La Parola della compassione (Omelia X TO Anno C)

 

Quando c’è un funerale di una persona conoscente, facciamo fatica a trovare le parole della consolazione e della speranza. Abbiamo timore ad entrare nel cerchio privato della sofferenza familiare, a toccare il dolore.

Gesù invece non ha paura, quando vede il corteo funebre a unirsi ad esso e toccare la bara, che per un ebreo era “cosa impura”.  Gesù tocca il “luogo” della morte, lo condivide e per questo motivo la sua parola è in grado di trasformare la morte e di donare una paradossale e inaspettata resurrezione: “dico a te, alzati”.

Il morto “parla” e la parola come segno di comunicazione e di vita si trasmette alla folla, che proclama la sua fede nel Dio di Israele rivelatosi attraverso Gesù: “Dio ha visitato il suo popolo”. La parola ha vinto la morte ed è diventata lode e rendimento di grazie del popolo. Solo i viventi infatti possono lodare il Signore e noi uomini, viventi, siamo fatti per la sua lode! La Sua parola ci dona le parole vere, capaci di celebrare la bellezza della vita che rinasce.  Come Elia Gesù ha resuscitato un bambino morto, più di Elia Gesù ha compiuto il miracolo solo con la Sua Parola e con essa ha generato le parole di fede del popolo.

Da dove proviene questa parola? Io penso che l’origine di queste parole sia la compassione di Gesù: sentimento di Dio, che prende su di sé il male e la morte dell’uomo e la condivide fino ad assumerne tutte le conseguenze. Sentire compassione vuol dire condividere la situazione dell’altro, i suoi sentimenti, il suo dolore, la sua disperazione. Questo sentimento non ci lacera e non ci indebolisce, perché sappiamo che non la nostra parola, ma la potenza della resurrezione di Gesù è già all’opera.

Se l’attuale comunicazione globale ci porta costantemente a contatto con il male del mondo e proprio per questo ci rende assuefatti e perfino indifferenti al male, la compassione di Gesù ci educa a non rassegnarci, a continuare a indignarci, a confidare in Lui e mettere in atto quello che possiamo fare, nel nostro piccolo.  Anche noi, come parrocchia, possiamo fare qualcosa: la papa Giovanni ad esempio ci ha informato che ci sono adolescenti immigrati che, compiuti i 18 anni, devono uscire dalle case famiglia e stare in strada in attesa di rientrare in un progetto di accoglienza per adulti, rischiando così di diventare facile preda di mondi criminali. Perché non aiutare questi ragazzi come parrocchia, anche attraverso la collaborazione con la papa Giovanni?

La compassione di Gesù comporta un entrare nel lutto del nostro popolo, per la mancanza di futuro, di figli e di giovani e restituire la speranza con parole e gesti di responsabilità. Oggi questo significa anche avere il coraggio di cambiare la società e le istituzioni per vincere privilegi ingiusti e dare più sostegno ai giovani. Oggi in molte città d’Italia ci sono le elezioni: preghiamo perché la nostra società ritorni a scommettere sui giovani e li aiuti e incoraggi concretamente nelle loro scelte.

 

 

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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