

Caterina va a scuola e cerca di fare del suo meglio ma, purtroppo, i risultati non sono sempre dei migliori. È spesso distratta e svogliata, ha nel suo cuore un desiderio a cui non riesce a dare un nome e che non sa come realizzare nella sua vita. Tutto ciò che le viene proposto a scuola o nello sport – lei fa danza – non attira più molto la sua curiosità e il suo slancio. Fa tutto perché lo deve fare o per far contenti i suoi genitori…ma questo desiderio nel cuore punta ad altro, ad un futuro che lei non riesce bene a chiarire a sé stessa. Negli ultimi mesi poi si è un po’ chiusa, dopo una discussione avvenuta in classe con le sue amiche, da cui si è sentita esclusa perché non l’hanno invitata ad una festa di compleanno. Sempre lì con il cellulare, gli unici contatti che la soddisfano sono quelli con gli amici di tik tok, quelli che le inviano rose e cuori mentre lei fa le dirette video sul social. Lì si sente gratificata e accettata. Ma il mondo fuori è grande, troppo grande per essere affrontato, compreso, desiderato…Ogni tanto pensa alle guerre, pensa ai ragazzi che come lei emigrano e fanno lunghi viaggi per arrivare in Europa: a pensarci dovrei sentirmi fortunata, considera tra sé e sé, ma in realtà mi sento solo più ansiosa perché il mondo non è più un luogo sicuro. La cosa che però la agita maggiormente è la prof. di inglese: sempre arrabbiata con lei e con alcuni altri suoi amici, perché sente le scarse prestazioni dei suoi studenti come un suo fallimento personale: una volta Caterina ha avuto perfino un attacco d’ansia in classe, prima di un’interrogazione di inglese! Poi i suoi genitori l’hanno rassicurata e trasmesso una certa sicurezza: troverà in lei la forza di affrontare tutte le sfide! In quel momento ha sentito di nuovo dentro di sé quel desiderio, quell’apertura, quella fiducia pensando al suo futuro, quella stessa fiducia che percepisce quando prima di andare a dormire si rivolge a Dio, non più con le preghiere insegnatele dalla nonna, ma con parole sue… Che questa fiducia sia davvero un segno della presenza di Dio in lei?
Hamina è una giovane afghana venuta in Italia con un ponte aereo organizzato da un’agenzia umanitaria. Con le sue sorelle, Haris e Farah, più piccole di lei, si trova accolta temporaneamente presso una famiglia. Non conosce la lingua italiana e comunica un po’ solo con i gesti e con qualche parola di inglese. Ma con la nuova famiglia da cui è stata accolta si è fatta capire subito: lei e le sorelle sorelle hanno stretto amicizia con i genitori, con i loro figli, che hanno più o meno la stessa età e con altri giovani amici che vengono ad aiutarle ad imparare l’italiano. Quello che la imbarazza di più però sono le strette di mano degli uomini adulti italiani: nella loro cultura è proibito toccare un uomo adulto. Poi le manca la sua casa, il babbo, la mamma, la sua scuola…ma adesso in Afganistan per lei non ci sarebbe stato più futuro. Suo babbo è in carcere come prigioniero politico e lei non avrebbe più potuto studiare o aspirare ad una qualsiasi professione…il suo desiderio è di riscattare con il suo impegno tutto il sacrificio che suo padre sta facendo. Non sa nulla dell’Europa, ma già sta nascendo in lei il desiderio di farsi una strada, una famiglia, un lavoro…di vivere insomma tutte le possibilità che una ragazza come lei potrà avere in un paese come l’Italia. Certo c’è anche un po’ di ansia, un po’ di paura, e forse un segreto desiderio di ritornare, da grande, nel suo villaggio nativo, dai suoi cugini, nel suo paese…ma è ancora tutto così incerto. Per ora in Italia c’è solo il suo permesso di soggiorno come rifugiata che è sicuro…cosa accadrà per lei nei prossimi anni? Solo il suo Dio, a cui lei si affida, fin da bambina, può saperlo.
Caterina e Hamina sono accomunate da molti aspetti: il primo è che hanno entrambe 15 anni; il secondo è che sono in una situazione di bisogno, confusione ed anche emergenza. Per Hamina si tratta di un’incertezza soprattutto esterna, sociale e della mancanza di punti di riferimento sicuri per il suo futuro, in un paese non suo. Per Caterina invece si tratta di un’incertezza interiore, di un’ansia rispetto alle sfide di ogni giorno, di una difficoltà di capire sè stessa e di fidarsi nelle relazioni, come pure di comprendere cosa desidera veramente dalla vita. Entrambe, sia Caterina che Hamina, sono al di là e al di fuori dei pensieri di chi conta veramente nel mondo: in Afganistan le donne non sono minimamente considerate dai potenti talebani; ma anche in Italia, purtroppo, non si può dire che gli adolescenti siano sempre in cima all’agenda politica dei decisori. Basta vedere le difficoltà in cui versano le nostre scuole a gestire un disagio adolescenziale sempre maggiore. Le due ragazze infine hanno un ulteriore punto in comune: hanno una ricerca di Dio nel loro cuore, sperimentano una certa luce che le guida e orienta ad affrontare il futuro, proprio quando sentono più insicurezza e precarietà.
Questa stessa situazione di precarietà e insicurezza è quella che ha abitato Gesù, appena nato. Il suo posto non è stato la reggia del potere di Augusto, ma il katalyma, la stanza di sotto, dove ci sono gli animali: non è propriamente un contesto sicuro, protetto e garantito, per un momento così delicato e fragile come il parto. Anche il contesto sociale non è dei migliori: Giuseppe ha affrontato quel viaggio solo per andare a pagare le tasse e a quel tempo, come pure in tutti i decenni successivi in terra di Israele, ci sarebbero state forti proteste e un vasto malcontento sociale per quei gravami imposti da Roma. In questa situazione di crisi il bambino Gesù è sottoposto ai poteri di questo mondo e sperimenta la debolezza e l’incertezza dei piccoli e dei poveri, di chi non conta nulla. Nella crisi egli è luce che indica una strada, non all’imperatore Augusto, ma a pastori che ci ricordano il pastore Davide, l’ultimo dei fratelli, il più piccolo, che è diventato re di Israele. Davide infatti è il segno di una regalità che nasce dalla piccolezza, che valorizza risorse poco appariscenti, ma destinate a crescere. Davide è figura che anticipa questo re bambino, Gesù, che proprio abitando la storia e immergendosi in essa, con le sue crisi e contraddizioni, è in grado di aprire una strada e ad offrire una luce a tutti i poveri e a tutti i giovani.
Loro cambieranno il futuro, che è nelle loro mani.
A noi adulti spetta dare e trasmettere fiducia, creare un contesto ambientale e sociale più solido, fornirli di strumenti e capacità che li aiutino a crescere e a costruirsi opportunità a partire dai loro desideri. Soprattutto ci chiedono di aiutarli a rafforzare la loro fiducia, in sé stessi, nei loro desideri e nei valori con cui intendono costruire il loro futuro. Fiducia in quella luce che li sostiene anche quando sono in crisi; fiducia in quelle relazioni che li fanno crescere, molto più di tanti contatti al cellulare. Il Signore Gesù è venuto come bambino e come giovane, per aprire il futuro di ogni generazione: oggi in particolare Gesù è venuto a riaprire il loro cuore ai desideri più veri, per vincere i condizionamenti di un mondo economico invasivo, che li profila per poterli rendere consumatori perfetti dei propri prodotti. Contro l’invasione dei cellulari nella vita dei nostri ragazzi, questo Natale può essere occasione per riscoprire i legami veri e aiutare i ragazzi a “sentire” l’importanza della vita reale, di un contesto relazionale che non si limita a custodirli, ma li incoraggia anche a scoprire e onorare fino in fondo la loro autenticità e i loro doni.
