L’acqua che disseta (omelia II TO Anno A)

Il progresso industriale ed economico ha prodotte una grande varietà di bibite gassate, e ormai pochi di noi bevono l’acqua del rubinetto. Ma vi è mai capitato di avere realmente sete? Di esservi trovati a camminare per una giornata intera d’estate avendo dimenticato la borraccia? E poi di aver trovato una fontana accanto ad una casa o un abbeveratoio di campagna? Quell’acqua è sicuramente più buona di tutte le bibite del mondo. Quando hai veramente sete non bevi la coca cola, ma l’acqua! Quell’acqua limpida, fresca, che quando hai sete è la cosa più bella del mondo, è l’acqua dello Spirito che Gesù dona in mezzo alle aridità della nostra vita. Lo testimonia Giovanni il Battista: la vera acqua, quella che disseta tutto l’uomo non è quella del suo battesimo, ma quella che può donare soltanto Gesù. Non è l’acqua del fiume Giordano, ma è l’acqua che scaturisce dal costato trafitto di Gesù sulla croce. Quell’acqua lì disseta veramente, perché ci trasforma togliendo tutta l’oscura attrazione del male che ancora schiavizza la nostra coscienza.  Quell’acqua è lo Spirito, l’amore di Dio, che ci perdona e ci consola e ci viene donata con il battesimo di Gesù, il battesimo nello Spirito Santo!

Tante persone oggi, pur essendo battezzati e cresimati, è come se avessero ancora solo il battesimo con acqua, nel senso che non sono ancora consapevoli dell’azione dello Spirito Santo, che è stato realmente donato con il sacramento che hanno ricevuto da bambini. È necessario il battesimo nello Spirito, ossia che quel dono cominci ad operare con la potenza dello Spirito. Quante persone scoprono a trenta o quarant’anni il dono dello Spirito che hanno ricevuto da bambini. Magari dopo un periodo di aridità, dove si diventa scontenti di tutto e niente è più in grado di darti gioia, ecco che scopri l’acqua che disseta! Oppure dopo un lutto che ti cambia la vita, ecco lo Spirito ti scuote e ti sostiene! O ancora il dono bellissimo di un figlio o un amore sbocciato all’improvviso ti fanno intuire tutte le profondità della vita e per grazia di Dio arrivi nel punto più profondo, lì al centro del tuo cuore, dove c’è la fontana dell’acqua viva, che sgorga senza fine.

La cosa più bella poi è che questo battesimo nello Spirito non ti chiude in un’autosufficienza egoistica, ma ti apre agli altri, e ti fa entrare sempre più nella Chiesa, te la fa comprendere e amare. Avevi pensato alla Chiesa come un’istituzione potente, conservatrice e fredda e ora la scopri come una famiglia, in cui ti ritrovi ogni domenica, per ristorarti alle acque che dissetano, ai pascoli erbosi in cui puoi riposare dopo un lungo cammino sotto il sole.

Come comunità cristiana siamo chiamati a favorire questo passaggio, questa riscoperta, a accendere nelle persone la nostalgia profonda del dono che hanno già ricevuto. Siamo chiamati ad evangelizzare! E questo non solo per gli altri, ma per noi stessi, perché il dono dello fede è un tesoro che si accresce donandolo e muore se lo si tiene nascosto.  Parlo al noi e non intendo noii preti, ma intendo noi battezzati! Noi siamo una famiglia e una famiglia non è fatta solo dal babbo, ma anche dalla moglie, dai fratelli e dalle sorelle, dai nonni, dagli zii e dai cugini. E se il babbo ogni tanto è indaffarato al lavoro e ogni tanto ritorna a casa un po’ scorbutico perché stressato… non succede in ogni famiglia? Allora ci sono la mamma, i fratelli e le sorelle ad accogliere chi bussa alla porta e a farlo sentire a casa con un bel sorriso e qualche parola di benvenuto.

Se la nostra parrocchia è una famiglia, ognuno di noi è responsabile di donarle quel calore che accoglie e fa sentire a casa coloro che cercano Dio nella loro vita e non l’hanno ancora trovato.

Lettura e preghiera del Vangelo domenicale (II TO Anno A)

SCHEDA PER ACCOMPAGNATORI II TO Anno A

 

Gv 1, 29 – 34 II TO Anno A

 

Lettura

Giovanni il Battista proclama Gesù l’Agnello di Dio davanti ad interlocutori non precisati. Egli sta parlando a tutti, perché la sua testimonianza è universale (cfr. 1, 7). Gesù è presentato nell’atto di venire – perché egli è il Signore che viene (cfr. Is 40, 10) – verso Giovanni che rappresenta tutta l’attesa del popolo di Israele di un messia che avrebbe tolto i peccati del mondo (Zc 13, 2), ossia non solo i peccati individuali, ma il dominio del peccato sul mondo.  Gesù è dunque l’agnello che evoca i sacrifici di cui Israele non avrà più bisogno perché Egli toglie definitivamente ogni peccato. Giovanni vede in Gesù Colui che era vissuto prima di lui (v. 30), come Elia o il Profeta che doveva ritornare sulla terra a preparare gli ultimi tempi. Più radicalmente, come aveva già sottolineato il prologo, Gesù precede Giovanni perché è il Verbo di Dio, in cui era la vita e la luce (cfr. 1, 15). La testimonianza di Giovanni si sviluppa nei vv. 32 – 34, dove egli allude implicitamente al battesimo ricevuto da Gesù, per sottolineare la discesa dello Spirito. A differenza dei Vangeli sinottici (cfr. Mt 3, 13 – 17 par.) qui lo Spirito non solo discende su Gesù, ma anche rimane su di lui, perché egli sarà colui che battezza nello Spirito Santo, trasformando l’uomo in modo definitivo, col perdono dei peccati (cfr. 3, 5; 7, 37 – 39; 20, 22 – 23). Se nei Sinottici (cfr. Mt 3, 17 par.) è una voce divina a proclamare Gesù come Figlio di Dio qui è Giovanni il Battista a testimoniarlo, grazie alla sua capacità di “vedere” lo Spirito. Egli porta così a compimento tutta l’attesa ebraica di un messia, Figlio di Jhwh (cfr. Sal 2, 7), in grado di instaurare definitivamente il Regno di Dio.

 

Suggerimenti per la preghiera

1. Mi dispongo davanti a Dio in preghiera. Sto in ginocchio o seduto, per entrare in colloquio con il Signore, o meditare su ciò che leggo, a seconda di ciò che voglio.

2. Leggo con attenzione il brano di Vangelo.

3. Chiedo al Signore il dono di una conoscenza interiore di colui sul quale discende e rimane lo Spirito, per amarlo e seguirlo sempre più.

4. Vedo lo Spirito scendere come colomba e rimanere su Gesù. Egli ha donato a noi uomini ciò che già possedeva, lo Spirito, l’Amore di Dio.

5. Ascolto la testimonianza di Giovanni. Gesù è l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. Egli ha tolto il mio peccato e ogni male nel cuore dell’uomo e nella società.

7. Concludo con un Padre Nostro.

 

 

 

Lo Spirito dona pazienza e creatività (Omelia Battesimo di Gesù)

Omelia battesimo di Gesù

Di fronte alla complessità delle sfide che la vita comporta ogni uomo è consapevole che non tutto, anzi ben poche cose sono sotto il suo controllo. Ogni  desiderio, ogni causa, ogni progetto, nella misura in cui riguardano altre persone e il loro cammino a volte lento,  le loro rigidità e fragilità,  richiede tanta pazienza e umiltà, lo sguardo lungo di chi ha grandi e belle prospettive e al contempo conosce i piccoli passi per compierle ogni giorno.  Ma lo scacco più grande è quando l’uomo conosce la sua fragilità, la sua debolezza, il suo peccato, e comprende che non sono solo gli altri a porre ostacoli, ma proprio dentro al suo cuore c’è una parte che si ribella, che grida, che fatica.

A questo punto la tentazione è lo scoraggiamento, l’accidia, il lasciare andare le cose senza più reagire con forza interiore.  Penso che il mistero del battesimo di Gesù venga proprio in aiuto a noi quando siamo preda di questa tentazione.

Perché Gesù si è fatto battezzare da Giovanni? Ricordiamo che si trattava di un battesimo di penitenza, per il perdono dei propri peccati e che lo stesso Giovanni si era ribellato vedendo Gesù: “Come…sono io che devo essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Eppure Gesù per compiere la giustizia, ossia portare a compimento la volontà del Padre, si fa anche lui debole, immergendosi nell’acqua dell’umanità debole e peccatrice, degli elementi caotici e mortiferi. E proprio in questa immersione ha ricevuto il dono dello Spirito Santo, sotto forma di colomba, che rimane in lui e porta fecondità nella sua vita.

Allora anche noi riceviamo il dono dello Spirito Santo proprio dentro l’immersione nella fatica, nella sconfitta e nella debolezza, e così la nostra vita diventa feconda.

Penso particolarmente alle sconfitte e delusioni educative e al dramma così attuale di chi vede i propri figli ormai adulti, ancora senza famiglia, senza lavoro, senza una scelta, una direzione chiara nella propria vita. Giovani a cui la sera, dopo una giornata vuota, non rimane altre che bere un po’ in compagnia, o che, alla fine di una settimana in cui l’unico impegno è stato l’allenamento di calcio, vanno in discoteca dove oltre all’alcool gira anche fumo e non solo -e anche vicino a noi ci sono posti dove si spaccia-Ecco la tentazione dell’accidia, dello scoraggiamento, che le droghe non fanno altro che acuire, e che è radicata nel cuore e nella mente di una generazione che non sente più il futuro. Così dopo 20 anni dai tempi in cui la droga ha falcidiato una generazione,  c’è una nuova emergenza giovani a San Lorenzo.

Siamo ad un bivio, o ci lasciamo andare allo scoraggiamento, o invece riscopriamo l’azione della grazia di Dio, proprio dentro le fatiche delle nostre famiglie. Che il Signore ci doni pazienza e creatività, perché questo tempo così difficile diventi fecondo per una rigenerazione alla fede e alla vita di tanti che si sono rassegnati!

Accompagnare ogni uomo in cammino (Omelia per Epifania)

I magi arrivano dall’oriente seguendo la stella. L’oriente è il luogo dove sorge il sole e la stella è ciò che illumina la notte e indica la direzione all’uomo pellegrinante.  Tutti gli uomini di tutti i popoli, di tutte le condizioni sociali, senza eccezioni, vengono dall’oriente, perché la vita umana è una luce, un dono enorme, destinato a sorgere e a rimanere per l’eternità.

Essi seguono la stella di notte. Anche nella notte delle vie tortuose e difficili, lì dove tante volte gli uomini non comprendono la loro strada e sembra loro di essere sempre al punto di partenza, essi seguono una stella. È la stella della loro umanità autentica, che ricerca il vero, il bene e il bello. Nel lavoro onesto e competente, nella scoperta di cose nuove, nella contemplazione della natura, nel gusto dell’arte: l’umanità in ricerca percorre tante strade seguendo la stella, per arrivare da Gesù e per portare da lui tutte le ricchezze dei popoli, come dice Isaia, cioè tutte la pienezza e la bellezza dell’uomo, che si costruisce in modo autentico.

Ma c’è ancora un passaggio intermedio. Prima di arrivare da Gesù i magi hanno bisogno di passare da Erode  e di avere un’indicazione “ufficiale” della nascita di Gesù. Si, perché Erode è re di Israele, e dovrebbe come recita il Deuteronomio, contemplare il libro della legge ogni giorno, nell’attesa del profeta degli ultimi tempi, del messia. Chi se non lui dovrebbe essere informato della nascita del messia?

Eppure Erode non legge la Parola di Dio  personalmente, se la fa leggere e spiegare da altri, dagli “esperti”. In questo modo egli non assolve più quella funzione di sentinella, di testimone di Dio per i magi.

Erode è ogni cristiano che, non leggendo personalmente la Parola di Dio, non contemplandola nella sua vita, non è più testimone credibile di Dio per tutti gli uomini che hanno bisogno di lui per trovare la strada che porta a Gesù.

Erode è ogni battezzato che delega agli “esperti” (preti, vescovi, teologi…) il rendere ragione della propria fede a coloro che incontra nel suo cammino, avendo paura di dialogare ed esporsi con sincerità e dolcezza.

Erode è la Chiesa quando strumentalizza la parola di Dio a fini politici e perde la sua missione fondamentale, quella di evangelizzare,  di indicare ai magi, ai cercatori di ogni tempo, la strada per giungere dal messia che è nato ed offrirgli tutti i loro doni.

Il primo compito della Chiesa è evangelizzare. Ma la Chiesa non sono i preti o i vescovi, siamo tutti noi battezzati.

Comprendere questo significa uscire dall’orto chiuso dei nostri giri rassicuranti ed aprirci a tutti gli uomini che incontriamo nella nostra vita, come a cercatori di Dio.

Significa anche coltivare un’attenzione per la ricerca interiore di ogni persona, per le sue domande, i suoi dubbi, accompagnandola nel cammino. Accompagnare e non dare risposte precostituite è il modo migliore per mostrare la strada di Betlemme, lasciando che ciascuno trovi la casa di Gesù tramite la sua stella.

Significa infine sentire una passione per l’uomo, per ogni uomo, e per il mistero e la ricchezza della sua persona e della sua vocazione. Evangelizzare è l’arte di ogni battezzato, finalmente convertito dalla tentazione di controllo di Erode e capace di farsi amico di ogni uomo che cerca Dio nella sua vita.

 

Omelia II Natale Anno A

 

 L’ eredità è ciò che il genitore quando muore lascia ai suoi figli. Si tratta non solo di soldi o di proprietà immobiliari, ma anche di beni immateriali, come i valori, l’amore, gli ideali.  Molte persone che abbiamo conosciuto nella vita ci hanno lasciato un’eredità, altrimenti si tratta di conoscenze superficiali.

Anche la sapienza, che nella prima lettura parla in prima persona ed è una specie di figlia di Dio, possiede un eredità da suo padre.  La sua eredità  è il popolo di Dio, la comunità dei santi in cui ella ha preso dimora.  Non si tratta di un ideale teorico, né di un insegnamento, ma di un popolo concreto che cammina nella storia, una comunità di persone, che sono chiamate a diventare santi, cioè ad essere riempiti della santità di Dio.

Se l’eredità della sapienza è costituita dal popolo, questo vuol dire almeno due cose: la prima è che non sono le nostre idee, per quanto intelligenti e profonde, a salvarci, ma l’appartenenza ad una comunità di salvati, che ha il dono della sapienza.  La seconda è che prima che del Papa, dei Vescovi e dei preti, il senso di fede – quella nascosta sapienza delle cose di Dio e dell’uomo – appartiene alla comunità dei battezzati, che tutti insieme  “sentono” in modo intuitivo e profondo le verità della fede.

Anch’essi hanno un’eredità da Dio e cioè la sua gloria.  Nella seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo agli Efesini, leggiamo: “ Il Padre illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.”  Se siamo figli di Dio come battezzati – tutti gli uomini lo sono potenzialmente – abbiamo un’eredità da ricevere da Dio nostro Padre. Questa eredità è la sua “gloria”.

La gloria è letteralmente il “peso” di Dio – diciamo pure un uomo di peso, per indicare qualcuno che ha autorità? – che significa la sua forza e autorità “politica”,  la sua capacità di prendere decisioni che rivoluzionano il mondo e lo ribaltano fin dalle fondamenta. Dio Padre ha preso in fondo un’unica grande decisione: ci ha donato Suo Figlio sulla croce. Il Vangelo di Gesù morto e risorto è la grande decisione di Dio che ha rivoluzionato il mondo e ci ha consegnato in eredità la “gloria” di Dio.

Noi cristiani siamo tentati di cambiare il mondo con l dottrine etiche e sociali. Ma la forza che cambia il mondo è il Vangelo contenuto in tali dottrine, è l’annuncio di Gesù morto e risorto che fa di ogni umana debolezza la forza della croce.

Qualche giorno fa sono stato a Padova con i ragazzi delle superiori all’Opera della provvidenza, una struttura per la disabilità psichica della diocesi di Padova. I ragazzi si sono stupiti perché non hanno provato un senso di pena nei confronti di queste persone meno fortunate, ma anzi di gioia. È  la gioia del Vangelo dei poveri, che sono beati perché, non avendo nulla, sanno di avere tutto, cioè Dio. Una gioia che si comunica nell’amicizia e nell’affetto e che proviene dalla potenza della croce, capace di trasformare anche il male fisico in un bene più grande.

Il Nome che Dio ci ha dato (Omelia per la Madre di Dio)

Nella prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, leggiamo: “Porranno il mio nome sugli israeliti e io li benedirò”. Il nome di Dio è il Suo volto, il Suo amore, la Sua presenza e porre il nome di Dio significa far si che il popolo appartenga a Lui, diventando così il popolo di  Dio.

Al bambino che nasce da Maria è stato dato il nome di Gesù,  secondo la parola dell’angelo. Anche qui abbiamo un nome, che ha una duplice caratteristica. Da un lato è un nome umano, che anche altri contemporanei e precedenti a Gesù hanno avuto (cfr. Giosuè, la radice è la medesima e significa: Dio salva). Dall’altro questo nome viene dato secondo la parola dell’angelo, il messaggero di Dio. Dunque si tratta di un nome divino, di una parola di Dio che si compie attraverso Maria e che mostra l’assoluta regia divina in tutti gli eventi narrati e l’appartenenza radicale a Dio di questo bambino che è nato. E con lui di tutta l’umanità, che da ora in poi possiede il Nome stesso di Dio ed appartiene a Lui in modo definitivo.

Anche ciascuno di noi ha un nome che solo Dio ci dona, per il quale apparteniamo a lui e a nessun altro. Certo c’è il nome di nascita, che ci hanno consegnato i nostri genitori: Manuela, Davide, Antonio, Gianmarco… ma dietro ad ognuna di queste parole si possono celare persone diverse. Invece c’è un altro Nome, che solo Dio conosce, e che appartiene solo ed esclusivamente a noi. Come scoprirlo?  Ogni esperienza di conversione comporta il sentirsi persone nuove, rinate. Sono io eppure non sono più io, sono un altro, una persona nuova, rigenerata all’apice della mia Anima. Questa è l’esperienza del Nome che Dio mi dona e che spetta soltanto a me, ed è anche la straordinaria ed incipiente scoperta della vocazione, di ciò a cui Dio mi chiama. Dentro al Nome che Dio mi dona ci sono scritte tutte le meraviglie di bene che Egli compirà in me e attraverso di me e che pian piano si dispiegheranno lungo il corso della mia vita.

La prima, germinale intuizione di questo Nome si chiama “conversione” ed è un esperienza di grazia, frutto dell’amore e dell’iniziativa unilaterale di Dio, che Maria ha fatto nell’annunciazione. Ora, con la visita dei pastori, ella comincia a comprendere meglio e più profondamente la grandezza del Nome che Dio le ha dato, cooperando con l’esperienza e l’intelligenza.  Maria infatti custodisce, conserva tutte queste cose, meditandole nel sue cuore.

Ella compie due azioni, senza le quali la Parola di Dio non si sarebbe potuta compiere nella sua vita.  La prima è custodire, che significa ricordare, ripensare, non permettere che il tempo divori i doni di Dio. Per questo è importante la memoria. Oggi i bambini alle elementari imparano più le poesie a memoria, i ragazzi bruciano un’esperienza dietro l’altra senza farne tesoro e gli adulti anestetizzano i ricordi dolorosi con vari tipi di droghe. La memoria, anche delle esperienze dolorose, è fondamentale perché ci fa entrare nel mistero del Nome che Dio ci ha dato, ci fa capire da dove veniamo e ci permette di intuire dove andiamo. E soprattutto ci dice chi siamo.

La seconda azione è meditare: è l’atto di sintesi di tutte le esperienze alla luce della parola dell’angelo, che Maria fa nel suo cuore e che le consente di “sentire” la volontà di Dio e di orientarsi secondo essa.  Esige un baricentro spirituale profondo, come una nave che per non ribaltarsi deve avere un’ampia parte immersa, detta carena. E come si approfondisce il baricentro spirituale, per galleggiare meglio sulla superficie? Non si può fare se non meditando quotidianamente la parola di Dio  alla luce della propria vita, come ha fatto  Maria.

dialogo delle tenebre e della luce (Omelia di Natale)

 

 

La luce venne generata dal sole e si presentò: “io sono la luce e per mezzo mio gli uomini possono camminare avanti senza inciampare e senza perdersi”.

Le tenebre borbottarono ad alta voce di fronte alla luce: “chi è questa ultima arrivata che si comporta già come la prima della classe, vantandosi di fronte a noi? Ma noi siamo arrivati prima di lei, siamo da sempre, perchè prima della luce ci sono le tenebre.”

Rispose la luce: “chi siete voi? Non vi conosco. Io so da dove vengo e dove vado, parto dal sole per raggiungere tutto l’universo. Ma perchè non vi presentate, così facciamo amicizia?”

Risposero le tenebre: “Difficilmente potremo essere amici e stare insieme nella stessa stanza a conversare…però sappi questo: se non ci fossimo noi, nessuno ti conoscerebbe e neanche tu sapresti chi sei. Infatti nessuno può sapere cos’è la luce se non paragonandola alle tenebre.”

La luce rispose: “Avete torto: io so chi sono perchè provengo dal sole e anche gli uomini che conoscono il sole conoscono me.”

Le tenebre irruppero allora in un’improvvisa esclamazione: “Ah, adesso basta! Abbiamo deciso di mangiarti…”.

In un ultimo sforzo le tenebre cercarono di ingoiare la luce per soffocarla, ma appena lo fecero, ecco che le tenebre diventarono luminose e tutto l’universo si accese di festa.

Era natale.

Le tenebre aspirano a diventare un potere alternativo a Dio, sostituendosi a lui per dominare la storia in modo arbitrario e violento.  I segni di questo dispotismo sono ancor oggi evidenti, per esempio nelle disuguaglianze che aumentano tra ricchi e poveri, o ancora  nel fatto che mondo è controllato da troppo poche persone, che avendo in mano le informazioni di tutti, possono venderle secondo i loro interessi economici. Poi ci sono paesi e popoli dimenticati, le cui guerre non interessano più a nessuno, salvo quando i rifugiati chiedono asilo politico nel nostri paesi. Infine vediamo nella gente una rabbia feroce verso i politici e proteste che infuocano le strade e le piazze d’Italia. Anche la rabbia, quando è incontrollata, quando si scatena in modo ideologico, senza approfondire i problemi e proporre delle soluzioni, diviene serva del potere di turno, perché facilmente manovrabile dall’alto ed è un ulteriore segno del dominio delle tenebre più che della luce.

Si, perché la luce si esprime in modo del tutto diverso. Essa è capace di dialogo, fino al punto di entrare nell’altro per trasformarlo e illuminarlo da dentro. Essa si compromette senza paura, fino ad arrivare nelle zone più remote e apparentemente lontane da Dio.

Il popolo che camminava nelle tenebre

ha visto una grande luce;

su coloro che abitavano in terra tenebrosa

una luce rifulse.

Ci è stato dato un figlio.

Questa luce è talmente entrata in dialogo con noi, da farsi uomo, da divenire un figlio, un bambino. Da questo momento non c’è più alcuna zona dell’umano che non venga raggiunta dalla luce che è entrata nella tenebra dell’umanità.

Questa luce è entrata nelle nostre ansie. Nell’ansia dei genitori per la crescita e il futuro dei loro figli; nella preoccupazione di chi ha perso il lavoro e fa fatica ad arrivare a fine mese; nella paura degli anziani per la loro solitudine; nella sofferenza di chi quest’anno ha perso un proprio familiare; nel angoscia di chi accompagna un proprio caro, specialmente se un bambino, attraverso l’incerto futuro di una grave malattia.  In tutte queste situazioni è entrata la luce per trasformare l’ansia in speranza, il dolore in gioia, la paura in coraggio, la sofferenza in una consolazione che proviene soltanto da Dio.

Abbiamo il diritto di godere di questa consolazione e di questa luce, perché siamo figli di Dio e il signore ci vuole felici. Altrimenti che cristiani saremmo? Il cristiano vive non con rassegnazione ma con quella pazienza che è frutto di speranza e che permette al cuore di rimanere aperto al futuro.

Dio si è fatto bambino per farci comprendere che il futuro appartiene ai bambini, gli uomini del futuro, e a loro vanno i frutti del nostro impegno e del nostro lavoro. In questo natale non perdiamo l’occasione di servire i bambini, di stare con loro, di giocare con loro, di ridiventare bambini con loro. Lasciamo da parte la pretesa di controllare tutto, propria degli adulti, e abbondoniamoci come bambini alle quotidiane meraviglie di bene che il Signore ha riservato per ciascuno di noi.

 

 

 

Giuseppe o l’obbedienza dell’amore (Omelia IV TO Anno A)

La tradizione ci ha consegnato un’immagine di Giuseppe come di un uomo anziano. Non facciamo fatica a pensare che Maria era una ragazzina, ma Giuseppe lo pensiamo come un’uomo maturo, addirittura anziano, con la barba. Anche in molti film su Gesù si segue questo stereotipo, che ha radici antiche, addirittura nel vangelo apocrifo di Giacomo, del III secolo dopo Cristo.

Il ragionamento è semplice: come si può spiegare la castità di Giuseppe, se non pensando che sia un uomo vecchio, ormai giunto alla pace dei sensi, dopo una serie di altri matrimoni, e che instaura con Maria un rapporto quasi paterno?

Ma il vangelo non ci dice nulla sull’età di Giuseppe né su altri suoi precedenti matrimoni, e dunque non ci autorizza a pensare nella di simile. Anzi i matrimoni a quell’epoca avvenivano in età molto precoce, non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Giuseppe poteva avere non più di 20 anni.

Il vangelo ci consegna il turbamento di quest’uomo giovane, di fronte alla gravidanza inaspettata di Maria. Per la legge avrebbe dovuto scrivere un libretto di ripudio e rescindere il contratto di fidanzamento, esponendo Maria alla pubblica infamia. Eppure Giuseppe, fedele alla legge ma anche profondamente affezionato, diciamo pure innamorato di Maria, sta pensando di rimandarla in segreto, perché non le accada nulla di male.  Giuseppe ama Maria al punto da non volere per lei se non il bene, anche di fronte al sospetto di un  tradimento. Giuseppe ama Maria e non ha paura dei suoi sentimenti, anzi li colloca dentro un discernimento ricco e vero, nel quale è coinvolta tutta la persona. A differenza di coloro che prendono decisioni con la riga e con la squadra, per paura di coinvolgere troppo se stessi e andare a rinnovare il dolore di ferite profonde, Giuseppe ama Maria, non ha paura di credere all’amore e di andare fino in fondo.

Solo un uomo che ama sinceramente e si espone alla sofferenza può arrivare alla verità di Dio nella sua vita. “Non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo spirito santo”.  Come ha potuto credere a queste parole? Solo un uomo che ama teneramente e sinceramente può aprire il cuore a questa Verità sconvolgente e lasciare spazio alla presenza di Dio nella sua vita.

L’amore lo conduce a fare spazio a Dio. L’obbedienza  di Giuseppe alla Parola dell’angelo, nel prendere con se Maria e dare al bambino il nome di Gesù, nasce infatti dall’aver colto e accettato la verità della sua vita, dentro l’inaspettata, dolorosa privazione di un diritto: quello di essere padre carnale.

Egli è colui che lascia spazio a Dio, così che Dio si riveli come l’emmanuele, il Dio con noi, il bambino nel quale è presente tutta la pienezza della divinità. L’obbedienza di Giuseppe fa della sua famiglia la “casa di Dio”

Come Giuseppe, anche noi possiamo amare e farci da parte, per lasciare che non il nostro amore geloso, ma l’amore inarrestabile di Dio possa abitare nelle nostre famiglie e fare di esse la “casa di Dio”-

Come Giuseppe, anche noi possiamo amare e farci da parte, per lasciare che la comunità cristiana cresca per ciò che Dio vuole e non per il nostro indebito protagonismo. Così anche la comunità cristiana sarà sempre più quella “casa di Dio”, dove nasce l’emmanuele.

 

Lettura e preghiera di Mt 1, 18 – 25 – IV Avvento Anno A

SCHEDA DI LETTURA IV Avvento TO Anno A per accompagnatori

 

Questo brano del Vangelo di Matteo fa parte del racconto dell’infanzia, che arriva, attraverso scene in cui si alternano diversi personaggi, fino a 2, 23. Il titolo di questa scena ci viene fornito fin dall’inizio: “La generazione di Gesù Cristo avvenne così (v. 18a)”. Il termine “generazione” si ricollega al v. 16, dove l’albero genealogico di Gesù si conclude con Giuseppe, “lo sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato Cristo” (v. 16).  Come mai non si dice che Giuseppe generò Gesù da Maria, come in tutti gli altri casi della genealogia? La risposta ci viene fornita subito dal narratore, che ci informa del fatto che Maria aveva un contratto di fidanzamento con Giuseppe e che dunque non era ancora andata a vivere con lui e che era stata trovata in cinta per opera dello Spirito Santo (v. 18b). Eppure Giuseppe non sa tutte queste cose e allora, notando la gravidanza di Maria, sta pensando il da farsi. Il suo travaglio interiore ci viene consegnato da un breve versetto (v. 19) in cui si sottolinea la giustizia di Giuseppe, che, pur volendo rispettare la legge che prevedeva il ripudio in casi di adulterio, vuole farlo di nascosto, probabilmente per non esporre Maria alla pubblica infamia e al pericolo di morte.

Solo l’intervento dell’angelo di Dio in sogno sblocca questo empasse. Egli chiarisce a Giuseppe ciò che il lettore sa già, cioè l’opera dello Spirito Santo in Maria, e fornisce alcune istruzioni, ossia prendere con se Maria e dare il nome Gesù al bambino (vv. 20 – 21).  L’eccezionalità di questa rivelazione emerge dal nome che l’angelo ordina a Giuseppe di dare a colui che nascerà: Gesù, che in ebraico è composto dalla radice “yehoshua” che vuol dire salvare  e dal  nome di Dio, cioè “Dio salva”. La spiegazione dell’angelo fa eco al significato del nome quando sottolinea che egli salverà il suo popolo dai suoi peccati (21b).  A questo punto il narratore collega il nome alla citazione biblica di Is 7, 14: “Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiameranno Emmanuele, che significa Dio con noi”. In questo bambino si compiono le promesse profetiche, relative al messia davidico che porta un Regno universale sulla terra.

Giuseppe è certamente figlio di Davide (v. 20), così che l’identità di Gesù dal punto di vista umano sia ben chiara: egli appartiene alla stirpe di Davide. Ma d’altra parte egli è anche l’Emmanuele, il Dio con noi, il messia che porta Dio dentro la storia dell’uomo e rimane con gli uomini fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28, 20). Per questo qui Dio è intervenuto direttamente e in modo straordinario, per opera dello Spirito Santo.

Giuseppe obbedisce alla parola dell’angelo e fa esattamente secondo le istruzioni ricevute (vv. 24 – 25).

Giuseppe, chiamato all’inizio uomo giusto, si rivela alla fine giusto non solo in senso morale, ma molto più in senso religioso, come colui che si fida di Dio e compie la sua volontà.  Senza la giustizia di Giuseppe la rivelazione non si sarebbe potuta compiere.

 

 

 

 

 

 

Suggerimenti di preghiera

1. Mi dispongo davanti a Dio in preghiera. Sto in ginocchio o seduto, per entrare in colloquio con il Signore, o meditare su ciò che leggo, a seconda di ciò che voglio.

2. Leggo con attenzione il brano di Vangelo.

3. Chiedo al Signore il dono di una conoscenza interiore di lui, che per me si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria, per amarlo e seguirlo sempre più.

4. Osservo i personaggi e quello che fanno. Contemplo il travaglio emotivo ed esistenziale di Giuseppe e poi la sua obbedienza, fattiva e senza molte parole: egli prende con se Maria e da il nome al bambino che nasce.

5. Ascolto la voce dell’angelo, l’unica voce che risuona esplicitamente in questo racconto, insieme alla parola della Scrittura. “Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”: contemplo in quel bambino la presenza di Dio con noi.

6. Entro in colloquio con Gesù anche attraverso Giuseppe, il suo padre putativo

7. Concludo con un Padre Nostro.

 

 

 

Omelia III Avvento Anno A

Un pò ci impressiona che una persona tutta d’un pezzo come Giovanni il Battista, che aveva battezzato con acqua Gesù protestando perchè sapeva che era lui a avere necessità del battesimo di gesù, quello con lo Spirito Santo e il fuoco, proprio Lui che aveva capito che Gesù era il messia, avendolo aspettato tutta la sua vita… eccolo ora caduto in una rete di dubbi e di incertezze che lo tormentano e che sono molto più duri da sopportare delle catene che gli avvolgono polsi e caviglie nel carcere di Erode.
Ma Giovanni non è il tipo da lasciarsi scoraggiare e affronta di petto i suoi dubbi con l’unica possibilità che gli è rimasta: spedire alcuni suoi discepoli da Gesù per piorgli la fatidica domanda: “Sei tu colui che deve venire, il messia, o dobbiamo aspettarne un altro?”. Si, perchè vedi, io sono ancora in prigione, Erode è ancora tetrarca e governa per conto dell’impero romano, inoltre continua a tenere con se la moglie di suoi fratello. Tutti i nodi politici sociali che rendeano complessa e difficile la situazione quando io predicavo, sono ancora li, da sciogliere… e tu sembri non far nulla… si hai raccolto qualche discepolo con te, dicono che compi dei miracoli con alcuni malati…certamente parli bene, sei un rabbì rispettato, temuto e spesso odiato. Ma il messia che deve venire è un altra cosa, lui ha in mano il fuoco per punire i cattivi, per mettere a posto le cose distruggendo il male ed eliminandolo dal mondo…come mai tu non lo stai facendo? Sei proprio tu il messia o dobbiamo aspettarne un altro?
Questo doveva essere più o meno il dubbio di Giovanni ed egli, senza vergogna, lo ha presentato a Gesù, si è messo in dialogo con Gesù facendogli una domanda importante. Noi, a differenza di Giovanni abbiamo spesso paura dei nostri dubbi, ed evitiamo di prenderli in considerazione, per non fare la fatica di mettere in discussione tante cose. Allora essi ritornano fuori con rabbia, in modo esplosivo…poi ci calmiamo e nuovamente li mettiamo in sordina, perchè abbiamo paura di prendere il toro per le corna. Se invece comprendessimo che il dubbio è un nostro alleato, che non dobbiamo averne paura, che anzi dobbiamo dargli ascolto, per dialogare con il non credente che è dentro ciascuno di noi, farne emergere le riflessioni, i ragionamenti, cogliendone punti deboli e punti di forza, questo aumenterebbe la nostra capacità di leggere le cose e il mondo.
Così ci chiede di fare Gesù, che non si offende di fronte alla domanda degli inviati di Giovanni, ma li invita a guardare a realtà, le cose, la vita. Gesù infatti li ascolta e non da subito una risposta, non dice, sono io il messia, ma li invita a leggere nella realtà i segni di vita che riguardano il messia e che compiono le profezie di Isaia: i ciechi vedono, i sordi odono, i lebbrosi sono purificati, imorti risuscitano, ai poveri è annunciato il vangelo.
Osserva i segni, ci dice Gesù, leggili alla luce della Parola di Dio. Analizza il significato di questi segni che tu vedi nella tua vita, e che sono gli avventimenti e le persone, l’ insieme di tutte le situazioni, le relazioni, gli eventi che accadono, tutta la tua storia personale. Questi segni acquistano un significato alla luce della tua storia, che va compreso. poi bisogna verificarne la portata, e giudicare da se stessi se questi segni sono in grado di rispondere ai nostri dubbi.
I segni di resurrezione e di vita sono apparentemente piccoli e umili. Gesù non ha guarito tutti i ciechi, non ha fatto risorgere tutti i morti, non ha purificato tutti i lebbrosi della sua epoca. Eppure il piccolo seme dei segni di vita, i miracoli, che è stato seminato quando era vivo e ancor più attraverso la sua morte e resurrezione, questo piccolo seme, umile, è però tanto potente da attraversare la storia ed arrivare fino a noi. è il seme della Chiesa di cui siamo parte.
I piccoli semi maturano e crescono in grandi alberi, anche passando attraverso momenti di crisi e di morte apparente. Solo il tempo e la pazienza, come dice Giacomo, consentono all’uomo di comprendere il mistero e diventare sapiente. Intanto però una prima risposta che abbiamo già avuto in dono è la gioia. Se il nostro cuore è aperto alla verità, la gioia non può non enetrare in qualche modo nella nostra vita, anche attraverso le feritoie del dolore, come una serenità calma e pacifica, un mare limpido e profondo dopo la tempesta.
Questo è il primo segno del Regno che Gesù ci chiede di osservare e valutare.