Lettura popolare VI Pasqua Anno C

Lettura popolare VI Pasqua Anno C

 

 

Gv 14,23-29

Il dono del Paraclito

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere”   ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

La solenne affermazione di Gesù al v. 23 costituisce a riposta di Gesù ad una domanda del discepolo Giuda, non l’iscariota (v. 22, escluso dalle scelte della redazione liturgica): «Signore, come avviene che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Il dubbio del discepolo nasce dal contrasto esistente tra l’esperienza della passione, pubblica e universale, e quella della resurrezione, limitata ad un piccolo gruppo di testimoni. Gesù risponde affermando che la sua manifestazione non avviene attraverso una comparsa inequivocabile e spettacolare, magari alla fine del mondo, ma nel presente della fede dei suoi discepoli. La venuta di Gesù è quella che accade nel cuore di colui che lo ama e osserva la sua parola (v. 23), ossia che prolunga in tutta la sua vita quell’amore gratuito e originario che riceve da Dio. Questi è il vero discepolo di Gesù, è colui nel cui cuore si stabilisce il tempio spirituale, la dimora eterna del Padre (cfr. Ez 37,26-27; Zc 2,14).

Come può il lettore del Vangelo di Giovanni, invitato a divenire discepolo di Gesù, osservare la Sua parola se Egli non è più presente fisicamente con lui (v. 25)? Solo grazie all’invio dello Spirito paraclito che ricorderà tutte le parole di Gesù fino al termine della sua vita pubblica (12,36). Egli infatti è «colui che è chiamato a stare presso» (trad. letterale del termine  «paraclito») i  suoi discepoli per insegnare e far ricordare. Si tratta di due verbi di cui il secondo (far ricordare) serve a chiarire il precedente (insegnare). L’insegnamento del paraclito implica il riferimento alla parola di Gesù, intesa non solo come annuncio orale, ma come l’intera rivelazione che è costituita della sua vita, morte e resurrezione. Il mistero pasquale è precisamente quella verità tutta intera in cui lo Spirito ha il compito di introdurre il discepolo (cf. 16,13), così da renderlo in grado di interpretare in modo nuovo le parole di Gesù (2,21-22).

Lo Spirito non può che condurre a Gesù, dal momento che è stato inviato dal quello stesso Padre che ha inviato suo Figlio (v. 26; cf. 24), più grande di lui unicamente nel senso che è lui ad inviarlo (v. 28 cf. 13,16). La gioia e la pace del discepolo consistono nel sentire che tutta la rivelazione di Cristo, racchiusa dai verbi andare e ritornare (andare = mistero pasquale e ritornare = venuta alla fine dei tempi v. 28) dipende dal Padre e dalla sua infinita e sovrana magnanimità. Il Padre infatti è per eccellenza colui che ama (cf. v. 23; 15,9) e che invia (v. 24.26), ossia che dona senza riserve la comunione con sé (v. 23).

 

 

 

 

 

 

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

  1. Ricordiamo la vita.  (15 minuti)      I miei timori e le mie paure nel cammino della fede

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Gv 14,23-29 (10 minuti)

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

 

  •  Qual è il contesto geografico e temporale del racconto evangelico?

Siamo nel lungo discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli prima di partire. La sua partenza è infatti imminente (cf. v. 25.28) ed egli intende rassicurarli, cacciare il loro turbamento e dare loro la pace (v.27):egli infatti ritorna nella fede dei suoi discepoli. Percepisco la pace che solo il Signore mi può dare?

  • Chi sono i personaggi, cosa dicono/fanno?

I personaggi sono Gesù, i discepoli, tra cui Giuda (v.22), il Padre e il Paraclito.

-La rivelazione di Gesù si manifesta ai discepoli e non in modo spettacolare a tutto il mondo: quali pretese nutro nei confronti del cammino delle persone e dei frutti visibili del Vangelo?

-Gesù afferma: «se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola». Si tratta di un ascolto attivo, di un essere discepoli. Mi ritengo discepolo di Gesù? Come vivo l’adesione alla Sua Parola nella mia vita?

-Il Padre è colui che ama e insieme al Figlio prende dimora nel credente. Come preparo il mio cuore e la mia interiorità ad essere luogo accogliente per ospitare la presenza di Dio?

-il Paraclito vi insegnerà e ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Cerco e invoco lo Spirito Santo? Come ne seguo gli impulsi, nelle decisioni concrete della mia vita?

  • Quale rivelazione è contenuta qui?

Il Padre è colui che ama e invia il Figlio e lo Spirito Santo, per la fede del credente (v. 29). Come vivo il mio rapporto con il Padre? Quali difficoltà, dubbi o punti di forza?

 

 

  1. Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min).

Paure e sicurezza: la rivoluzione del buon pastore

 

 

Cultura e civiltà di oggi sono contrassegnate da due caratteristiche, purtroppo negative: la solitudine e la paura. L’uomo oggi è solo, perché isolato, chiuso nella sua casa e nelle sue agende complesse. Pensiamo di essere interconnessi tramite i social, ma rischiamo invece di isolarci maggiormente. A tale isolamento si associa una percezione di minore collegamento, minore forza sociale, minore rete di valori condivisi e quindi una maggiore paura verso tutto ciò che percepiamo come esterno a noi e potenzialmente pericoloso.  Se questa è la condizione ammalata del nostro popolo, Gesù buon pastore è in grado di guarirla profondamente, attraverso un’operazione chirurgica in tre passaggi. Una conoscenza intima che guarisce la solitudine; una trasformazione personale che converte i pensieri e gli atteggiamenti nella fiducia; una trasformazione sociale contro la paura.

 

Li descriviamo brevemente con ordine.

 

  1. Io le conosco ed esse mi seguono, dice Gesù. Si tratta di una conoscenza intima ed esistenziale. Prima ancora di chiedermi se e come conosco Gesù, io sono conosciuto da lui, in tutti i miei aspetti e qualità, positivi e negativi.

Anzi lui solo, il suo sguardo, è in grado di penetrare anche nelle nostre ombre, nei nostri punti oscuri e difficoltà, per trasformarli in un’opportunità di amore: amore suo per noi, che diventa amore e stima nei confronti di noi stessi. È una straordinaria occasione che non possiamo perdere: lasciarci abbracciare, amare e stimare dal suo sguardo, perché ogni giorno la nostra persona possa fiorire in Lui.

 

  1. Allora questa conoscenza intima innesca una trasformazione integrale della persona. Sì, “perché le pecore”, come si esprime Gesù, “ascoltano la mia voce”. Cosa significa ascoltare? Il verbo greco ha un sottofondo semitico, per cui non significa solo compiere un atto di concentrazione mentale, ma coinvolgere tutta la persona attraverso la propria disposizione ad essere e ad agire. Per noi discepoli questo significa chiederci ogni giorno come leggiamo il vangelo. Esso entra nel mio modo di pensare ed agire oppure rimane solo un rifugio consolatorio, che non incide nei miei comportamenti reali? Il Vangelo mi aiuta ad aprirmi alla realtà delle altre persone, con pazienza e fiducia, nel lavoro come in famiglia? Mi lascio criticare dal Vangelo per le mie tendenze egoistiche, per le continue contrattazioni, che mi portano a cercare il mio vantaggio personale? Per le paure chi mi chiudono all’altro, specialmente se la difficoltà dell’altro potrebbe anche solo distrarmi dalle mie preoccupazioni? Questa critica e trasformazione degli atteggiamenti è sorretta da una fiducia di fondo. Dice Gesù che “le pecore non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”. Questa fiducia e questo abbandono delle pecorelle nella mano di Gesù sono fondate nel fatto che la potenza del Padre, la sua mano, il suo agire, è sempre in perfetta comunione con quello di Gesù buon pastore. Egli ha dato la vita per noi, e per questo motivo siamo al sicuro.

 

  1. Ora tale atteggiamento di fiducia di fronte alla vita porta degli effetti concreti, sociali. La maggior parte dei problemi che oggi viviamo nella società sono amplificati dall’ansia e dalla paura. Pensiamo solamente a quanti soldi lo stato spende per posti di blocco e controlli, spesso quasi solo con una funzione simbolica, di rassicurazione della gente. Pensiamo ancora al possesso delle armi in casa e a quanto la questione del “turbamento emotivo” diventi oggi norma di legge. Di fronte a tutto questo noi sappiamo che la paura, anche se c’è, si può vincere e che tale vittoria è la migliore difesa contro terrorismo e criminalità, che intendono favorire una società chiusa e impaurita.

Se il buon pastore infatti ha dato la vita per noi e nulla potrà mai separarci da lui, noi abbiamo i migliori anticorpi contro la malattia della paura! Chiediamo a Maria che interceda per noi cristiani perché possiamo testimoniare fiducia e speranza, ed essere come lievito positivo che fa fermentare la massa della società.

Lettura popolare V Pasqua Anno C

Lettura popolare V Pasqua Anno C

Gv 13,31-35

Il comandamento dell’amore

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere”   ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

Gesù ha appena intinto un boccone e l’ha dato a Giuda, intimandogli di fare subito ciò che deve (13, 26-29). Giuda se ne è andato di notte a tradire il suo maestro (v. 30).  Ormai è giunta l’ora della morte di Gesù che egli ha già descritto come l’ora della sua glorificazione (12,23.28) in cui Gesù sarà innalzato da terra sulla croce, per attirare tutti a sé (12,32-33), avendo vinto definitivamente il principe di questo mondo, Satana (12,31).  Si comprende quindi l’affermazione di esultanza di Gesù a riguardo di quest’ora: “Ora è stato glorificato il figlio dell’uomo e Dio si è glorificato in lui”. Con il tradimento di Giuda inizia a compiersi il mistero della risalita del Figlio dell’uomo al Padre (3,13-14; 6,62) e questo ritorno è definito come una glorificazione non solo del Figlio dell’uomo, ma anche di Dio Padre in lui (vv. 31-32). È Dio Padre, sorgente ultima di ogni agire e di ogni essere, che manifesta la sua gloria nel figlio dell’uomo (v. 32) elevato sulla croce. Ci dovremmo chiedere tuttavia in che senso la croce costituisce una gloria più grande di quella che già il Figlio possiede da sempre con il Padre. La differenza che la croce determina dal punto di vista della glorificazione del Figlio e del Padre è costituita dalla partecipazione di tutti i credenti, attraverso il Figlio alla vita stessa di Dio. Infatti con la croce del Figlio dell’uomo Dio ha deciso di manifestare la sua gloria agli uomini e di attirarli definitivamente alla comunione con sé (12,32). La comunione di tutti gli uomini con Dio e tra di loro è dunque l’ultima e definitiva manifestazione della gloria e ciò sta per accadere dal momento che si compirà con l’elevazione di Gesù in croce («subito»).

Ora Gesù sta per andarsene e il muro costituito dalla morte costituirà un’innegabile separazione dal mondo e dai discepoli (cf. 7,33;8,21). Essi non possono capire per ora, come già i Giudei, dove egli ritorna, perché non sono in grado di seguirlo. Tuttavia, come un patriarca (cf. Gn 50,24) Gesù vuole lasciare ai discepoli il suo testamento, nella forma di un dono che li renderà capaci di vivere come lui ha vissuto.

Il nuovo comandamento che Gesù dona mentre sta per andarsene e ritornare al Padre con la sua morte, è l’amore reciproco nella forma in cui Gesù lo manifesta sulla croce. È nuovo perché, come la nuova alleanza in Geremia (Ger 31,31-34), il comandamento non è scritto solo esternamente ma proprio nell’intimo del cuore. Dunque non si tratta di un’imitazione esterna di Gesù da parte dei discepoli, che con le loro forze non potrebbero fare nulla, ma di una potenza che verrà loro donata intimamente e che li renderà capaci di vivere come Gesù. Quello stesso amore con cui il Figlio ama i suoi discepoli, fino a morire per loro, rende infatti possibile la comunione dei discepoli di Gesù tra di loro e costituisce un segno di riconoscimento per tutti gli uomini (vv. 34-35). La potenza della croce, di attirare tutti gli uomini a Dio, si manifesta ora grazie alla testimonianza d’amore dei discepoli, gli uni per gli altri. I rapporti di comunione e di amore all’interno della comunità cristiana dovrebbero essere il segno potente di una qualità di vita alta e straordinariamente diversa dalle logiche del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

  1. Ricordiamo la vita.  (15 minuti) La comunità cristiana come luogo di relazioni sempre rinnovate dall’amore?

 

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Gv 13,31-35 (10 minuti)

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

 

  •  Qual è il contesto geografico e temporale del racconto evangelico?

Siamo nel luogo della cena, dove Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli e ha appena consegnato il boccone intinto a Giuda, che è uscito per andare a tradirlo. Era notte, la notte del tradimento, delle forze del male che sembrano soverchiare il bene. Qui Gesù parla di gloria e di amore. Come leggo le delusioni che il tradimento della fiducia e dell’amicizia hanno provocato in me?

 

  • Chi sono i personaggi, cosa dicono/fanno?

I personaggi sono due, Gesù e i discepoli. È Gesù a parlare.

ora è stato glorificato il figlio dell’uomo. L’attore di questa gloria è Dio Padre ed accade proprio ora al momento del tradimento. Credo nella potenza dell’amore del Padre, in grado di vincere ogni tenebra presente nel cuore dell’uomo?

-Dio si glorificherà in lui. Il verbo glorificare ha qui una sfumatura riflessiva (si glorificherà). Infatti la gloria del Figlio è simultaneamente la gloria del Padre. Sono in comunione con Gesù, fino al punto di avvertire il mistero santo della gloria di Dio nella croce? C’è ancora qualcosa che mi spaventa e mi respinge in questo mistero?

Figlioli, ancora per poco sono con voi. Dove io ritorno voi non potete venire. Quali distacchi dolorosi ho vissuto nella mia vita? Sento la parola di Gesù come rivolta a me? Quale desiderio, nostalgia nell’incontro con lui?

-Vi do un comandamento nuovo. Quale novità nella mia vita e nel mio cuore per l’incontro con Gesù?

-Amatevi gli uni gli altri, con l’amore con cui io vi ho amati. Sono consapevole che, dentro le mie fragilità e inconsistenze, agisce lo stesso amore che proviene dalla croce?

-Tutti conosceranno che siete miei discepoli. Come si manifesta la mia appartenenza a Lui?

 

  • Quale rivelazione è contenuta qui?

La Chiesa è il luogo dove l’amore consegnato da Gesù sulla croce è operante e rinnova profondamente i cuori e le relazioni. Come vivo e sperimento il mistero della Chiesa?

 

 

  1. Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min).

Le quattro parole del cristiano adulto nella fede

 

Il cristiano adulto è l’uomo la cui fede è ormai solida, fondata. Possono passare tante cose nella vita, accadere tanti fatti, ma l’uomo è saldamente ancorato in Dio. Come una nave che ha una carena in grado di affondare diversi metri sotto l’acqua, per spostare il baricentro in fondo e reggere l’urto del mare mosso. Per giungere a questo punto il cristiano deve poter verificare nella sua vita la presenza di quattro parole: prova, ascolto, unità e attrazione. Proviamo a vederle un po’ una per una.

Prova: il cristiano è un “uomo provato”. Provato nella propria debolezza, come Pietro, che aveva rinnegato tre volte il suo maestro nel momento dell’angoscia. Provato per una pesca notturna andata male: si era esposto lui in prima persona, aveva convinto tutti gli altri a prendere il largo e a pescare…ed ecco che tutti sono stati condotti da lui al fallimento. Allo stesso modo può accadere anche a noi quando con onestà e generosità ci impegniamo, ci mettiamo la faccia, ma i frutti sembrano essere pochi.  Questa è l’esperienza della prova. Essa è inevitabile, nessuno ne è risparmiato. La tentazione più comune è quella di gettare la spugna, di scappare e ricominciare da un’altra parte, favorita oggi da una cultura del provvisorio, che preferisce aggirare gli ostacoli alle prime difficoltà, perché nulla varrebbe davvero la pena. Il cristiano adulto deve passare attraverso questa prova, starci dentro, con la perseveranza. Senza perseveranza non c’è fecondità.

Ascolto: Come perseverare? Ecco qui l’importanza dell’“ascolto”. Di fronte ad una mancanza di frutti, ci possono essere tanti aspetti da considerare. Sono da valutare gli obiettivi, forse sproporzionati; c’è da riflettere sui mezzi per ottenere degli obiettivi. Ma prima di tutto sono da focalizzare i propri desideri più profondi, più veri. Lì c’è la voce del Signore da ascoltare, che mi invita a gettare la rete dalla parte destra della barca. Può talvolta sembrare un invito paradossale e incomprensibile, come pescare di giorno, ma, se corrisponde ad un desiderio profondo e vero, vale la pena ascoltarlo. Poi verranno gli obiettivi e i mezzi conseguenti, che saranno continuamente da riformare: ciò che rimane però sempre salda e mi dà perseveranza è la struttura del mio desiderio e che si esplicita in un servizio reso all’uomo ogni giorno, nella famiglia, nel lavoro, nella società. Ecco il cristiano adulto.

Unità: quanto detto finora non è completo. Manca la dimensione comunitaria. Pietro tira la rete piena di 153 grossi pesci, che non si spezza. C’è un’unità che è dono di Dio e che passa attraverso un’istituzione, la Chiesa. Il cristiano sa che è inserito in una comunione più profonda delle divisioni, che è la comunità ecclesiale. Tante sensibilità diverse, tante prospettive diverse, tutte insieme nella Chiesa fanno unità se ciascuna si considera una parte del tutto e se non assolutizza il proprio “carisma” o semplicemente il proprio “punto di vista”. Il cristiano adulto sa gustare le differenze nella Chiesa e sa viverle dentro una dialettica intelligente e una ricerca di sintesi.

Attrazione: infine quando Pietro arriva da Gesù a portare i pesci trascinati nella sua rete, vede che ve ne sono altri già sulla brace.  Gesù li ha già trascinati, ben prima di Pietro, con la sua morte e resurrezione, perché egli trascina tutti a sé. Questo significa che i nostri “risultati visibili” sono sempre da considerare all’interno del primato della grazia, dell’amore di Dio, che opera anche oltre i confini visibili della Chiesa. È come un fiume carsico. Voi vedete in superfice un letto prosciugato, specialmente in estate. Ma quant’acqua scorre in profondità? Essa è in grado di dissetare tutto il paese. Il cristiano adulto ha una fiducia incrollabile nel potere di attrazione della resurrezione di Cristo, che agisce in modo perlopiù sotterraneo.

Chiediamo al Signore risorto che ci aiuti ad aver sempre più fiducia in Lui, nella potenza della sua grazia che opera nel cuore di ogni uomo, senza eccezioni!

Pace a voi! Così rinasce una comunità

 

Viviamo una società di soli. Siamo tutti molto interconnessi attraverso i social, da Whatsapp a Facebook a Instagram, ma nelle relazioni intime e vitali, quelle che contano, nei rapporti che creano clima sociale e orientano concretamente la nostra vita quotidiana, siamo tutti più soli.
Con chi parliamo dei nostri interrogativi profondi? Con chi ci sfoghiamo di ciò che ci mette alla prova? Con chi comunichiamo l’importanza di certe mete raggiunte, di certi traguardi, di certe scelte che ci stanno davanti? Mettiamo le foto di momenti belli, riceviamo gli auguri di compleanno, certamente…ma quanta solitudine c’è nella vita concreta, di tutti giorni. Ognuno si costruisce la sua agenda, irta di impegni, e alla fine della settimana può dirsi soddisfatto o meno se è risuscito a fare tutto e a farlo bene. La solitudine non è dovuta ad avere più o meno persone intorno, o più o meno likes nei nostri post, ma dal pensare la mia vita in una chiave esclusivamente individuale o, al massimo, familiare, per cui tutto il resto non mi interessa, non mi riguarda, in fondo me ne frego. La paura di compromettermi, di perdere tempo, di fare fatica con gli altri, impegnandomi in qualcosa di più grande di me è alla base di questo atteggiamento.
Anche la comunità dei discepoli di Gesù si trovava un po’ in questa situazione, dopo la morte del loro maestro. Avevano paura di tutto e di tutti e stavano a porte chiuse, loro soli. È in questo contesto che Gesù compare, stando in mezzo a loro. Gesù risponde alla chiusura e all’isolamento dei suoi con tre messaggi.
Il primo è quello della sua posizione fisica, corporea. Egli è in piedi, da vivente e mostra le mani e il costato, dove i sono i segni della sua passione, che non indicano più la sofferenza e la morte, ma anzi l’amore che è fonte di vita e di speranza, perché lui è vivente, risorto. Questo primo messaggio centra subito l’obiettivo: i discepoli lo vedono e ne provano gioia, perché riconoscono Lui, il suo amore, il dono della vita che ha fatto per loro. Lui è il segreto e il cuore del loro stare insieme, della loro comunione e le paure all’improvviso spariscono.
Il secondo messaggio viene dalle sue prime parole, rivolte alla comunità dei suoi discepoli: “Pace a voi”. Non è solo un saluto, è molto di più. È la comunicazione di una pace che supera le solitudini, le chiusure dovute alle paure di ciascuno di noi e porta i discepoli, la comunità a sentirsi più unita, più forte, più piena di speranza e di desiderio di continuare la propria esperienza e testimonianza di fede. A volte nelle comunità ci sono anche asperità, amarezze, dovute a rapporti personali compromessi da piccole, grandi ferite, che non si è mai voluti ricucire. In alcuni casi addirittura delle persone si allontanano da una comunità cristiana, perché la ferita non si richiude e si sentono sole e non comprese dagli altri. Questo allontanamento non dovrebbe accadere se si fosse pienamente convinti che il risorto è davvero in mezzo a noi ed è in grado di dare la pace, ossia di ricucire le ferite e gli strappi e lenire quella solitudine o quel risentimento che possono tenere lontani gli uni dagli altri.
Il terzo messaggio viene dal soffio dello spirito, che ricrea quegli uomini dal profondo del loro cuore. È come una rinascita, un ritornare a quello stadio della giovinezza in cui il futuro è totalmente aperto e in cui si sentono delle energie in grado di vincere tutte le sfide: “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Questa energia è sperimentata da un’intera collettività di persone: è un fuoco che invia, che manda a testimoniare la persona di Cristo, ad annunciare il Vangelo. Se non sentiamo più il crepitare di questo focherello nel nostro cuore e nella nostra comunità, è venuto il momento di attizzarlo, invocando il Signore e il Suo Spirito su di noi, e aprendoci umilmente al perdono e alla gioia!

Lettura popolare II Quaresima

Lettura popolare II Quaresima Anno C 

 

Lc 9,28-36

Gesù trasfigurato sul monte

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

Nel contesto immediato il racconto della trasfigurazione fornisce una risposta a quegli interrogativi e risposte parziali sull’identità di Gesù che percorrono questa sezione del vangelo (cf. 9,7.18-19).

L’attacco dell’episodio al v. 28 (“dopo queste parole”) si ricollega chiaramente al precedente annuncio della passione e all’esigenza di seguire Gesù sulla via della croce (cf. vv. 23-27).  L’intenzione di Gesù è di pregare, in intimità con i suoi discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte, così come già aveva fatto prima di scegliere i Dodici (cf. 6,12). Ad ogni passaggio fondamentale della sua vita Gesù sente il bisogno di pregare, entrando in un rapporto privilegiato con il Padre suo.

Nella preghiera di Gesù, secondo l’evangelista Luca, risplende la gloria della sua intima relazione con il Padre e ciò viene misteriosamente manifestato da un radicale cambiamento di aspetto, che si accompagna allo straordinario sfolgorio delle vesti. Il colore bianco richiama chiaramente sia la divinità che la resurrezione.

Su questo sfondo compaiono in primo piano due uomini che conversano con Gesù, condividendone la gloria. Di essi viene subito specificata l’identità: sono Mosè ed Elia. Mosè rappresenta la Legge ed Elia rappresenta i profeti (cf. Lc 24,27). Quando Gesù risorto spiegherà ai due discepoli di Emmaus la necessità delle sofferenze del messia per entrare nella gloria, lo farà a partire dalle Scritture, sinteticamente riassunte con la formula “Mosè e i profeti”.  Similmente qui Luca, a differenza degli altri sinottici, ci rivela il contenuto di questo dialogo: essi stavano parlando dell’”esodo” che egli stava per compiere a Gerusalemme. La morte di Gesù in croce, la sua resurrezione dopo tre giorni e infine l’ascensione sono complessivamente considerati sotto la categoria di “esodo”, che letteralmente significa uscita, ma che richiama gli eventi salvifici di Dio nell’Antico Testamento. In questo modo Luca chiarisce che nel mistero Pasquale si compie tutto l’Antico Testamento, tutta la rivelazione di Dio presente nell’evento dell’uscita del popolo dall’Egitto e portata avanti dai profeti con l’attesa del messia.

I discepoli hanno sonno (v. 32) che indica la loro lentezza di cuore nel credere (cf. Lc 24,25). Da ciò si motiva anche l’intervento di Pietro, che cerca di prolungare, eternizzare questo momento di gloria, incapace di coglierne il significato profondo in relazione al mistero della morte e resurrezione di Gesù a Gerusalemme. Se l’idea di montare tre tende può apparire singolare, in realtà essa si motiva alla luce della festa delle capanne, in cui il popolo di Israele abita nelle capanne in ricordo dell’esperienza dell’Esodo, in cui la tenda di Dio abitava in mezzo a loro nell’accampamento (cf. Lv 23,42; Zc 14, 16-19).

Ora Pietro e gli altri due apostoli dovranno imparare a non pretendere di trattenere una gloria che non è in loro potere. Dovranno invece comprendere che questa gloria si compirà con la morte in croce di Gesù e con la sua resurrezione. Dovranno custodire questa immagine e le parole pronunziate dalla voce che esce dalla nube, simbolo della presenza di Dio come sul monte Sinai (cf. Es 24,15-18), anche durante i terribili eventi della passione, quando saranno distaccati dal loro maestro e Signore a causa della sua morte. In particolare dovranno ricordare le parole che la voce di Dio pronuncia, citando la Scrittura (Sal 2,7; Is 42,1), per indicare ai discepoli l’identità di Gesù e invitarli ad ascoltarlo. Lui è il messia eletto, scelto da Dio, che essi devono ascoltare secondo l’indicazione che Mosè aveva già dato molto tempo prima (cf. Dt 18,15). Egli è il Figlio di Dio, nel quale si manifesta l’elezione e l’amore del Padre (cf. Lc 3,22).

Appena la nube sparisce, rimane Gesù solo. Quella gloria improvvisamente manifestatasi ai discepoli deve essere riposta esclusivamente in lui, nella sua persona che cammina come uomo, scendendo dal monte, verso Gerusalemme. Seguire lui fino alla sua passione significa rimanere nella comunione con il Padre ed entrare nel compimento definitivo delle Scritture, nella rivelazione di Dio.

 

 

 

 

 

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.  (15 minuti)

L’esperienza di luce (attivare il ricordo)

 

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico. La domanda contribuisce a mettere il partecipante nella posizione dei servi della parabola.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Lc 9,28-36 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  •  Qual è il contesto geografico e narrativo del racconto evangelico?
  • Siamo sul monte in un luogo isolato, che ricorda i monti dell’AT, il Sinai dove JHWH ha donato la Legge al popolo attraverso Mosè, e l’Horeb, dove Elia ha incontrato JHWH non nel fuoco e nel tuono ma nella voce di un silenzio sottile. Anche qui ci aspettiamo che il monte sia un luogo di rivelazione. Quali luoghi hanno caratterizzato il mio incontro con Dio?

 

  • Chi sono i personaggi, cosa fanno?
  • Gesù, salito sul monte, prega. Come immagino la preghiera di Gesù? Mi sento coinvolto e affascinato dal modo in cui Gesù prega? Come prego io?
  • Mentre Gesù prega, il suo volto viene trasfigurato e compaiono Mosè ed Elia. La Parola di Dio mi trasfigura, perché si compiono anche in me le figure della storia della salvezza. Percepisco il mistero della Scrittura nella mia vita?
  • Pietro, Giacomo e Giovanni sono oppressi dal sonno. Non riescono a stare con Gesù, a rimanere con lui, nella sua preghiera. Anche in me forse prevalgono stanchezza e affaticamento, che mi impediscono di vivere pienamente la preghiera?
  • Pietro, Giacomo e Giovanni hanno paura mentre entrano nella nube, che rappresenta la presenza di Dio. Anch’io ho paura di Dio?

 

  • Cosa dicono i personaggi?
  • Gesù, Mosè ed Elia parlano con Gesù del suo esodo, che sta per compiersi a Gerusalemme. La morte di Gesù è per me scandalo o è il mistero di Dio che si compie nella mia vita?
  • Pietro reagisce: «facciamo tre tende». Pietro vuole camminare con Dio, come il popolo di Israele, e costruirgli una tenda. In realtà dovrà capire che per camminare con Dio gli basta seguire Gesù. Come cerco Dio nelle scelte della mia vita? Seguo Gesù o in fondo solo me stesso?
  • La voce dal cielo afferma: «Questi è il Figlio mio, l’eletto. Ascoltatelo!». Come ascolto il Figlio di Dio? Attraverso la Parola, i sacramenti, la preghiera a Maria Sua Madre, la visita al Santissimo Sacramento ecc.?  

 

  • Quale rivelazione è contenuta qui?
  • Gesù rimane solo. Tutta la gloria della rivelazione e della Scrittura si concentra nella sua persona, e nel suo cammino verso Gerusalemme.
  1. Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

 

 

 

 

Lettura popolare I Quaresima

 

 

 

Lettura popolare I Quaresima Anno C

 

Lc 4,1-13

Gesù tentato nel deserto

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

Gesù è tentato non nel senso che è spinto a commettere un peccato ma nel senso più radicale che è messo alla prova perché sia verificata la sua fedeltà a Dio. La prova per Gesù non è quindi qualcosa che lo spinga a commettere un male, ma ciò che può manifestare in lui quel che egli è nel profondo di sé stesso, ossia Figlio di Dio. Al contempo questa prova lo abilita al ministero, manifestando la sua superiorità nei confronti dell’Avversario e mostrando che né la sete di potere né l’egocentrismo potranno mai distoglierlo dalla sua missione, che sarà compiuta in perfetta obbedienza alla volontà di Dio.

Gesù torna dal Giordano pieno di quello Spirito Santo che ha appena ricevuto dopo il battesimo, e ora in quello stesso Spirito, che lo riempie fin nell’intimo, si reca nel deserto per quaranta giorni, tentato dal diavolo (v. 2). Egli compie nella sua vita l’esperienza del popolo di Dio nell’esodo, che per quarant’anni cammina nel deserto, luogo di intimità profonda con Dio e insieme di prova di fede (cf. Dt 8,2).

La prima prova di Satana parte dal bisogno fondamentale della fame, per proporre a Gesù una “gestione in proprio” della sua identità di Figlio di Dio, come un potere in grado di autoalimentare la sua umanità. Con la sua risposta, fondata sulla teologia del Deuteronomio: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Dt 8,3), Gesù mette in luce che la sua missione, ricevuta dal Padre, è quella di realizzare la vocazione essenziale dell’uomo, ossia di obbedire a Dio. Essere Figlio vuol dire obbedire al Padre e in quanto uomo significa non ricercare un’egocentrica autosufficienza, ma una radicale dipendenza da Dio.

La seconda prova è innescata da una specie di visione istantanea (v. 5) di tutti i regni del mondo con la gloria umana, ossia il potere politico. Il diavolo afferma di essere colui a cui è stato dato questo potere e di poterlo a suo volta dare a chi vuole. Egli si pone come modello di Figlio, a cui il Figlio di Dio dovrebbe guardare per la sua missione e nello stesso tempo si dichiara capace di donare ciò che solo Dio può dare al suo messia (cf. Sal 2,8; Dan 7,14). Gesù dovrebbe adorarlo come Dio per ottenere subito il regno messianico senza passare per il mistero di morte e resurrezione (cf. At 2,30-36). Gesù fa ricorso alla celebre preghiera che il giudeo compie tre volte al giorno, per indicare la sua appartenenza radicale a Dio: “Il Signore tuo Dio adorerai, a lui solo renderai culto (Dt 6,13)”.

La terza prova è una sottile perversione della parola di Dio da parte del diavolo (cf. Sal 91,11-12). Se egli è sempre protetto dal Padre suo, lo dovrà manifestare chiedendo al Padre interventi di carattere miracoloso. Gesù risponde con un’altra citazione dalla preghiera di Dt 6: “non tenterete il Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa” (Dt 6,16). Li infatti il popolo aveva voluto “costringere” Dio a manifestarsi, esigendo l’acqua da bere (Es 17,1-7). Il ministero di Gesù invece sarà caratterizzato dall’umile obbedienza al progetto di Dio, anche quando alcuni lo solleciteranno a scendere dalla croce per manifestare la sua identità divina (cf. Lc 23,35-37).

In effetti il diavolo, esaurite le sue tentazioni, potrà tornare alla carica proprio durante la passione, attraverso l’operato dei personaggi che agiscono sotto il suo impulso (cf. Giuda in Lc 22,3 e i  soldati e i capi sotto la croce in Lc 23,35-37).

 

 

 

 

 

 

 

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.  (15 minuti)

L’esperienza della tentazione

 

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico. La domanda contribuisce a mettere il partecipante nella posizione dei servi della parabola.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Lc 4,1-13 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  •  Qual è il contesto geografico e narrativo del racconto evangelico?

-Gesù è guidato dallo Spirito Santo nel deserto . La prova che Gesù vivrà è permessa da Dio, per una manifestazione della sua identità di Figlio di Dio. Sono convinto anch’io che dentro alle prove della vita c’è una provvidenza superiore che mi accompagna?

-Gesù è guidato nel deserto. Dove si trova per me il deserto? È una condizione positiva o negativa?

  • Chi sono i personaggi, cosa fanno?
  • Gesù non mangia nulla per quaranta giorni, poi ha fame. Quali sono i bisogni che in questo periodo sento maggiormente?
  • Il diavolo lo tenta. In quali punti di debolezza sento di essere più tentato?
  • Cosa dicono i personaggi?
  • Il diavolo tenta Gesù a partire dalla sua condizione di Figlio di Dio: “Se tu sei Figlio di Dio”. Vivo la mia fede in modo “consumistico”, come un pretesto per godermi i miei piaceri “spirituali”? Per trasformare le cose e la realtà a mio piacimento?
  • Gesù risponde: “Non di solo pane vivrà l’uomo.” Cosa significa per me essere alimentato dalla Parola di Dio ogni giorno? La Parola entra nella mia vita e modifica la mia mentalità e le mie azioni?
  • “Se ti prostrerai in adorazione davanti a me”. Quali idoli nella mia vita? Quali cose o persone a cui mi prostro e penso di non poter fare a meno?
  • Gettati giù di qui”. Metto alla prova Dio in qualche situazione?

 

  • Quale rivelazione è contenuta qui?

Gesù è il Figlio di Dio e con il dono dello Spirito e la forza della Parola di Dio riesce a sconfiggere il tentatore.

 

  1. Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

 

 

 

 

Lettura popolare I Quaresima Anno C