La Bibbia come Antico e Nuovo Testamento

 

Quale rapporto possiamo pensare tra AT e NT. Il punto di partenza della nostra riflessione vuole essere Rm 11, 29: l’ alleanza di Dio con Israele non è mai stata annullata, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Questo sarà il punto di riferimento e il filo conduttore che ci guiderà nel riflettere sull’AT in rapporto con Cristo e col NT, evitando il rischio di considerarlo come qualcosa di sorpassato! Una teologia di questo tipo è erronea e non fondata né sulla Scrittura né sulla tradizione dei padri e della Chiesa. Infatti non vi è alcun documento della Chiesa che dica che l’AT è superato e non serve più. Questo contraddirebbe il fatto che lo consideriamo ispirato e ispirante per la vita della Chiesa e che fa parte del canone. Sarebbe sbagliato anche ritenere che l’AT sia importante solo nella misura in cui è citato dal NT e serve a chiarire il NT. Uno comprensione di questo tipo, ossia di carattere meramente funzionale, contraddice  la natura stessa dell’ispirazione, che comporta una piena collaborazione dell’uomo all’opera dello Spirito Santo, il quale non può essere considerato mero strumento in funzione di qualcosa d’altro. Detto in altri termini, c’è una pienezza di umanità nell’AT, attraverso la quale passa il soffio dello Spirito, che va considerata nella sua autonomia, per poter apprezzare fino in fondo il mistero del compimento cristologico delle Scritture, come mistero della libertà di Dio e dell’uomo insieme ( cfr. l’uomo sofferente del Salmo 22 rappresenta un uomo in carne e ossa, o ancor meglio, l’esperienza di un popolo in carne e ossa. Solo passando attraverso questo  spessore di umanità, questa “figura” reale, si può poi arrivare a capire come questo Salmo si compie nel mistero del Cristo morto in croce e risorto).

Allora, per essere più precisi, quali modelli sono stati costruiti nella storia per pensare il rapporto tra AT e NT?

1) Modello di sostituzione: il NT sostituisce l’AT. Questo modello Il popolo di Dio è la Chiesa, Israele è stato rigettato ( cfr. Mt 8, 11 – 12 ). Questo modello si coglie qua e la nell’interpretazione di qualche padre della Chiesa, come ad esempio l’apologista Giustino nel suo dialogo con Trifone ( tra 155 e 160 d.C. ).  Ma sarà Marcione a farne il cuore della sua impostazione esegetica e teologica, di fatto espellendo tutto l’AT e gran parte del NT dal canone scritturistico. In epoca moderna e contemporanea posizioni simili sono state assunte da Schleiermacher e da von Harnack.

Lo scritto neotestamentario che più da vicino sembra appoggiare questo modello è Eb 10, 1 – 18. In particolare  10, 18 sembra abolire l’alleanza precedente, perché con il sacrificio di Cristo non vi è più bisogno dei sacrifici levitici. Cristo è infatti il sommo sacerdote che con la sua morte sacrificale ha riconciliato una volta per tutte gli uomini con Dio, mentre il culto sacrificale antico aveva bisogno di molti riti senza poter compiere ciò che Cristo ha compiuto. Tuttavia l’autore non dice mai che l’alleanza sinaitica come tale è stata abolita. Il richiamo alla nuova alleanza di Geremia 31, 33 – 34 mostra che l’autore pensa alla nuova alleanza non come fine dell’alleanza sinaitica, ma come compimento di essa, nella discontinuità rispetto al sacerdozio levitico del tempio ( traendo ispirazione della linea profetico/sacerdotale, attestata in Geremia e anche in Ezechiele). Non si può dunque servirsi di Eb 10, 18 per appoggiare una teologia della sostituzione.

Modello di preparazione: (cfr. DV 15). In questo modello l’AT è visto come una preparazione e annunzio profetico di Gesù Cristo. Esso è visto come un repertorio di figure ( tempio, agnello pasquale, Mosè, servo sofferente, profeta, re, sacerdote, pastore ) che il NT applica a Cristo come compimento. Tuttavia il rischio di questo modello è, come abbiamo già anticipato, di considerare l’AT come meramente funzionale al NT, e di fatto, abolito da quest’ultimo, perché serve solo a comprendere il NT. Esso invece ha un suo spessore storico, come storia di rivelazione che ha un valore perenne (cfr. Rm 11, 29).

Uno scritto neotestamentario può essere interpretato in questo senso, ossia Gal 4, 21 – 30.

 

vv. 21 – 23: Paolo presenta i due figli, Ismaele e Isacco, collegati rispettivamente alla schiava e alla libera come figlio della carne e figlio della promessa.

vv. 24 – 28: Paolo introduce l’allegoria, una donna, Agar, la schiava, rappresenta l’alleanza del monte Sinai ed è la Gerusalemme terrena. L’altra è invece la Gerusalemme di lassù ed è libera ed è la madre. Al v. 28 si conclude con un identificazione diretta degli interlocutori con i figli della madre libera / Gerusalemme celeste, come Isacco.

vv. 29 – 30: ora l’allegoria si applica ai due figli, ossia anche a quello della schiava, che viene interpretato come il giudeo che rimane sotto il giogo della legge, e in particolare il giudeocristiano che costituisce l’avversario diretto di Paolo nella lettera.

L’ asse monte Sinai – Gerusalemme terrena è una sintesi di tutta la storia della salvezza veterotestamentaria vista come preparazione. Si riassume tutta la storia del popolo di Dio dal cammino nel deserto, passando attraverso il dono della legge sul monte Sinai, fino alla piena stabilità con l’instaurazione della monarchia davidica in Sion e la costruzione del tempio.  Questo asse è completato da quello tra Gerusalemme terrena e Gerusalemme celeste. Nel giudaismo tardivo la riflessione sulla storia di Gerusalemme, ricca di delusioni distruzioni e ricostruzioni, porta a non identificare più il compimento nella città terrena, ma con una Gerusalemme di lassù.

Tuttavia il fatto che Paolo contrapponga Gerusalemme terrena e Gerusalemme celeste non implica che queste due realtà siano totalmente separate. Infatti la Gerusalemme celeste è il compimento di quella terrena e ne svela l’identità storica, ossia essere il segno di una liberazione in Cristo.

In questo modo Paolo non contrappone la legge / Sinai alla fede in Cristo (cfr. 3, 21). Piuttosto intende mostrare la radicale incompatibilità tra due atteggiamenti di fronte alla legge e ultimamente davanti a Dio. Ossia l’atteggiamento di chi fa della Legge una barriera che impedisce di cogliere la libertà di coloro che aderiscono a Cristo e sono figli della Gerusalemme celeste, e l’atteggiamento di chi come Paolo ritiene che Cristo abbia rivelato il vero senso della Torah. Agar, Sinai e Gerusalemme terrena non sono affatto abolite ma sono una preparazione, che trova una piena liberazione nella Sion / Gerusalemme celeste. Dietro la formulazione allegorica c’è in realtà una vera e propria concezione tipologica di Paolo ( cfr. scheda su rapporto tra allegoria e tipologia) , la quale non svuota la storia ma la concentra e la porta a compimento.

Quindi in Paolo il rischio insito nel modello di preparazione è in realtà evitato.

 

Modello promessa – compimento:  l’AT in questo modello può essere compreso come una promessa che viene compiuta dal NT. Girolamo, ad esempio, vede nel Vangelo il compimento della promessa di Ger 31, 31 – 34.  Hartmut Gese, ordinario di AT a Tubingen, nel 1970 afferma che il NT è il compimento del telos (finalismo) che attraversa il dinamismo anticotestamentario, permettendo di comprenderlo nella sua propria natura. Anche Agostino ha una felice affermazione di questo tipo quando sintetizza: “ Il NT è nascosto nell’AT e l’AT diventa chiaro nel NT” ( cfr. Queast. In Hept., 2, 73; citato da DV 16). Tuttavia questo modello può essere “banalizzato”, quando si pensa il compimento come un completamento, come se dall’AT al NT ci sia un semplice passaggio dal meno al più, in cui il più contiene tutto il meno e lo rende perciò superfluo. In realtà il compimento del NT non rende superflua la promessa dell’AT, perché questa promessa è ancora valida e da compiersi definitivamente alla fine della storia, quando anche il compimento del mistero di Cristo nel NT sarà pienamente realizzato con il suo ritorno (cfr. Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana. Documento della Pontificia Commissione Biblica n 21 ultimo capoverso.)

Vediamo più nel dettaglio.

Ger 31, 31 – 34

Schema: annuncio v. 31

Descrizione dell’alleanza nuova:

a. in termini negativi ( v. 32 )

b. in termini positivi ( vv. 33 – 34 )

Alleanza: tyrB berit, il termine di per se non indica un patto bilaterale, ma la promessa di uno dei contraenti nei confronti dell’altro ( cfr. Gen 15, 18 ), che dunque assume un obbligo. Nel brano di Geremia in esame questo significato è molto chiaro, Dio si impegna nei confronti del suo popolo senza chiedergli alcuna contropartita.

Questa alleanza è detta nuova ( cfr. Dt 30, 1 – 14; Ger 24, 6 – 7; Ez 11, 17 – 20; 36, 26 dove si parla di cuore nuovo ). Si confronti anche Es 34, 10 dove si trova il rinnovamento dell’alleanza sinaitica, dopo il peccato del vitello d’oro.  Qui l’alleanza avviene subito dopo l’infrazione e le leggi sono riscritte. Fin dall’inizio dunque al centro non è l’agire dell’uomo, ma la promessa di Dio che si rinnova senza revocare quella precedente.

Quindi alleanza nuova può indicare non la sostituzione di un’alleanza con un’altra ma il rinnovamento della stessa alleanza su basi più solide, che rendano possibile anche la fedeltà dell’uomo. Qui la pietra è sostituita dal cuore, nel senso che la legge di Dio è scritta all’interno della volontà e dell’intelligenza dell’uomo perché egli cooperi con il volere di Dio.  In questo senso il Signore circonciderà il cuore dell’uomo ( cfr. Dt 30, 6 ), perché egli possa amare Dio con tutto il cuore ( cfr. Dt 6, 6 ). Qui tutti lo conosceranno dal più piccolo al più grande e non ci sarà più bisogno di mediatori, dal momento che il rapporto tra Dio e il suo popolo avviene direttamente nel cuore di ogni uomo.

Dove si compie questa promessa di una nuova alleanza?  Nel NT  troviamo quattro racconti dell’istituzione dell’eucarestia ( Mc 14, 22 – 25; Mt 26, 26 – 29; Lc 22, 15 – 20; 1 Cor 11, 23 – 26 ). Lc e Paolo fanno riferimento alla nuova alleanza di Ger 31. In questo contesto la passione e morte di Gesù in Croce è vista non come il fallimento definitivo dell’uomo rifiutato da Dio e dagli uomini ma viene reinterpretata alla luce del dono che Gesù fa di se nel suo corpo e nel suo sangue, come una nuova alleanza, che comporta perdono e riconciliazione, fedeltà da parte dell’uomo e il dono di una nuova intimità tra Dio e gli uomini.

Tuttavia questo compimento della promessa deve ancora ottenere la sua ultima realizzazione nel banchetto eterno (cfr. loghion sul banchetto escatologico Mc 14, 25; Lc 22, 18).  Il compimento della nuova alleanza di Geremia non può essere visto semplicisticamente come già avvenuto nel NT, ma come un dinamismo che si compirà solo alla fine dei tempi.

Modello della simultaneità o  dialogico:  Si parte dall’analisi di Rm 9 – 11, da cui abbiamo iniziato la nostra argomentazione. Il ragionamento di Paolo nasce dalla necessità di comprendere come mai è avvenuto il rifiuto di una parte di Israele. Forse la parola di Dio è venuta meno?

Prima argomentazione 9, 6 – 29: la parola di Dio non è venuta meno perché non tutti i discendenti di Giacobbe sono Israele. Egli è libero di chiamare chi vuole, così come chiama il figlio minore ( Giacobbe ) al posto del maggiore (Esaù).

Seconda argomentazione 9, 30 – 10, 21:  la giustizia richiesta dalla legge ha raggiunto il suo scopo in Cristo. Una parte di Israele non ha raggiunto la giustizia perché l’ha cercata non per mezzo della fede in Cristo ma per mezzo delle opere della Legge.

Terza argomentazione 11, 1 – 32: Dio ha allora forse ripudiato il suo popolo?  No, ma l’indurimento di una parte di Israele ha la funzione di far entrare i pagani.  Tuttavia la piena realizzazione della promessa di Dio si avrà quando anche tutto Israele sarà salvato (cfr. v. 26).

 

La relazione tra Israele e le nazioni non è semplicemente binaria ma ternaria.  Infatti l’olivo e l’olivastro non sono semplicemente uno dopo l’altro, ma uno nell’altro, e ciò che li tiene insieme è la promessa con il suo compimento, Cristo. Tra Israele e i pagani instaura una competizione che Paolo considera positiva alla luce del progetto di Dio: infatti la gelosia di Israele è per la sua salvezza ( cfr. 11, 11) e mostra la transizione da un desiderio conflittuale, che spinge al conflitto con le nazioni e alla reciproca sostituzione, ad un desiderio positivo per il quale Israele e le nazioni non possono possedere il loro oggetto, la salvezza, se non insieme. E questo avverrà definitivamente solo alla fine della storia.

L’uno e l’altro testamento non sono in una posizione di rivalità, essi non posseggono il loro oggetto, che è Cristo, se non insieme. Questo significa che il compimento dell’AT è nel NT, solo nel senso che entrambi si compiono simultaneamente in Cristo, colui che viene a noi al termine della storia.

 

 

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

2 pensieri riguardo “La Bibbia come Antico e Nuovo Testamento

  1. Cara Manuela, la differenza è sottile. Nel modello della preparazione si sottolinea particolarmente lo sviluppo graduale, per esempio l’evoluzione della morale in Israele (con un progresso dall’esteriorità all’interioriorità) o l’evoluzione nei sacrifici (dal Dio violento che permette sacrifici umani, cfr. Iefte e sua figlia nel libro dei giudici, al Dio che chiede l’offerta spirituale di se nei testi profetici e in alcuni salmi) fino ad arrivare al Nuovo Testamento.
    Nel modello della promessa si parte dai profeti che hanno fatto delle promesse (cfr. Is 7, 14 e Mt 1) che poi si sono compiute nel nuovo Testamento. Non c’è un’evoluzione ma un compimento, una realizzazione storica della parola pronunciata dal profeta molti secoli prima..

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