sia affatto colpevole…è in questo contesto drammatico che si inserisce il sogno di Dio, a confermare i desideri di Giuseppe di avere una famiglia, ma in modo diverso e più profondo.
“Non temere”: dice l’angelo nel sogno, ed è il primo segno di una parola che proviene da Dio, il cui frutto è la vittoria su tutte le paure e i timori. Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Giuseppe è invitato ad accogliere il mistero della vita, nella sua novità radicale, e a lasciarsi trasportare da esso, abbandonandosi ad una corrente profonda e vitale.
Quando la vita ti sorprende, anche in modo negativo, non resta che accogliere il mistero, abbandonarsi ad esso, nella fiducia che c’è una Parola di Dio per me, per noi, anche li anche in quel passaggio faticoso. E questa Parola sarà in grado di compiere in modo nuovo e inaspettato i sogni che teniamo custoditi nel cuore.
Solo alla fine saremo in grado di decodificare e comprendere la via misteriosa attraverso cui il sogno si è compiuto nella vita. Ebbene, Giuseppe ci invita e ci aiuta ad essere più disponibili, a fidarci, ad accogliere la vita non come un programma prestabilito da noi stessi, ma come mistero nelle mani di Dio, che desidera la nostra salvezza e la salvezza del mondo.
La logica del sogno non è quella del guadagno subito e certo, del controllo totale su noi stessi e sugli altri, della sicurezza ad ogni costo, la logica artificiale dell’economia che pretende di accumulare tutte le informazioni e gestire le nostre vite. La logica del sogno infatti prevede tempi lunghi e maturazioni progressive, che preparano salti improvvisi e cambi inaspettati. Alla fin fine solo i sogni permettono all’uomo di vivere fino in fondo e di vincere le proprie paure.
In questo Natale facciamo qualcosa di non previsto: regaliamo agli altri non tanto delle cose comperate, ma la nostra attenzione e il nostro desiderio di comprenderli, di accoglierli nella nostra vita. Come Giuseppe che accoglie come suo un figlio non suo, prendiamo anche noi gli altri con noi, come se fossero nostri, anche quando ciò richiede una particolare pazienza…
E vedremo anche i nostri sogni realizzarsi in modo nuovo…
Per la preghiera contemplativa
il messaggio nel contesto
Questo brano del Vangelo di Matteo fa parte del racconto dell’infanzia, che arriva, attraverso scene in cui si alternano diversi personaggi. Il titolo di questa scena ci viene fornito fin dall’inizio: «La generazione di Gesù Cristo avvenne così (v. 18a)». Il termine «generazione» si ricollega al v. 16, dove l’albero genealogico di Gesù si conclude con Giuseppe, «lo sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato Cristo» (v. 16). Come mai non si dice che Giuseppe generò Gesù da Maria, come in tutti gli altri casi della genealogia? La risposta ci viene fornita subito dal narratore, che ci informa del fatto che Maria aveva un contratto di fidanzamento con Giuseppe e che dunque non era ancora andata a vivere con lui e che era stata trovata in cinta per opera dello Spirito Santo (v. 18b). Eppure Giuseppe non sa tutte queste cose e allora, notando la gravidanza di Maria, sta pensando il da farsi. Il suo travaglio interiore ci viene consegnato da un breve versetto (v. 19) in cui si sottolinea la giustizia di Giuseppe, che, pur volendo rispettare la legge che prevedeva il ripudio in casi di adulterio, vuole farlo di nascosto, probabilmente per non esporre Maria alla pubblica infamia e al pericolo di morte.
Solo l’intervento dell’angelo di Dio in sogno sblocca questo empasse. Egli chiarisce a Giuseppe ciò che il lettore sa già, cioè l’opera dello Spirito Santo in Maria, e fornisce alcune istruzioni, ossia prendere con sé Maria e dare il nome Gesù al bambino (vv. 20-21), inserendolo così nella propria genealogia. L’eccezionalità di questa rivelazione emerge dal nome che l’angelo ordina a Giuseppe di dare a colui che nascerà: Gesù, che in ebraico è composto dalla radice “yehoshua” che vuol dire salvare e dal nome di Dio, cioè “Dio salva”. La spiegazione dell’angelo fa eco al significato del nome quando sottolinea che egli salverà il suo popolo dai suoi peccati (21b). A questo punto il narratore collega il nome alla citazione biblica di Is 7,14: «Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiameranno Emmanuele, che significa Dio con noi». In questo bambino si compiono le promesse profetiche, relative al messia davidico che porta un Regno universale sulla terra.
Giuseppe è certamente figlio di Davide (v. 20), così che l’identità di Gesù dal punto di vista umano è ben chiara. Giuseppe lo accoglie come figlio suo, gli da il nome ed egli appartiene alla stirpe di Davide. Ma d’altra parte egli è anche l’Emmanuele, il Dio con noi, il messia che porta Dio dentro la storia dell’uomo e rimane con gli uomini fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20). Per questo Dio è intervenuto direttamente e in modo straordinario, per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe obbedisce alla parola dell’angelo e fa esattamente secondo le istruzioni ricevute in sogno (vv. 24-25). Giuseppe, chiamato all’inizio uomo giusto, si rivela alla fine giusto non solo in senso morale, ma molto più in senso spirituale, come colui che si fida di Dio e compie la sua Parola. Egli sa affrontare novità e imprevisti nella vita, affidandosi a Dio senza riserve. Si fida dei propri sogni e sente che attraverso di essi si compie un disegno più grande, di cui lui non è padrone. Sa quindi mettersi a servizio di un disegno non suo, attraverso un’umiltà capace di lottare per far crescere gli altri intorno a sé, senza rimanere attaccato alle sue pur legittime pretese di giustizia “maschile”. In lui risplende la vera paternità, capace di generare ed essere feconda. Senza questa particolare giustizia di Giuseppe, che compie la Legge con l’amore, la rivelazione non si sarebbe potuta compiere.
Qual è il contesto spazio-temporale del racconto. Siamo al tempo di Giuseppe, al termine di tutta la catena di generazioni che partono da Abramo. Gesù nasce dentro una precisa genealogia umana. Se Dio entra in una storia particolare, ciò significa che può farlo anche con la mia storia, familiare e personale. Provo a riflettere su questo aspetto.
Chi sono i personaggi e cosa fanno. Maria, promessa sposa di Giuseppe, si trova incinta per opera dello Spirito Santo. Mi pongo di fronte a questo intervento unico e straordinario di Dio nella storia dell’umanità, percepisco riverenza e stupore? Giuseppe era un uomo giusto. La giustizia di Giuseppe è sostanziale e va oltre la mera applicazione della Legge. Mentre stava considerando queste cose. Quali pensieri e considerazioni di Giuseppe e quali le mie in questo tempo. Gli apparve in sogno un angelo del Signore: Dio interviene sempre nella mia storia attraverso desideri e sogni e mi accompagna: quali segni e quali sogni nella mia vita. Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore. Quale obbedienza
Cosa dicono i personaggi. La parola dell’angelo è non temere: sento l’intervento incoraggiante di Dio nella mia vita. Gesù salverà il suo popolo dai suoi peccati. Considero quanto la mia speranza sia agganciata a quella degli altri, a quella di un popolo intero.
Quale rivelazione. Si compie qui la Parola di Dio del profeta Isaia, per cui la vergine concepisce e dà alla luce il figlio, l’Emmanuele. La speranza di tutto il Popolo si è compiuta.
PREGHIERA PERSONALE
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo in un luogo affollato, dove Gesù predica e fa miracoli.
Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
Cerco di avvicinarmi ai personaggi in gioco: Maria, Giuseppe, l’angelo in sogno.
Contemplo cosa dicono e fanno i personaggi e ne ricavo un frutto.
Cerco di raccogliere tutto ciò che ho contemplato, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.
In questa sezione del Vangelo, fino al c. 12, il lettore è invitato a prendere posizione riguardo a Gesù di fronte alla contestazione degli scribi e farisei, ai dubbi di Giovanni il Battista e all’invito che Gesù fa ai suoi discepoli di conoscere il Padre che solo il Figlio è in grado di rivelare (11,27). Il testo della liturgia della terza domenica di Avvento ci presenta il dubbio del Battista (v. 2-3) e la risposta di Gesù (vv. 4-6) , e in aggiunta un commento di Gesù alle folle sull’identità del Battista (vv. 7-15. Il testo della liturgia si ferma al v. 11).
La domanda del Battista, che si trova in carcere dal momento in cui Gesù ha iniziato il suo ministero (v. 2 cf. 4,12) scaturisce dal suo ascolto delle opere di Cristo, così diverse dalle sue. Se infatti il Battista aveva predicato l’imminente giudizio divino (cf. 3,11-12), Cristo invece predica l’amore del nemico (cf. 5,38-48) e accoglie i peccatori (cf. 9,10-17). Il Battista si chiede se è Gesù “colui che deve venire”, il messia che doveva raccogliere il grano nei granai e pulire la paglia con fuoco inestinguibile, ossia portare il giudizio definitivo di Dio (3,11-12).
La risposta di Gesù agli inviati del Battista è indiretta. Essi stessi dovranno prendere posizione e giudicare ciò che ascoltano e vedono, cioè le opere intese come segni del messia: la proclamazione del Vangelo ai poveri (cf. 5,3), la guarigione dei lebbrosi (8,1-4), la resurrezione dei morti (cf. 9,23-26), la restituzione della vista ai ciechi (9,27-31). Con loro anche noi lettori siamo invitati a vedere in queste opere il compimento delle profezie messianiche di Isaia (cf. Is 35,5-6a; 26,19; 29,18; 61, 1). Di fronte alla misericordia di Dio è sempre possibile che coloro che si credono giusti si scandalizzino, per questo Gesù proclama beato colui che non si scandalizza (v. 6).
Mentre i discepoli del battista se ne vanno, Gesù riflette con le folle sull’identità del Battista. Non è un uomo senza spina dorsale, che va dietro ad ogni vento come la canna (v. 7), non è un potente che veste con abiti di lusso (v. 8). Egli è un profeta, anzi più che un profeta (v. 9), colui di cui parla Malachia, come il grande Elia che ritorna (cf. v. 14), quale messaggero che prepara la via di Dio (v. 10 cfr. Mal 3,1; Es 23,20).
Ci sono due epoche della storia, quella della preparazione, caratterizzata dall’attesa del giudizio e dalla conversione, il cui profeta è Giovanni il Battista, e quella del Regno instaurato dalla croce di Gesù, li dove si compiono tutta la legge e i profeti (v. 13). Nella croce è contenuta una sapienza nuova, la sapienza dell’amore, che è stata giustificata dalle opere di misericordia del Cristo (v. 19)
Qual è il contesto spazio-temporale del racconto
Giovanni ha sentito parlare delle opere del Cristo, insegnamento e guarigioni e manda i suoi discepoli a chiedergli se egli è colui che sta per venire, il messia. Se Giovanni era in attesa del messia, io cosa o chi attendo nella mia vita?
Chi sono i personaggi e cosa fanno/dicono?
Gli inviati di Giovanni il Battista sono invitati da Gesù a testimoniare ciò che odono e vedono: qual è la mia esperienza di Gesù? Ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, morti: sono tutti riassunti nella categoria dei poveri, a cui è annunciato il Vangelo: mi ritengo povero? Ho fatto esperienza del Vangelo? Gesù parla alla folla di Giovanni il Battista. Ci sono diverse descrizioni: canna sbattuta dal vento o uomo vestito in morbide vesti indicano l’uomo di potere, che si sposta dove va il vento e non ha una sua personalità e vive negli agi e nelle mollezze. Invece il Battista è un profeta, incaricato di portare la Parola di Dio. Cosa significa per me portare la Parola di Dio e non fare semplicemente ciò che gli uomini vogliono? Egli davanti a te preparerà la tua via: Giovanni il Battista prepara la strada al Signore. Come la preparo io la strada della mia vita, perché vi possa entrare il Signore?
Quale rivelazione?
Giovanni il Battista è l’Elia che deve venire a preparare l’arrivo del Regno di Dio, bruciando con il fuoco della sua Parola ogni scoria della violenza e del peccato che sono ancora nel Popolo di Dio. Sarà poi la croce del Signore Gesù, con la potenza dello Spirito Santo, a entrare nell’umanità e a formare il seme del Regno futuro.
la preghiera personale
Invoco lo Spirito Santo (con un canto o con la Sequenza o con un’invocazione più libera) Ad esempio: Vieni Santo Spirito, entra in me, con la tua luce, con il soffio della tua vita, aiutami a sentire il Tuo Amore, la Tua Pace e ad aprire il mio cuore a quella Parola che oggi custodisci per me, in modo che ogni mio pensiero e ogni mia azione abbiano da te il loro inizio e in te e per te il loro compimento.
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo in un luogo affollato, dove Gesù predica e fa miracoli.
Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
Cerco di avvicinarmi ai personaggi in gioco. Giovanni il Battista in catene in carcere, i suoi dubbi e tristezza. Gli inviati da parte del Battista, Gesù e i suoi discepoli e infine la folla.
Contemplo cosa dicono e fanno i personaggi e ne ricavo un frutto.
Cerco di raccogliere tutto ciò che ho contemplato, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.
Anche i migliori fanno l’esperienza di uno scontro difficile e faticoso con la realtà del mondo. Prima o poi infatti anche le più belle intenzioni e i progetti più meditati sembrano confliggere con le resistenze che la realtà e il sistema di potere attiva nei confronti di ogni idealità.
In questa esperienza, che è caratterizza spesso la maturità di ciascuno di noi, anche Giovanni il Battista si è trovato, quando è stato incarcerato da Erode. Nel buio della sua cella non solo soffriva la privazione della libertà, ma era anche roso dal dubbio dell’inutilità della sua missione di preparazione delle strade di Dio attraverso il battesimo.
Se davvero lui era stato mandato a preparare la strada, dove era il Regno di Dio? Anche Gesù di Nazareth, che egli aveva conosciuto e battezzato, sembrava comportarsi in modo assai diverso da come poteva avere immaginato. Nessun movimento verso Gerusalemme e nessuna possibilità, almeno in apparenza, di costruire un sistema di potere nuovo, alternativo a quello Romano, nessuna trasformazione reale all’orizzonte.
Il dubbio è legittimo: sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? Sei tu il messia oppure no? È la domanda ebraica per eccellenza: di fronte ad un mondo in cui guerre, carestie, epidemie, sconvolgimenti di ogni tipo attraversano la storia, come si fa a sostenere che il messia è già venuto? Non vi è traccia concreta del Regno di Dio in questa storia…
Gesù non risponde direttamente a questa domanda degli inviati di Giovanni il Battista, ma utilizza un versetto del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato anche come prima lettura, in cui si dice che: ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!»
I segni di cui Gesù parla, e che Isaia aveva profetizzato, come segni di salvezza messianica, sono centrati sulla persona umana e simbolicamente indicano un’apertura alla vita, alla relazione, all’amore, e una sconfitta di tutte le forze di male e di morte, che riducono l’umano e lo umiliano profondamente. Tutte queste forze di morte, ci dice la profezia ripresa da Gesù, non sono l’ultima parola sull’uomo: c’è una possibilità di trasformazione profonda, spirituale, in grado di valorizzare l’umano in ogni sua situazione, in grado di costruirlo spiritualmente e aprirlo a tutte le potenzialità dell’amore.
Mi viene in mente, come caso estremo, Helen Keller, la quale affermava che noi umani ci differenziamo non per i nostri sensi, ma per l’uso che ne facciamo, nell’immaginazione e nel coraggio con cui cerchiamo la conoscenza al di là dei nostri sensi. Helen Keller, politica ed attivista per i diritti delle donne e per la pace, era sordocieca. Solo l’amore di Anne Sullivan, la sua educatrice, riesce ad aprirla alla vita e a permetterle di trovare nuovi modi per comunicare e parlare, e infine scrivere, fino a laurearsi e a partecipare attivamente alla vita politica statunitense.
L’amore e la dedizione di questa donna è stata quella Parola che ha permesso ad Helen di aprirsi alla vita.
Così fa il messia Gesù di Nazareth, apre con la sua parola il nostro cuore alla vita, e alla vita vera. Apparentemente nulla è cambiato. In realtà tutto è cambiato, perché si è aperto il nostro cuore, dentro a ciò che stiamo vivendo, facile o difficile che sia.
Anche oggi possiamo fare questa esperienza, in particolare grazie ad una Parola che ci fa camminare, che ogni giorno possiamo leggere e meditare, per farla scendere nel nostro cuore, e permetterle di cambiarlo, trasformarlo, accendere i nostri sensi spirituali, quelli che ci aprono all’amore, alla vita, alla speranza. Qualunque sia la nostra situazione di partenza, la Parola entra in noi e suscita ancora oggi gli effetti messianici nella nostra vita: apre gli occhi e le orecchie, ci permette di vedere e sentire in profondità. Possiamo così gustare la densità della nostra esistenza e godere della bellezza spesso paradossale con cui Dio la ricama, facendoci fare passi in avanti, anche se un po’ nell’oscurità e a volte nella fatica. Apriamo il vangelo un po’ ogni giorno, per prepararci a questo Natale, aprendo occhi e orecchie al dono della vita!
Nei giorni che seguono la nascita del messia, inizia l’attività ministeriale di Giovanni il Battista, nel deserto della Giudea (v.1). Egli annuncia la conversione del popolo, motivata dal fatto che il Regno di Dio è vicino (v.2), ossia che sta per venire il messia, il quale concederà in modo definitivo e permanente il perdono dei peccati (cf. Mt 26,28). Gesù sarà infatti colui che versa il suo sangue per la remissione dei peccati del popolo e di ogni uomo e in questo consiste la valenza regale e messianica del ministero di Gesù. Nell’attesa di questo arrivo, il battesimo amministrato da Giovanni ha la funzione di un segno per la conversione spirituale, per preparare la strada del Signore, in modo che si compia la parola del profeta Isaia, che parla di questa voce che grida nel deserto (v. 3). In realtà il profeta Isaia parlava di una via che passa per il deserto, che viene preparata, ricordando le opera meravigliose compiute da Dio durante l’Esodo dall’Egitto (cf. Is 40,3). L’evangelista adatta queste citazione facendo aderire le parole «nel deserto» a ciò che precede, ossia alla voce che grida, per far emergere il compiersi di questa profezia nel ministero del Battista, che si svolge prevalentemente nel deserto di Giuda e lungo il fiume Giordano. Giovanni il Battista porta una veste tipica dei profeti (cf. Zc 13,4) e una cintura di cuoio ai fianchi come il profeta Elia (cf. 2Re 1,8). La sua dieta ne indica l’austera connotazione penitenziale (v.4). Tutto l’interesse del narratore è però quello di riferirci le parole della predicazione di Giovanni (vv. 8ss.). Egli si rivolge a farisei e sadducei ossia ai rappresentanti del giudaismo ufficiale del suo tempo, apostrofandoli come «razza di vipere», perché si oppongono al disegno salvifico di Dio con le loro opere. Egli chiede loro di non accontentarsi di far parte del popolo eletto da Dio, come figli di Abramo, ma di manifestarlo portando frutto con le loro azioni. Il giudizio di Dio è imminente, e viene descritto come le immagini del fuoco e della scure posta alle radici dell’albero (cf. Is 6,13). Il «più forte» che viene dopo di lui, ha il potere di battezzare in spirito santo e fuoco, che implica il giudizio della croce, un giudizio d’amore e proprio per questo definitivo, in grado di separare il grano dalla pula (vv. 11-12, cf. Mt 13,24-30).
Spazio e tempo
Nel deserto, nei giorni coevi alla venuta del Messia. Il tempo è dunque prossimo al compiersi della promessa di Dio: posso chiedermi cosa mi attendo dal tempo in cui vivo, che cosa attendo e come lo attendo. Infine posso riflettere sul deserto: quale vuoto dovrei fare nella mia vita per permettere alla voce di risuonare in esso.
Chi sono i personaggi e cosa fanno
Giovanni annuncia che il Regno di Dio è vicino. Mi chiedo se ordinariamente sento Dio vicino a me e se questo è un segno di consolazione o ne ho un po’ paura. Giovanni si nutre di miele selvatico e cavallette: si astiene da cibi preparati per accogliere quanto viene provvisto dalla creazione. Quale sobrietà ritengo importante nella mia vita, per vivere ritmi e modalità meno consumisti. La folla si fa battezzare, confessando i propri peccati. Posso soffermarmi sull’importanza di vivere una guarigione del cuore e trasformazione profonda di me, nel tempo dell’Avvento. Questo è per me l’occasione per entrare nel tempo di Dio, in cui si compiono le promesse, e la confessione sacramentale potrebbe essere il luogo in cui farne esperienza e non solo l’ambito dove scaricare le mie ansie e i miei scrupoli.
Cosa dicono i personaggi
Il Battista fa un lungo discorso ai Farisei e sadducei: «Fate frutti degni di conversione» Mi domando quali frutti il Signore attende da me e come crescere nel suo amore e non rimanere fermo nella presunzione di essere già giusto?
La rivelazione
È in arrivo colui che battezza in Spirito Santo e fuoco. Si tratta dell’amore di Dio della sua misericordia, che entra in pienezza con la morte di Gesù in croce, con il versamento del suo sangue che perdona i peccati, che vince la violenza e la morte. La penitenza ci aiuta ad entrare sempre più in questa misericordia.
Per la preghiera personale
Invoco lo Spirito Santo (con un canto o con la Sequenza o con un’invocazione più libera) Ad esempio: Vieni Santo Spirito, entra in me, con la tua luce, con il soffio della tua vita, aiutami a sentire il Tuo Amore, la Tua Pace e ad aprire il mio cuore a quella Parola che oggi custodisci per me, in modo che ogni mio pensiero e ogni mia azione abbiano da te il loro inizio e in te e per te il loro compimento.
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari:.
Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
Cerco di comprendere maggiormente il significato del testo in sé stesso, con l’aiuto del breve commento precedente.
Cerco di comprendere cosa dice il testo a me, alla mia vita oggi.
Cerco di raccogliere tutto ciò che ho meditato sin qui, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.
Questo discorso di Gesù che leggiamo nella prima domenica di Avvento è parte di un più ampio contesto, in cui Gesù risponde alla domanda dei discepoli: «dicci quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo (Mt 24,3b)». Il cuore del messaggio di Gesù è l’attesa della sua venuta, la “parusìa”. Egli è il risorto e nel tempo della storia è colui che guida il diffondersi del vangelo fino ai confini del mondo (24,14) mentre si diffondono segnali di distruzione (guerre, carestie e terremoti) ma che non sono ancora segno della fine (cfr. vv. 6-8). L’ora della fine è infatti sconosciuta (v. 36). Si tratta di qualcosa di improvviso, di cui gli uomini non si rendono conto, immersi come sono nei loro affari quotidiani, esattamente come era accaduto per la generazione di Noè (v. 37). In superficie tutto sembra scorrere secondo l’ordinarietà più tranquilla: la vita continua attraverso le routine quotidiane del mangiare e bere e la formazione di nuove famiglie (v. 38). L’apparenza di una vita che continua nella sua autonomia sembra costituire una buona motivazione per non porsi troppe domande sul senso delle cose e su Dio. Tuttavia il giudizio è già in atto, un giudizio che riguarda le azioni degli uomini e il loro orientamento al vero e al bene e che improvvisamente viene manifestato attraverso il diluvio (cfr. 1Ts 5,1-11). Perchè il diluvio? Perché solo la distruzione di ciò in cui l’uomo confida gli consente di rendersi conto che la verità della sua esistenza non risiede in sé stesso e nella superfice della sua esistenza, ma in Dio (vv.40-42). Vegliare (v.42) significa mantenere costantemente questa consapevolezza, che l’esistente è provvisorio. Poiché l’ora della venuta del figlio dell’uomo è sconosciuta, si deve vivere nella costante attesa del suo ritorno (v. 44). Se per coloro che non l’aspettano il figlio dell’uomo viene come un ladro, nella prospettiva del giudizio (v. 43, cf. Ap 3,3), invece per coloro che l’aspettano l’incontro sarà fonte di gioia e di pace (cf. Ap 3,20). Solo l’amore regge tutta la storia e rimane stabile nella trasformazione del cosmo e di tutti gli elementi.
Qual è il contesto spazio-temporale del racconto
Siamo nel tempio di Gerusalemme, luogo simbolo del culto e della storia di Israele. L’intero discorso di Gesù ruota intorno a questo simbolo e alla sua comprensione. La distruzione del tempio prevista da Gesù indica più in generale il venir meno dei punti fermi in cui l’umanità confida. Quali i punti fermi illusori sono quelli in cui oggi confidiamo?
Quale rivelazione?
– Non se ne resero conto finchè non venne il diluvio: la nostra generazione vive come ai tempi di Noè: fa tutto quello che riguarda la vita (bere, mangiare, prendere moglie e marito) senza rendersi conto del tempo in cui vive. Quale visione ho della vita? Sono unicamente occupato da ciò che mio riguarda giorno per giorno o riesco ad avere uno sguardo più ampio?
-Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora: cosa significa per me vegliare? Penso di avere in mano il mio destino o mi lascio coinvolgere da un disegno più grande che è quello di Dio?
-il ladro viene: il figlio dell’uomo, che è Gesù, viene per me come un ladro o come un ospite atteso?
Per la preghiera personale
Invoco lo Spirito Santo (con un canto o con la Sequenza o con un’invocazione più libera) Ad esempio: Vieni Santo Spirito, entra in me, con la tua luce, con il soffio della tua vita, aiutami a sentire il Tuo Amore, la Tua Pace e ad aprire il mio cuore a quella Parola che oggi custodisci per me, in modo che ogni mio pensiero e ogni mia azione abbiano da te il loro inizio e in te e per te il loro compimento.
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari:.
Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
Cerco di comprendere maggiormente il significato del testo in sé stesso, con l’aiuto del breve commento precedente.
Cerco di comprendere cosa dice il testo a me, alla mia vita oggi.
Cerco di raccogliere tutto ciò che ho meditato sin qui, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.
Icona biblica: Paolo e Aquila e Priscilla (At 18,1-4.18-22.24-28)
L’incontro tra Paolo e i coniugi Aquila e Priscilla è raccontato più estesamente nel c. 18 degli Atti degli Apostoli.
In particolare vi sono alcuni passi in cui i due coniugi sono coprotagonisti della narrazione: nei vv. 1-4 si pone la cornice dell’evangelizzazione della città di Corinto ad opera di Paolo, proprio grazie all’incontro favorevole con i due coniugi, che rende possibile una permanenza dell’apostolo nella città. Essi infatti erano fabbricatori di tende come lo stesso Paolo. Poi la coppia ritorna in primo piano nella narrazione nei vv. 18-22 in cui si racconta lo spostamento di Paolo, insieme ad Aquila e Priscilla, da Corinto ad Efeso. La città di Efeso sarà poi il luogo dove la coppia rimarrà per diverso tempo a collaborare alla missione evangelizzatrice e, in particolare, Luca tiene a ricordare il loro contributo nella catechesi mistagogica di Apollo (vv. 24-28).
Abbiamo conferma della coppia di Aquila e Priscilla anche dalla voce stessa di Paolo, dalla 1Cor e da Rm, nelle finali di saluto (1Cor 16,19 e Rm 16,3). In entrambi i casi si tratta di un grande elogio che Paolo fa della coppia missionaria, insieme ad una rapida definizione della loro attività pastorale.
Vorrei confrontare l’esperienza missionaria di Paolo e di Aquila e Priscilla con alcuni modelli di rinnovamente missionario che oggi sono presenti nella Chiesa cattolica e che hanno a che fare anche con la nostra identità sacerdotale. Ne elenco quattro, senza pretesa di esaustività:
Modello delle comunità di base territoriali (Ceb-NIP)
Modello di secondo annuncio (Biemmi)
Modello di annuncio kerigmatico/carismatico (Alpha-Divino Rinnovamento; cellule di Sant’Eustorgio)
Modello di rinnovamento catecumenale (Meddi,Neocat,Dieci Comandamenti)
Vorrei mostrare alcune relazioni della missione paolina con questi modelli di rinnovamento e come possono aiutarci a rileggere la nostra esperienza missionaria di presbiteri, con alcuni riferimenti concreti a partire dalla nostra esperienza.
At 18,1-5: la collaborazione nel Signore tra Paolo e la coppia di Aquila e Priscilla
Paolo, reduce da un tentativo missionario sostanzialmente fallimentare ad Atene (At 17,22-34) giunge da Atene a Corinto (cf. 18,1). Un ampio ed articolato periodo mostra il contesto relazionale e sociale in cui Paolo si inserisce in città. L’incontro, probabilmente casuale, con un giudeo proveniente dal Ponto (attuale Turchia, zona costiera del Mar Nero), diviene per Paolo una grande opportunità di relazione e amicizia. Anche Aquila certamente parlava greco e proveniva dal medesimo milieu culturale e religioso di Paolo, originario di Tarso, in Cilicia, che era poco a sud del Ponto stesso. Inoltre, anche se Luca non lo esplicita, Aquila è cristiano. Non si ha infatti notizia di una sua evangelizzazione da parte di Paolo: se storicamente la coppia fosse stata evangelizzata da Paolo Luca lo avrebbe certamente menzionato.
Luca ci ricorda che Aquila proviene dall’Italia e più precisamente da Roma, da cui è stato espulso assieme alla moglie Priscilla, a causa dell’editto di espulsione da parte di Claudio. Questa notizia storica ci assicura che intorno al 50 d.C., data dell’arrivo di Paolo a Corinto, l’annuncio del vangelo fosse già arrivato a Roma, nelle comunità giudaiche della metropoli. Paolo viene quindi accolto dalla coppia in casa loro. Luca ricorda che essendo dello stesso mestiere, ossia artigiani fabbricatori di tende, Paolo non viene accolto solo per qualche giorno da loro, ma rimane presso di loro a lavorare (v. 3).
È interessante notare che per Luca la motivazione di questa permanenza di Paolo nella loro casa è il lavoro artigianale comune, che li impegna ogni giorno, mentre non si fa menzione, almeno per ora, del lavoro apostolico. Solo nel versetto successivo (v. 4) Luca afferma che Paolo discuteva tutti i sabati in sinagoga e persuadeva giudei e greci. Questi ultimi, dato il contesto sinagogale, potevano certamente essere dei timorati di Dio che, pur non essendo giudei circoncisi e dunque non essendo tenuti all’osservanza di tutta la legge mosaica, erano comunque pagani frequentanti la sinagoga, perché fortemente coinvolti dalla fede giudaica. Con il verbo “persuadere”, al tempo imperfetto, si indica un’azione ripetuta ma anche uno sforzo, un tentativo, una ricerca continua da parte di Paolo, che si avvale della sua conoscenza delle Scritture. Di fatto si tratta, come vedremo meglio, di un primo annuncio di Cristo, basato sulle Scritture di Israele.
L’arrivo a Corinto di Sila e Timoteo modifica gli equilibri della piccola comunità: Paolo si sente più libero di dedicarsi totalmente alla missione evangelizzatrice, dal momento che i suoi compagni possono aiutarlo nelle questioni logistiche e di mantenimento della loro convivenza. Qui, al v. 5, l’annuncio della Parola che Paolo compie in sinagoga è descritto come una testimonianza (diamartyroumenos) che Gesù è il Cristo. La Parola è chiaramente per Luca collegata all’annuncio kerigmatico del Cristo, morto e risorto secondo le Scritture. Il verbo “testimoniare” sottolinea una esposizione di “prove” e “segni” tratte dalla Scrittura e dalla vita (cf. 20,21; 28,23), volta a convincere e trasformare nella fede l’interlocutore, attraverso il riconoscimento dell’identità tra Gesù di Nazareth e il messia atteso da Israele. Le attese messianiche coltivate dalla comunità giudaica corinzia trovano piena soddisfazione nella vicenda storica di Gesù di Nazareth e nella sua morte e resurrezione.
Al v. 11 una simile espressione conclusiva, insegnare la Parola di Dio, riassume tutta l’attività di evangelizzazione paolina, con la formazione della prima comunità cristiana.
La casa/Chiesa di Aquila e Priscilla e il lavoro condiviso (At 18,1-5)
Su questi aspetti una prima considerazione è rivolta alla collaborazione dei coniugi Aquila e Priscilla, su cui Luca offre solo un brevissimo accenno. La permanenza di Paolo nella loro casa non si può considerare solo come una temporanea sistemazione logistica, con un accordo di tipo economico per cui il lavoro di Paolo serviva a ripagare la famiglia dei costi dell’ospitalità. Luca lascia invece immaginare che sia la stessa coppia ad introdurre Paolo in sinagoga nel giorno del riposo sabbatico. La presenza di Paolo, al lavoro insieme con i coniugi, mostra l’importanza della casa e del lavoro, anche materiale, condiviso, come dimensione “sostanziale” della piccola comunità cristiana, quindi anche della sua vita di fede. Il fatto che Paolo stesso nelle sue lettere sottolinei la presenza di una Chiesa che si raduna nella loro casa lascia trasparire la forza relazionale dei coniugi, la loro capacità di accoglienza e condivisione, la familiarità evangelica con cui la Parola si è incarnata nella loro esistenza e ne ha fatto una cellula luminosa di evangelizzazione, a partire dalla vita. Secondo Luca non sono loro ad operare in prima persona l’evangelizzazione, o forse lo fanno ma più in sordina rispetto a Paolo. Tuttavia la loro ospitalità crea il grembo fecondo di relazioni, di amicizia, di preghiera, di condivisone e conversazione, che rende possibile la missione paolina. C’è in questa coppia di missionari cristiani la vocazione a rendere presente una “spiritualità di Nazareth”, dell’accoglienza familiare e del lavoro quotidiano, anche nella grande città greca di Corinto.
Questa condivisione e intimità sincera tra Paolo e la coppia di sposi non termina quando Paolo lascia la loro casa, cosa che farà nel momento in cui si generano i primi scontri con avversari del vangelo all’interno della comunità sinagogale. Anzi i due coniugi di uniranno a lui nel suo viaggio verso Efeso, dove risiederanno per qualche anno formando una nuova comunità domestica. E dove vanno, Corinto, Efeso, Roma i coniugi collaborano a creare comunità domestiche. Pur essendo itineranti, il loro servizio è più stanziale e serve a radicare la missione in cellule di condivisione ed evangelizzazione. Paolo invece si mostra molto più itinerante nei suoi spostamenti, da una comunità all’altra (cf. vv. 18-22), per seminare e mantenere i contatti con le diverse Chiese.
La dimensione comunionale e missionaria del presbitero e della comunità cristiana. Alcuni elementi concreti
Questo quadretto missionario lucano mi sembra interessante anche per tracciare alcuni elementi concreti:
Vita comune e lavoro materiale. La condivisione lavorativa di Paolo e di Aquila e Priscilla non ha solo una funzione materiale, ma è anche fonte di una comunione missionaria. Spesso viviamo la condivisione pratica, il “fare” sia nella casa e negli ambienti parrocchiali sia negli ambienti civili, come un fastidioso ostacolo che ci fa perdere tempo rispetto a cose più importanti. Personalmente ho riscoperto questa dimensione del lavoro manuale, come condivisione di valori evangelici, di una vita evangelica, con il campo lavoro missionario. Ma anche con alcuni campi scuola, dove l’autogestione della casa comportava una condivisione con i ragazzi e gli educatori, sono stati momenti di condivisione “spirituale” profonda. Infine alcune iniziative di risistemazione di luoghi pubblici, ad esempio quando abbiamo ritinteggiato con i ragazzi di san Lorenzo un sottopassaggio di Riccione, hanno potuto lasciare un messaggio evangelico di pace a tutta la città. Una cura della casa, della creazione, dei luoghi comuni, della sobrietà porta le persone a sentire una familiarità concreta con ambienti e persone e a vivere i valori evangelici nella quotidianità della comunità parrocchiale e sociale. Questo elemento era ad esempio rilevante nei progetti di rinnovamento della comunità di base.
Vita comune e coabitazione. Mi sembra uno spunto molto interessante anche questo relativo alla coabitazione tra presbiteri e famiglie. Personalmente non ho mai avuto l’opportunità di vivere in modo prolungato questa dimensione, ma so di diversi tentativi, anche da parte di alcuni di noi nel presbiterio, di progettare ambienti comunitari accoglienti, in cui le famiglie possano trascorrere anche alcuni periodi. È certamente importante, nei progetti di condivisione fraterna e familiare, stabilire bene i confini, per lasciare sia alle famiglie che al presbitero o ai presbiteri la loro intimità. Ma la condivisione di alcuni spazi e tempi, magari per alcuni periodi, con un progetto di vita spirituale, fondato sulla lettura condivisa della Parola di Dio, sul modello anche di alcune comunità, come Villapizzone o Romena, può costituire oggi un grande valore aggiunto. Nella mia personale esperienza ricordo in particolare una convivenza di famiglie, nella casa parrocchiale di San Lorenzo, come particolarmente feconda per favorire le relazioni tra giovani famiglie, alcune fino a quel momento non abituate a frequentarsi. A Santarcangelo, dove mi trovo ora, il corso di preparazione al matrimonio prevede una sessione unitaria di tre giorni, con tempi di condivisione nei pasti e in momenti conviviali, molto importante per creare un clima di ascolto, condivisione, capace di lasciar traccia nel cuore delle persone. Penso ancora alle convivenze giovanili, lanciate a suo tempo dal Punto Giovane di Riccione e diventate con il tempo patrimonio condiviso nella nostra diocesi: esse stabiliscono, tra educatori e ragazzi una sorta di famiglia allargata, grembo fecondo per una trasmissione più profonda dei valori della fede dentro al vissuto e alle domande di ciascun ragazzo. Per fare un altro esempio, ancora più semplice e ordinario, vedo anche come sia importante che la casa dei preti sia percepita come un luogo familiare, per tutti coloro che ne varcano la soglia. Che essa sia un po’ come anche la loro casa, dove si sentono a loro agio, accolti per un momento di conversazione tranquilla, tra un incontro e l’altro.
Cellule di evangelizzazione. Aquila e Priscilla nei diversi luoghi in cui si sono recati, hanno creato delle comunità domestiche, delle Domus Ecclesiae. Paolo è stato uno dei primi a sperimentare questo loro carisma e, molto probabilmente, ad incentivarlo e valorizzarlo. L’intuizione di comunità familiari dove si prega a partire dalla Parola, dal vangelo domenicale, in modalità che aiutino l’integrazione tra il vissuto personale e comunitario e la Parola di Dio rimane tutt’ora estremamente valida. Piccoli nuclei anche con 5 o 6 persone sono l’ideale per una comunicazione affettivamente ricca, in cui il servizio di spezzare la parola è sostenuto dai presbiteri e diaconi e condotto da qualche facilitatore con grande sobrietà e semplicità, in cui si evitano dispute teoriche, in cui ciascuno è invitato a comunicare quello che la Parola ha suscitato in lui, senza contrapporsi ad altri, in cui si genera un clima di ascolto profondo e di silenzio pieno nello Spirito (cf. cellule di Sant’Eustorgio). A me personalmente l’incontro con la Lettura Popolare del Vangelo, in particolare con Maria Soave Buscemi, ha fornito molti spunti per superare il complesso del presbitero insegnante e del biblista…e accogliere il protagonismo battesimale nella mensa della Parola di Dio. Intuizioni che ho ritrovato pienamente anche in Evangelii Gaudium. Questa modalità di incontro “domestico e familiare” oggi configura anche il presbitero come uomo della condivisione e comunione, che innesca, favorisce ed accompagna questi itinerari, personali e comunitari.
Paolo e l’annuncio di sabato in sinagoga – rivitalizzare l’annuncio domenicale
Non nascondiamoci la difficoltà di “bucare” ogni domenica la scorza di non-ascolto, la patina di abitudinarietà di alcuni ed estraneità di altri, che vi è nella variegata assemblea domenicale. Paolo nel commentare la Parola ogni sabato in sinagoga doveva aprire allo Spirito le orecchie di persone certamente non abituate all’annuncio kerigmatico del Vangelo. Anche noi, come ci diciamo da anni, non dobbiamo dare per scontata la fede di coloro che vengono a messa: ogni occasione è opportuna per tornare al cuore dell’annuncio cristiano, un Dio di misericordia che ci ha donato suo Figlio, fino a morire per noi, per me, sulla croce. Un Dio che vuole abitare, entrare nella nostra vita per portare luce, pace, gioia, speranza, per aiutarci con sapienza ad orientare le nostre esistenze verso il meglio, verso quel progetto che Lui ci lascia scoprire nella nostra libertà. Ancora troppo spesso si sentono omelie moralistiche, astratte, giudicanti…sono tutte occasioni mancate, quando non veri e propri ostacoli posti sul cammino della Parola di Dio. Come Paolo nel suo annuncio sinagogale, possiamo anche noi utilizzare tutte le risorse della retorica, per essere più capaci di cogliere l’attenzione: purificare il vocabolario di termini troppo teorici o desueti, appartenenti al lessico della teologia; favorire la comprensione dei concetti tramite racconti, narrazioni; seguire la brevità e la concretezza; utilizzare simboli ed immagini…ma soprattutto coltivare la passione per la Parola di Dio nella nostra vita, quella passione che inevitabilmente si trasmette mentre parliamo.
At 18,23-28: la catechesi spirituale nella via, un sentiero di approfondimento “mistagogico”
Mentre Paolo è in viaggio per consolidare i risultati missionari raggiunti nelle diverse comunità ecclesiali (v. 23), in primo piano emergono di nuovo Aquila e Priscilla a Efeso, che, con la loro consueta attenzione e capacità di ascolto, colgono subito i doni di scienza e di carisma di Apollo e lo coinvolgono in un percorso di formazione più accurata della cosiddetta “via” (odos), termine con cui gli Atti degli Apostoli indicano l’adesione alla comunità messianica. Si tratta di un cammino di natura mistagogica, che completa la competenza scritturistica di Apollo. Chi era costui? Ci sono diverse ipotesi esegetiche (giudeo colto simpatizzante della “via”, cristiano già evangelizzato). Dal momento che egli ha ricevuto solo il battesimo di Giovanni, potrebbe trattarsi di un giudeo colto di Alessandria d’Egitto che ha ricevuto qualche iniziale istruzione su Gesù di Nazareth (era stato istruito sulla via del Signore, cf. v. 25) e l’ha sviluppata autonomamente, per mezzo delle sue competenze letterarie e scribali. Egli si muoveva infatti con facilità e con animo ispirato nelle Scritture e le insegnava con correttezza e con perizia (akribos). Tuttavia, come accenna Luca, non aveva ancora ricevuto il battesimo cristiano e quindi non aveva completato la sua iniziazione catecumenale. Aquila e Priscilla hanno il merito di cogliere i carismi di questa persona e valorizzarli nella fede, completando l’itinerario di iniziazione cristiana. Essi gli espongono più accuratamente la via di Dio, ossia lo aiutano a entrare più in profondità, in rapporto con la comunità cristiana, con i “misteri” della vita di fede, per i quali non è sufficiente un cammino di elaborazione spirituale individuale. Si tratta per Apollo di fare esperienza non solo dello Spirito che parla nella sua interiorità, ma anche di quella misteriosa corrispondenza tra la sua interiorità e la comunità cristiana, che si respira in una Chiesa che vive il proprio cammino ordinario, fatto di ritmi liturgici e vita sacramentale. Non sappiamo nulla di più specifico a riguardo di questa catechesi. Possiamo però ipotizzare che la presenza di una comunità domestica facesse un po’ da contrappunto all’eccezionale preparazione intellettuale di Apollo, permettendogli di integrare i suoi carismi in una vita comunitaria e in un’appartenenza ecclesiale senza di cui non si può completare un itinerario catecumenale.
Cammini di vita: alcuni elementi concreti
Cammini personali e assemblea eucaristica. Questa collaborazione dei coniugi con Paolo mi sembra estremamente attuale. Anche in un tempo come il nostro alcuni cammini di primo annuncio e iniziazione alla fede aiutano le persone a riscoprire con novità ed entusiasmo il dono della fede e l’azione dello Spirito nella loro vita. Poi però manca un reinserimento nella comunità cristiana, che sia in grado di completare l’itinerario di ispirazione catecumenale con una piena mistagogia. Le nostre comunità non sono spesso attrezzate per accogliere questi cammini di riscoperta, perché troppo spesso articolano le loro proposte con linguaggi un po’ vecchi e non sono aperte all’ascolto dei cammini, originali e assolutamente personali, degli adulti. Le nostre assemblee eucaristiche inoltre sono ancora troppo “grandi” e spesso “impersonali” per favorire l’accoglienza di persone in ricerca di fede. Anche noi abbiamo esperienza di come certe persone, che abbiamo accompagnato per un certo periodo nella riscoperta o approfondimento della loro fede, poi si siano perse di vista. C’è da chiedersi se attribuire questo in ogni caso ai cambiamenti necessari della vita, come trasferimenti o cambiamenti di lavoro, o alla difficoltà di tradurre questo accompagnamento personale in un itinerario ecclesiale.
Annuncio e catechesi come accompagnamento personale. Questo quadro lucano sulla ministerialità di coppia di Aquila e Priscilla mi pare offra una chiave importante per la pastorale di oggi, proprio per tradurre i itinerari più ecclesiali questi accompagnamenti personali. Siamo forse chiamati a lasciare da parte una certa ansia e frustrazione per le “strutture” pastorali che coinvolgono grandi numeri, tenendole solo nella misura in cui sono utili per favorire l’incarnazione della presenza ecclesiale in un determinato territorio, la comunicazione di valori ed esperienze. Si constata che essi danno frutto e possono essere occasioni di secondo annuncio solo se si attiva una dimensione relazionale e personale, nel tempo (cf. Biemmi). Dobbiamo urgentemente liberare risorse per trasformare queste opportunità di incontro con tutti in cammini di accompagnamento per alcuni, per coloro che la grazia di Dio ci porta ad incontrare, nel desiderio che guida il loro itinerario. E per favorire un inserimento più “personale” ed accompagnato nella comunità cristiana. In fondo si tratta della funzione tradizionale dei “padrini” ossia di chi esercita una certa paternità e testimonianza nel cammino catecumenale della persona in ricerca (cf. modelli di rinnovamento catecumenale). Con molta consolazione ho potuto constatare la presenza di questi accompagnamenti in alcuni dei Cenacoli del Vangelo che il Vescovo Francesco ha voluto proporre qualche hanno fa in Diocesi, alcuni dei quali tutt’ora continuano ad avere una loro vita all’interno di alcune parrocchie. Ma ognuno di noi penso abbia in mente casi di questo tipo. Penso particolarmente anche al ruolo di educatori parrocchiali o di capi scout, che nel tempo hanno formato dei ragazzi più giovani, suscitando in loro il desiderio di diventare a loro volta educatori. Come presbiteri siamo chiamati a favorire questi processi, tematizzando più esplicitamente la generazione alla fede, e ad accompagnarli e a gioire di cammini personali autentici, pur nella fragilità e nelle fatiche di ciascuno.
Piena corresponsabilità laicale. Come scrive Paolo in Rm 16,3 Aquila e Priscilla sono collaboratori, pienamente corresponsabili del suo ministero, in Cristo Gesù. L’espressione è molto forte. Non indica una prestazione d’opera occasionale o funzionale. Indica invece una piena partecipazione al ministero apostolico, con un livello di corresponsabilità globale: essi non si occupano solo di aiuti materiali, ma collaborano all’azione di evangelizzazione, condividendone i successi e anche i fallimenti e i pericoli. Inoltre essi completano l’azione di primo annuncio iniziata da Paolo, con un ruolo di responsabilità sulla comunità ecclesiale. Accompagnano i cammini personali, approfondendoli e completandoli, e insieme si pongono come riferimento di unità e comunione per le persone che si radunano nella loro casa, tracciando un cammino di natura spirituale ed anche sacramentale. Il presbitero diviene qui uomo della comunione e della corresponsabilità, capace di valorizzare, senza timore, i carismi laicali e il loro protagonismo nella comunità e nella società.
Il bisogno che la chiesa oggi vive di incarnare il vangelo in linguaggi che gli uomini di oggi vivono, specialmente i giovani, è una questione essenziale. E solo chi vive i contesti del mondo è in grado di fare efficacemente questa sintesi, culturale e linguistica.
Conflitti e fallimenti come occasioni di trasformazione e di novità. L’evangelizzazione a Corinto, sulle prime, non ha avuto molto successo. Ha causato più conflitto e rifiuto che successi, a parte qualche adesione notevole, come quella del capo della sinagoga locale. Tanto che sia Paolo che Aquila e Priscilla ad un certo punto se ne devono andare. Ma il seme è stato gettato e porterà frutto. Mi pare che la narrazione degli Atti degli Apostoli voglia suggerirci che nel campo dell’evangelizzazione ogni tentativo autentico è destinato portar frutto, in modo forse un po’ misterioso e non sempre visibile. Questo dovrebbe darci piena speranza ed aiutarci a mettere da parte tante paure.
Domande per i gruppi di lavoro:
A quali caratteristiche della mia esperienza si collega maggiormente il modello paolino di evangelizzazione?
Quali desideri e prospettive mi suscita questa pagina lucana, che sento valide per la mia identità di presbitero?