Esercizi sugli Atti degli Apostoli (III meditazione)

At 8,26-40. La conversione del funzionario etiope

  1. Un incontro impossibile

Il racconto della conversione dell’eunuco e del suo battesimo è anticipato da una rapida sintesi dell’attività missionaria di Filippo in Samaria. Dopo l’uccisione di Stefano scoppia una violenta persecuzione contro la Chiesa a Gerusalemme, in particolare contro i cristiani ellenisti e ciò produce una dispersione di questi discepoli in Giudea e in Samaria. Il verbo “disperdere” in greco significa anche “seminare” e viene utilizzato da Luca due volte: la prima per riferirsi alla fuga dei discepoli (v. 1) la seconda (v. 4) per indicare come questi dispersi di luogo in luogo andavano annunciando la Parola.

Questa dispersione diviene dunque una provvidenziale semina della Parola di Dio, al di fuori dei confini di Gerusalemme e del territorio della Giudea e della Samaria  Così si introduce la missione di Filippo in Samaria, che vede un primo episodio nella conversione di un’intera città (5-8), un secondo nel battesimo di Simon Mago (9-13)  e – dopo un quadro narrativo in cui si parla dell’arrivo di Pietro e Giovanni da Gerusalemme (14-24) –  un terzo episodio con il battesimo del funzionario della regina Candace (26-40).

Questo episodio inizia con un personaggio che quando entra in scena negli Atti degli Apostoli, incarna sempre interventi inaspettati e secondo la volontà di Dio: l’angelo del Signore (cf. 5,19; 10,3; 12,7ss; 12,23; 27,23). Egli entra in scena per ordinare a Filippo di recarsi sulla strada da Gerusalemme a Gaza, a mezzogiorno. La distanza tra Gerusalemme e Gaza è di circa 100 km e il narratore (probabilmente è lui ad aggiungere questa specificazione) ci spiega che si tratta di un luogo deserto. L’orario del mezzogiorno (è più probabile che l’indicazione sia di carattere temporale che geografico, anche se si possono intendere entrambe le connotazioni) non è così favorevole per viaggiare, dato il caldo e il sole a picco di questi luoghi desertici.

Il racconto fa emergere dunque che ciò che sta per accadere, l’incontro tra Filippo e il funzionario etiope, è un evento “statisticamente” molto improbabile, se non addirittura impossibile. Che un uomo viaggi a quell’ora verso Gaza e che Filippo si trovi proprio lì ad incontrarlo…solo la volontà di Dio poteva “architettare” questa improbabile connessione di eventi.

La connessione degli eventi all’inizio del racconto mostra la signoria di Dio, dentro l’apparente casualità dell’incontro, in un orario e in un luogo insoliti. Possiamo chiederci in che misura siamo in grado, come comunità cristiana, di leggere questi incontri personali come eventi spirituali ed ecclesiali e non solo come un tempo cronologico, senza spessore di significato.

  • L’obbedienza e l’ascolto di Filippo

Da notare inoltre che Filippo non sapeva assolutamente il motivo di quel comando stranissimo, di recarsi a quell’ora in un luogo deserto. Questo non fa che rafforzare la percezione nel lettore della pronta obbedienza di Filippo, della sua docilità alla volontà di Dio, anche quando ben poco risulta chiaro in ciò che sta accadendo. Se l’angelo comanda: “Alzati e vai a mezzogiorno sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza”, il narratore ci riferisce, con gli stessi verbi, che egli “si alzò e andò”, con un’obbedienza senza riserve né domande.

Egli si fida e probabilmente confida nel fatto che capirà gradualmente il senso e la motivazione di quel comando. Un itinerario simile a quello di Filippo sarà compiuto da Pietro, come vedremo al capitolo 10: il punto di partenza è un’estasi piuttosto ambigua, ma poi lo Spirito guida Pietro passo passo, fino alla casa del Centurione Cornelio (cf. 10, 9-16. 19).

Anche qui più avanti il narratore riferirà la voce dello Spirito Santo, che parla a Filippo e gli indica cosa deve fare (v. 29). Alla fine dell’episodio è sempre lo Spirito Santo a muovere gli eventi da protagonista, rapendo Filippo e portandolo ad Azoto, lungo la costa mediterranea, fino a Cesarea Marittima (cf. vv. 40).  Non è dunque sufficiente l’angelo, per comprendere bene la volontà di Dio: Filippo ha bisogno anche delle indicazioni interiori dello Spirito, che lo conducono a incontrare proprio quella persona che era in viaggio. Egli è dipinto da Luca secondo il modello dei profeti Eliseo ed Elia, che erano avvolti dallo Spirito e venivano condotti in modo improvviso e imprevedibile (cf. 1Re 18,12; 2Re 2,11-12; Ez 3,14).  Essi obbediscono a Dio e sono docili alla sua Parola. Allo stesso modo Filippo esegue puntualmente le parole dell’angelo, che potevano sembrare assai strane.

A questo punto il narratore si sofferma a presentarci il personaggio del funzionario regale. Egli è il “tesoriere” della Regina di Etiopia, che ha il titolo di Candace ed è eunuco.  Da notare che il termine tesoro in greco (gaze) suona come la città di Gaza. Con un gioco fonetico il narratore vuol forse alludere al fatto che in questo viaggio al funzionario sarà dato da amministrare ben altro tesoro… Che la tonalità “esotica” di questa presentazione, un po’ altisonante, sia voluta da Luca per attirare l’attenzione del lettore, non stupisce. L’Etiopia era meta di viaggi nel I secolo, alla scoperta delle sorgenti del Nilo. Ma ciò che importa suggerire a Luca è che la Parola per mezzo di questo incontro inaspettato e improvviso, è destinata a giungere fino ai confini del mondo (cf. At 1,8), fino al lontano regno di Etiopia. Si compiono così le parole del profeta Isaia che aveva profetizzato l’arrivo a Gerusalemme degli Etiopi, con le loro ricchezze (Is 45,14), per supplicare il Signore e convertirsi al Dio d’Israele. Non a caso questo funzionario regale è presentato da Luca come un timorato di Dio, che si reca a Gerusalemme per adorare, ossia per partecipare in certo modo al culto, secondo le modalità previste per i timorati non ebrei. Egli viene denominato come eunuco, qualifica che non necessariamente implica una castrazione, perché nella LXX e anche altrove indica spesso alti funzionari politici e militari, anche se era molto frequente che gli alti funzionari delle regine fossero anche evirati. Il dettaglio, al di là della materialità, è molto importante perché, secondo Dt 23, 2 l’eunuco non può entrare nella comunità del Signore, cioè essere circonciso. Il profeta Isaia aveva però annunciato un tempo in cui stranieri e eunuchi possono essere a tutti gli effetti considerati parte del popolo dell’alleanza ed entrare nella casa, ossia nel tempio (cf. Is 56, 3-8; cf. anche Sap 3, 14).

È proprio il profeta Isaia che il funzionario sta leggendo ad alta voce nel suo viaggio di ritorno. Invitato dallo Spirito, Filippo gli si accosta e gli domanda, senza preamboli né presentazioni: “capisci quel che leggi?”. Il greco di Luca ci offre una bella paronomasia[1]: “ginoskeis a anaginoskeis?” I due verbi sono lo stesso verbo, ma con una preposizione in più che fa la differenza. Leggere è un conto, ma comprendere il senso profondo della Scrittura è un altro. Qui Lc si rifà alla sua teologia delle Scritture, la cui chiave di interpretazione globale può essere solo Cristo risorto (cf. Lc 24, 27. 45-49).

La domanda dell’uomo è dunque pertinente: di chi sta parlando il profeta, di se stesso o di qualcun altro? Egli cita un passo del quarto canto del servo di JHWH, che Luca sceglie a proposito. Si tratta di due versetti (Is 53,7-8) in cui si parla della morte violenta e umiliante del servo, che non ha opposto resistenza. L’ingiustizia di questa uccisione di un uomo innocente e indifeso è simbolicamente rappresentata dal sacrificio di un agnello. La sua morte è rappresentata come una recisione (testo ebraico) o un’elevazione (testo greco della LXX, citato da Luca) della sua vita dalla terra. La traduzione greca della LXX citata da Luca ha trasformato il compianto per la perdita della discendenza, in una domanda retorica di segno opposto: la sua posterità chi potrà contarla? Sembra un ribaltamento radicale: dall’umiliazione si passa ad un’improvvisa esaltazione. Non a caso, la frase che recita: la sua vita è stata recisa dalla terra, può essere letta in greco anche “innalzata da terra”. È una probabile allusione all’ascensione di Gesù. Qui Luca sta presentando un testo greco che già nella tradizione della prima Chiesa veniva letto in senso cristologico, attraverso un ribaltamento di prospettiva. Dalla morte umiliante all’esaltazione e dalla perdita della vita al dono di una posterità senza fine. Qui si sta parlando di Cristo, del suo mistero di morte e resurrezione.

Sembra chiaro anche il motivo per cui Luca insiste proprio su questo passo per l’eunuco etiope: la sua vita è stata recisa dalla terra, ma la sua posterità è innumerevole. L’eunuco vi legge la sua condizione umiliante che gli impedisce di generare e di far giungere il suo nome fino alla fine del mondo, secondo la speranza biblica più originaria.  E insieme vi legge una possibilità di riscatto… forse che dentro a questa umiliazione non ci sia nascosto un bene più grande, un’improvvisa ed inaspettata fecondità? Le Scritture tracciano una via di comprensione di sé, davanti al testo…

Ma finchè il funzionario non ha accesso al senso cristologico, non può entrare pienamente nel senso esistenziale, che è la comprensione piena del testo. Per questo è necessario qualcuno che faccia “da guida”, che apra questa strada per l’interpretazione, che conduca l’uomo progressivamente verso il mistero, attraverso l’annuncio. È il ruolo di Filippo che annuncia Gesù all’eunuco, cominciando proprio da quel passo (v. 35) e diffondendosi sulle Scritture, sul modello che il lettore già conosce (cf. At 2).

Filippo si affianca senza imporre nulla, ma ascoltando l’uomo e le sue attese frustrate. Solo conseguentemente alle sue domande annuncia il compimento di quelle attese che aveva intravisto contemplando le Scritture.  Quella di Filippo è una “conversazione spirituale”, che parte dalla vita dell’uomo e dalle sue domande profonde, per orientarle verso la scelta fondamentale di Cristo. Il Battesimo, visto come punto d’arrivo della conversazione, è il luogo sacramentale dell’avvenuta trasformazione discepolare. Da ciò si può ricavare un buon esame su come viviamo e orientiamo la conversazione con le persone che incontriamo. Ed anche come accompagniamo le persone sulla Parola di Dio: molto spesso replichiamo il modello docente-discente, invece di partire dall’ascolto dei vissuti. (cf. 1 Pt 3,13-17)

  •  Libertà di Filippo

A questo punto la narrazione procede veloce verso il suo compimento: l’eunuco stesso chiede di essere battezzato e il rito viene amministrato da Filippo in un corso d’acqua corrente. Ma subito dopo, appena risalito dall’acqua, lo Spirito rapisce Filippo per un’altra missione.

Filippo viene trasportato dallo Spirito ad Azoto, dopo il battesimo dell’eunuco. Dopo i primi incontri, anche fruttuosi, con le persone, ravvisiamo in noi una certa fretta di incasellare le persone nelle nostre “strutture” comunitarie: ad esempio si può tendere ad offrire subito un servizio da svolgere, un gruppo da frequentare e, soprattutto, una messa d’orario a cui partecipare. Non che questo sia di per sé sbagliato, anzi. Ma ci possiamo chiedere se qualche volta una certa “fretta” di “aiutare” la persona non sia il sintomo di una autoreferenzialità, di un’incapacità di guardare al cammino della persona con maggiore libertà di cuore. (cf. Mc 5,1-20)

  • Fecondità dell’etiope

L’eunuco continua, pieno di gioia, la sua strada.

La gioia dell’uomo è il frutto spirituale immediato dell’evangelizzazione (cf. 8, 8). Questa consolazione spirituale infonde coraggio e forza a quest’uomo per continuare la sua strada verso l’Etiopia. Non sente la mancanza di Filippo, non identifica il Vangelo con l’evangelizzatore…il vero annuncio non crea dipendenza ma libera l’affettività dell’uomo orientandola verso il compimento della sua personalità, verso la pienezza della propria vocazione, verso la riuscita fecondità della propria vita. Colui la cui vita era stata recisa dalla terra, perché era un eunuco, è pieno di gioia perché inizia a compiersi in lui la promessa evangelica: egli avrà una discendenza numerosa in terra d’Etiopia, la discendenza spirituale di una Chiesa che sta per nascere attraverso la sua testimonianza e predicazione. Naturalmente questo il narratore non lo riferisce esplicitamente, ma lo lascia intendere per mezzo dell’espediente letterario con cui libera improvvisamente l’etiope dalla presenza di Filippo. Quest’ultimo è uno strumento per mezzo del quale nasce una nuova discendenza spirituale.

L’eunuco viene liberato da Cristo nella sua affettività profonda, e il suo cammino umano diviene finalmente generativo, fecondo, in modo nuovo e inaspettato. Ritengo che questa finalità, la conversione “affettiva” della persona, debba essere presa chiaramente in considerazione nei cammini ecclesiali, per giovani e adulti. Ci possiamo chiedere in che misura i percorsi educativi e formativi da noi predisposti siano orientati alla generatività che emerge dalla relazione con Cristo, più che alla trasmissione di alcuni contenuti. Credo che questo possa essere una meta da desiderare e da chiedere con insistenza al Signore (Gal 1,13-17).


[1] Figura retorica in cui si accostano parole che hanno un suono molto simile, per produrre un effetto di significato.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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