LA LEGGE SCRITTA NEL CUORE
Lectio divina su Ger 31, 29 – 34
DUE ORACOLI, UN SOLO MESSAGGIO.
Con due oracoli successivi (vv. 29 – 30. 31 – 34) Geremia indica un tempo di radicale novità che attende il popolo. Con una formula a lui cara ( “non + verbo + più “cfr. Ger 16, 14; Is 62, 4) il profeta indica un mutamento in atto nella realtà, che si manifesterà nei modi di dire, nei proverbi che condensano la saggezza dell’uomo: “In quei giorni non si dirà più:<< i padri hanno mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati!>>, ma ognuno morirà per la sua propria iniquità; si allegheranno i denti solo a chi mangia l’uva acerba.”
Ordinariamente si interpreta questo brano come una maturazione nella coscienza del popolo di Israele, dovuta alla predicazione profetica: si passa da una concezione collettiva del peccato e della retribuzione, ad una concezione esclusivamente personale. In realtà non si deve troppo insistere su questa presunto sviluppo di carattere morale, perché l’uomo della Bibbia, anche dopo Geremia, ha e avrà sempre profonda e giusta consapevolezza dell’intimo legame, nel bene e nel male, che attraversa le generazioni (cfr. Ez 16, 44 – 45; Es 34, 7). Il giudizio del profeta non intende costruire una filosofia morale ma contestare l’applicazione di questo principio, in se vero, al particolare contesto storico in cui si trova Israele.[1] Le verità astratte espresse in determinati contesti storici possono diventare autentiche menzogne!
IL CONTESTO STORICO
Qual’è il contesto storico di questo oracolo? Facciamo un breve richiamo. Gerusalemme è stata definitivamente conquistata e distrutta dal re Babilonese Nabucodonosor nel 587 a.C. e gran parte della popolazione si trova deportata in Babilonia. La terra e il tempio e la legge dei sacrifici, cuore simbolico dell’identità religiosa e politica di Israele, non esistono più e il popolo di Israele sta radicalmente perdendo la sua identità, intimamente connessa all’Alleanza conclusa con i Padri. Ne parla il profeta al v. 32, affermando che essa è caratterizzata da un tempo iniziale e fondatore, un tempo della storia segnato dall’infedeltà del popolo e un tempo presente di punizione. L’inizio è costituito dall’atto gratuito e unilaterale di Dio di stipulare un’alleanza nel liberare il suo popolo dall’Egitto (cfr. Dt 29, 24; Ger 11, 3 – 4;Ger 34, 13; Dt 5, 6) e nel portarlo per mano, con un gesto di tenerezza paterna (Os 11, 1. 3; Ez 16, 4 – 6. Dt 1, 31; Es 19, 4). La storia è contrassegnata dall’ espressione “infrangere l’alleanza”, che indica una rottura totale del vincolo da parte del popolo (cfr. Gn 17, 14; Lv 26, 44 Ger 11, 9 – 10), tanto più grave in quanto è in contrasto radicale con l’azione gratuita da parte di Dio, indicata dal possessivo “mia alleanza”. Il tempo presente è attraversato dalle conseguenze della sanzione divina: “Ho esercitato su di loro la mia autorità”.[2] Con questa espressione si indica la sanzione divina, ossia il dramma dell’esilio, come decisione inevitabile e pedagogica da parte di Dio, perché il popolo capisca che il male fa male davvero e non può conciliarsi con il bene (cfr. Is 24, 5 – 6). Fino ad ora ci sono state tante riforme in Israele, a causa del suo peccato (cfr. Es 34; Dt 28; Gs 24) ma esse sono state seguita da ulteriori tradimenti. Dunque il dramma dell’esilio è inevitabile, perché procede da una lunga e pesante storia di peccati, di infedeltà ormai divenuta radicale e insostenibile.
IL PROFETA ATTACCA: SIETE AMMALATI DI STORIA
Ecco allora questa storia di infedeltà pesa sulla spalle della giovane generazione degli Israeliti che, dopo anni di prosperità, sta conoscendo la sofferenza dell’esilio e ripete in modo ossessivo e autoconsolatorio il proverbio sui padri e i figli citato da Geremia. Loro sono le vittime del peccato dei loro padri, cui non resta che intonare il lamento funebre e saziarsi delle lacrime, in una sorda opposizione all’amara provvidenza di Dio. Il profeta attacca in modo diretto e senza giri di parole questo atteggiamento vittimistico, prendendo di mira quel proverbio che nasce da una storia antica, ma ormai divenuta troppo pesante, la storia dell’Antica Alleanza. Il proverbio non è sbagliato in se, ma la sua applicazione rivela una sfiducia radicale in Dio. Questi giovani israeliti sono ammalati di storia e non riescono più ad avere fede in Dio!
Questa parola colpisce al cuore anche la nostra generazione, amaramente colpita da una crisi che sembra privarci del futuro e consegnarci a prospettive sempre più pessimistiche. Anche noi, come i giovani Israeliti nell’esilio babilonese, siamo appesantiti da una storia, certamente ricca di doni, ma anche di fallimenti gravi e di potenzialità positive colpevolmente bruciate. Quante alleanze aveva fatto Dio con Israele, quante riforme, quanti nuovi speranzosi inizi: ed ecco tutto inutile! Anzi ciò è aggravato dalla coscienza di un male ormai arrivato a toccare il cuore della nostra stessa identità di popolo, di nazione: come gli Israeliti non siamo più orgogliosi di essere un popolo, anzi ci è diventato un peso insostenibile agli occhi delle nazioni, che ridono di noi. Perché Dio ci hai fatto nascere con sogni di speranza e ora ci fai sperimentare questa umiliazione? Che colpa ne abbiamo noi dei peccati dei nostri padri? Perché dobbiamo pagare per il loro egoismo? Allora meglio andarsene all’estero e costruirsi là una vita… ecco proprio a questo punto ci coglie la parola del profeta e ci sferza scuotendoci: voi siete ammalati di storia! La vostra saggezza è ormai un concentrato di pessimismo saccente che si addice più ad anziani amareggiati da continue sconfitte che a dei giovani. Si, ammettiamolo, rischiamo anche noi questa malattia. La malattia di una storia che pesa sulle nostre spalle come un’inutile fardello e di una saggezza che è in realtà solo rassegnazione consolatoria.
SAGGEZZA NUOVA È RESPONSABILITÀ PERSONALE
Il profeta scuote il suo popolo dal suo vittimismo e riportandogli davanti la libertà e la potenza di Dio. I tempi dell’esilio, quando il popolo subisce nella carne la conseguenza del peccato dei padri, dovranno trasformarsi in “quei giorni”, nei quali Dio ristabilirà le sorti del suo popolo (31, 23) e il popolo riconoscerà la fine dell’epoca della maledizione e l’instaurazione del tempo ultimo della benedizione. Pertanto bisogna abbandonare una saggezza divenuta troppo pesante per il peso della storia, e abbracciare una Speranza nuova, che si fida di Dio e delle sue novità radicali, ad ogni tornante della storia. Ognuno è responsabile nell’aprire il cuore a Dio e porre le condizioni della sua adesione a tale novità della “nuova alleanza”, con al sua personale conversione (cfr. 31, 30).
Questa “nuova alleanza” richiede una saggezza nuova, quella della responsabilità personale, secondo la quale il peccato dei padri non può costituire un pretesto per non impegnarsi e per non credere più nel futuro (v. 29 – 30)! Ognuno è moralmente responsabile del suo atteggiamento di fondo nei confronti della vita e del bene che può fare, in ogni circostanza, anche quelle più negativamente condizionate dai mali e dalle storture sociali accumulatesi nel passato. Dio è all’opera anche oggi con la sua provvidenza, egli rinnova continuamente la realtà in noi e attraverso di noi e trasforma il vecchio in nuovo. Ridà giovinezza alla giovine Italia, invecchiatasi nel frattempo. A noi spetta aprire il cuore e la mente al nuovo che avanza, alla potenza rinnovatrice del Vangelo!
LA NUOVA ALLEANZA NELL’INTERIORITÀ DEL CUORE
Ma si può davvero caratterizzare questa nuova alleanza come Vangelo, come novità assoluta di Dio? La nuova alleanza (31, 31) che il Signore stipulerà con Israele e con la casa di Giuda va posta in rapporto con quella precedente, per comprenderne la novità.
Certo essa è pur sempre un’alleanza, e dunque non può che essere costituita da una struttura “antropologicamente” riconoscibile come alleanza e in questo dovrà essere come la precedente. Come l’antica, anche la nuova alleanza è connotata dalla stipulazione di un patto (v. 33 cfr. Dt 5, 2 – 3), è una torah del signore (v. 33, cfr. Es 13, 9; 16, 4), è esprimibile tramite una formula di reciproca appartenenza, cfr. ”io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (v. 33, cfr. Dt 26, 17 – 18) e sarà caratterizzata da una esperienza di conoscenza del signore (Dt 4, 39) e di perdono (Es 34, 9). Inoltre essa si instaura “dopo quei giorni” (v. 31) ossia attraverso una transizione (cfr. Lv 26, 39 – 43) caratterizzata da sofferenza e conversione al Signore, che connota una certa continuità tra le due alleanze. Infine un ulteriore elemento di continuità è costituito dai destinatari: Dio fa alleanza con gli stessi peccatori, con Israele e con la stessa casa di Giuda (Rm 11, 32). La nuova alleanza è una realtà che riguarda anzitutto Israele, prima che la Chiesa!
Ma il profeta intende calcare la mano sugli elementi di novità.
Se nell’immagine del prendere per la mano (v. 31) c’era qualcosa di esteriore, che indicava una liberazione nazionale e politica, nella nuova alleanza abbiamo invece un evento interiore, caratterizzato dall’intimità del cuore (v. 33). Dare un cuore significa il dono della conoscenza della volontà di Dio e di una vita obbediente ad essa (cfr. Ger 32, 40. Ez 11, 19 ecc.). SI tratta di esprimere, con gli affetti, le riflessioni e le decisioni, una vita conforme alla legge di Dio (torah) che è la sua volontà d’amore. Se l’antica alleanza era identificata nell’ uscita dall’Egitto, un evento di liberazione politica, la nuova è descritta come un nuovo Sinai, un nuovo dono della torà (cfr Es 24, 12). La messa per iscritto su tavole di pietra, che durano, evoca infatti il Sinai (Es 31, 18). Tuttavia le tavole sono esterne all’uomo, solo la parola scritta sul cuore è un’operazione realmente definitiva. La nuova alleanza è così un nuovo Esodo dalla crisi che si compie nell’interiorità, nella coscienza dell’uomo. L’israelita non sarà più costretto a legare la legge tra gli occhi (cfr. Dt 6, 8-9), perchè l’avrà sempre, nel cuore sede della memoria e dell’intelligenza. Ecco la novità radicale della nuova alleanza: i valori della legge sono scritti nel cuore e non più in supporti esterni all’uomo. L’amore di Dio li incide interiormente in modo da suscitare la risposta affettiva dell’uomo, il si radicale a tutto ciò che vi è di buono e di vero nel mondo, frutto dell’azione di Dio nella storia.
IL LINGUAGGIO DEL VANGELO
Il nuovo esodo dalla crisi culmina nel dono della legge, definitiva perché scritta da Dio in un cuore d’uomo, il cuore di Cristo. In Gesù Cristo, nel suo cuore umano e divino, l’uomo ha definitivamente e irrevocabilmente[3] pronunciato quel si a Dio e così la legge è stata scritta nel cuore, nell’esistenza, nella vita dell’uomo. Ecco perché la nuova alleanza è Vangelo, è novità assoluta, perché assoluta è la risposta d’amore di Dio: qui egli stesso sta dalla parte dell’uomo e risponde per lui e in lui. Nel cuore di Cristo, nucleo profondo del Vangelo, sta allora il segreto di un nuovo innamoramento ai valori del bene e del bello che provengono da Dio, di una nuova immaginazione in grado di plasmare le istituzioni e la società umana, oggi così privati della spinta di futuro che le vecchie ideologie avevano infuso.
Oggi siamo nel tempo in cui in Italia la partecipazione civile e politica è scaduta al livello dello scontro personale, della pantomima televisiva, del falso democraticismo proprio di un certo qualunquismo populista. È il tempo dell’esilio dalla democrazia, dovuto al fatto che i valori del senso dello Stato e del Bene Comune, sono ancora scritti su carta e non nel cuore e nella cultura degli italiani. È l’antica alleanza ad essere ormai tramontata, quella scritta sui supporti esteriori, dalla carta stampata a internet. Le reazione giusta a questa deriva dell’antica alleanza, fissata su regole di carta, è la conversione personale, il si radicale a Dio che vuole scrivere le regole interiori della verità nel nostro cuore, che vuole farci innamorare del bene e del bello e vuole fare della nostra storia un’opera d’arte vivente. Si tratta di aprire il cuore alla novità del Vangelo!
Alla FUCI spetta annunciare il Vangelo, che oggi significa farlo diventare la linfa segreta e l’alimento vitale di un nuovo modo di pensare l’economia, la politica, la società. È un lavoro di immaginazione, di libertà, di abilità nel non lasciarsi intrappolare nelle gabbie ideologiche in cui l’avversario del Vangelo in ogni tempo vuole rinchiudere la Chiesa e il cristiano cattolico. È un lavoro fatto di serietà, profondità, ricerca sincera, sviluppo responsabile di competenze tecniche, ognuno nella porzione di mondo che il Signore gli affida. È un lavoro sorretto da una profonda fiducia nella Parola e nella sua capacità di generare significati in grado di interpretare e costruire il mondo nella verità dell’Uomo, con la fantasia di iniziative nuove e linguaggi di libertà.
Papa Francesco, il papa che parla italiano, ci sta mostrando la forza universale di questa parola libera, familiare, umana, dolce che proviene dal Vangelo e che si nutre dello Spirito che Cristo ci ha donato sulla croce. Questa parola è universale perché scaturisce da una potenza in grado di accedere a chiunque direttamente, piccoli e grandi. A questo livello non ci sono più maestri e discepoli perché tutti nel fondo del loro cuore lo conoscono, sentendone la profonda misericordia e l’inaudito potere di perdonare, rinnovare, cancellare il peccato (cfr. Ger 31, 34). È una radicale amnistia: se Dio non ricorda, ciò significa che il peccato davvero non esiste più. E lui lo fa, nella nostra vita e nella storia del mondo. Ripartiamo da qui, amici fucini, il Signore ci consegna un orizzonte sterminato: l’orizzonte del Suo perdono e del Suo amore, che apre il nostro futuro! A questo punto il futuro è davvero nostro: testimoniamoLo con coraggio, forza ed evangelica parresìa!
[1] Cfr. P. BOVATI, Dispense del Corso su Ger 30 – 31, PIB, AA 2012 2013, I Semestre, 234ss
[2] Cfr. W. RUDOLPH, Jeremia, HAT 12, Tübingen 1947, 1968 , 201-202
[3] Cfr. K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo (Cinisello Balsamo 2005), 256 – 257.