Capita, quando si leggono gli Atti degli Apostoli, di pensare: “se questi sono i segni della Chiesa, tanti miracoli ad opera degli apostoli e tante conversioni, allora oggi siamo davvero distanti da quella Chiesa delle origini”.
In realtà gli Atti degli Apostoli, di cui oggi abbiamo ascoltato la prima lettura, sono stati scritti proprio per ottenere l’effetto opposto, ossia per farci innamorare di quella Chiesa, farci notare le “somiglianze” con la nostra esperienza, prima che le differenze, ed incoraggiarci a seguire sempre più quel modello.
Anche la Chiesa degli Atti, infatti, aveva un modello, e quel modello era Gesù stesso. Guardiamo a Filippo, cosa fa nel suo annuncio missionario se non produrre quei medesimi segni che già Gesù aveva operato nel suo ministero pubblico? Una predicazione unita a segni di guarigioni dal male, come gli esorcismi, indica una vittoria già ottenuta contro le potenze del male che, di conseguenza, produce grande gioia. Poi arrivano gli apostoli e per l’imposizione delle loro mani portano a questi nuovi discepoli samaritani il dono dello Spirito Santo, che inserisce la nuova Chiesa nella comunione con Dio e con la Chiesa di Gerusalemme.
Queste allora sono le caratteristiche della Chiesa: annuncio del vangelo, vittoria contro il male, gioia, dono dello Spirito, comunione tra gli uomini e con Dio. Anche noi possiamo godere di questi doni, ce lo conferma oggi il vangelo di Giovanni. Ci viene infatti donato lo spirito Paraclito che, come dice Gesù, “rimane presso di voi ed è in voi”. Dunque è un dono permanente ed interiore. Permanente significa che non ci viene tolto, amenochè non lo rifiutiamo noi. Interiore significa che parla al nostro cuore ed è già dentro di noi, prima che noi andiamo a cercarlo chissà dove. Egli viene definito come lo spirito della verità, ossia che ci conduce alla verità. Non è solo verità oggettiva, dottrina, ma è la verità di Cristo come realtà esistenziale, che attraversa e assume ogni aspetto della nostra vita. Lo Spirito ci conduce al cuore della comunione tra Gesù e il Padre suo, in modo che se lui è nel Padre, anche noi lo siamo, appartenendo a Gesù. “Io sono nel padre mio e voi in me e io in voi”: la reciproca immanenza di Gesù in noi e di noi in Gesù indica una mutua inabitazione, un possedersi reciprocamente
“Io sono nel padre mio e voi in me e io in voi”. Questa unione che è frutto di comunione profonda e intima nel permanere della differenza tra noi e Dio, è il dono dello Spirito Santo: egli ci procura una misura sovrabbondante di energia d’amore, per affrontare le difficoltà non banali del tempo che stiamo vivendo. Dobbiamo riconoscerlo: la nostra società si va sfaldando e disunendo in una serie di conflitti: tra nazioni del mondo, tra stato e regioni, tra partiti e cittadini, ma ancor più tra strutture amministrative e corpo sociale, tra regolamenti e potenzialità vitali. Occorre equilibrio, che non è semplicemente compromesso, ma è la tensione dinamica tra polarità contrapposte, che possiamo chiedere come dono dall’alto. Dove la tensione degenera nel conflitto aperto si crea rabbia, discordia, fatica e disunione: è quello che stiamo vivendo! Il tutto è condito con la miscela esplosiva della paura del futuro e della prospettiva della recessione. È qui che come Chiesa siamo chiamati a testimoniare il dono dello spirito, che opera l’unità di Dio, anzitutto dentro di noi, sconfiggendo la paura. Poi ci aiuta a trasformare il conflitto in una tensione positiva, che fa ripartire la vita invece di bloccarla e genera un superiore senso di appartenenza e di comunione.
Come la Chiesa apostolica, così la nostra chiesa, oggi, con l’annuncio del vangelo e il dono dello Spirito può vincere il demonio della divisione e della paura, donare una gioia duratura e contribuire a risolvere i conflitti verso una comunione più profonda.




