Gesù aveva fame

Gesù aveva fame.

Certo era un limite, che egli ha dovuto vivere fino in fondo.

Anche lui ha attraversato il bisogno, quello fisico, ma anche quello psicologico e spirituale. Nella piramide dei bisogni anche quelli di base, come il mangiare, bere, dormire, o vivere la sessualità, sono rivestiti di “spiritualità”, altrimenti saremmo come gli animali, agiremmo solo per istinto.

Non ci limitiamo a mangiare, ma vogliamo farlo tra persone care, curando la conversazione. Non ci limitiamo ad avere atti sessuali, ma lo facciamo all’interno di una relazione di tenerezza e affetto, in un progetto, che ha delle caratteristiche di unità e fedeltà, in un impegno reciproco al rispetto. Strettamente collegati, ci sono i bisogni di stima, di amicizia, di riconoscimento, di affetto di autorealizzazione. Insomma, in una parola, i nostri bisogni, da quelli fisici a quelli spirituali, non sono semplicemente un limite da superare, ma un’opportunità per vivere in modo più umano.

Anche Gesù ha vissuto il limite fisico come un’opportunità, un’occasione per vivere da figlio. Satana lo ha tentato proprio su questo punto: ma se tu sei figlio di Dio, trasforma queste pietre in pane. Cosa significa? Significa: vivi la tua condizione divina di Figlio “in proprio”, come un privilegio che ti rende autosufficiente, che ti permette di autoalimentarti senza fine. Ma questa era ed è una contraddizione: il Figlio vive proprio perché è in relazione con un altro, il Padre, da cui riceve continuamente la vita.

Dal punto di vista umano Gesù vive nel suo corpo la verità del suo rapporto con il Padre, la vive proprio dentro i suoi limiti e bisogni umani, come opportunità per farsi bisognoso, mendicante d’amore, nel suo rapporto con Dio ed anche con i fratelli.

Un grande insegnamento per noi che viviamo spesso protesi a soddisfare esigenze esterne e senza cogliere i nostri bisogni profondi, pensando di fare bene così e di essere generosi. Si tratta invece di cogliere ed esprimere questi bisogni, senza paura, vedendo proprio dentro in essi una traccia che conduce alla loro trasformazione. Ascoltandoli, dandogli un nome, onorandoli in qualche modo e orientandoli verso il dono di noi stessi, noi non solo rispettiamo il nostro limite, ma ne facciamo la condizione per poterci sentire figli amati, custoditi, curati, accompagnati, proprio dentro ai nostri bisogni insoddisfatti, carenze, fatiche. Proprio lì Dio entra per guarirci e ricucire con pazienza le lacerazioni del nostro cuore. Come faremo a sentire l’amore di Dio per noi, se ci illudiamo di non averne bisogno?

Anche Gesù aveva fame e non se ne è vergognato. Ha saputo approfondire e attraversare il suo bisogno, facendone occasione per vivere da figlio, e vincendo la tentazione di pensarsi autosufficiente.

A ben guardare questa è anche la tentazione del nostro mondo collettivo: una cultura dell’efficienza, del PIL in costante aumento, che si illude di avere a che fare con un mondo dalle risorse infinite, senza limiti di energia e di materia. Ma Dio ci pone davanti al limite, per custodire la nostra umanità!

Così come in questa guerra forse ci stiamo illudendo di poter continuare senza limiti, aumentando senza fine la produzione di armi e l’escalation delle parole e dell’ideologia dello scontro. Certo dobbiamo credere nella democrazia e difenderla fino in fondo, ma dobbiamo sapere che la vera arma della democrazia è proprio aver vinto l’illusione della propria onnipotenza. Dovremo saper porre un limite e rinnovare le istanze del dialogo e del compromesso, con una resistenza al male che è prima di tutto culturale e spirituale: questa non è una posizione di debolezza, ma di forza.

Dobbiamo saper credere ad una pace possibile!

In questa Quaresima scegliamo alcune condizioni che ci facciano restare a contatto con i nostri limiti e bisogni: riabituiamoci ad esempio a camminare un po’, ad andare in bicicletta, ad usare i mezzi pubblici. Non solo per risparmiare energia, ma anche per vivere maggiormente il nostro corpo e imparare a perdere tempo…

E anche sulla pace, dobbiamo credere nella forza della preghiera: perché non ci impegniamo tutti quanti a fermarci, per cinque minuti d’orologio, in un’ora precisa della giornata, a pregare per la pace? È un nostro bisogno umano, vero, autentico: possiamo e dobbiamo ascoltarlo…

Pregare con il vangelo della Domenica

Mt 4,1-11 (I Quaresima) Gesù tentato

Il messaggio nel contesto

Il diavolo prende spunto dalla fame di Gesù (v. 2) per tentarlo. Come Mosè che sta sul monte per 40 giorni e 40 notti, come Elia che cammina fino al monte Oreb per 40 giorni e 40 notti, come il popolo che cammina nel deserto per 40 anni, anche Gesù passa attraverso la prova del limite umano, del bisogno, della debolezza, per scoprire la propria dipendenza da Dio come uomo e come Figlio di Dio.

C’è un crescendo in queste tentazioni fino al definitivo smascheramento del tentatore, Satana.

Satana parte proprio dalla sua condizione di Figlio di Dio, per indurlo a usare un potere divino, capace di autonutrirlo, e così trasformare le pietre in pane. Gesù risponde con il testo di Dt 8,3: “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Questo testo fa riferimento all’esperienza della manna nel deserto: qui il popolo di Israele ha paura di morire di fame e Dio lo nutre con un cibo quotidiano. Noi uomini per paura di morire tentiamo di darci la vita da soli, ma non comprendiamo di aver solo bisogno dell’amore di Dio, che riceviamo ogni giorno come dono, senza pretenderlo. Ce lo mostra il Figlio di Dio, colui che per definizione dipende dal Padre e vive con lui una profonda intimità d’amore.

Nella seconda tentazione Satana porta Gesù sul pinnacolo del tempio e gli dice di buttarsi giù, citando il Salmo 91,11-12. Gesù risponde con la frase di Dt 6,16: “non tenterai il Signore Dio tuo”, che si riferiva all’episodio di Massa, quando Dio aveva fatto scaturire l’acqua nel deserto. È l’esperienza di chi ha paura di essere solo e abbandonato e comincia a chiedere a Dio un segno, per costringerlo a rivelarsi.

Nella terza tentazione Gesù sul monte altissimo fa l’esperienza del potere che Dio dà al messia secondo i Salmi (cf. Sal 2.110). Ma egli lo deve “ricevere” come dono da Dio e non pretendere attraverso le sue forze o attraverso l’adorazione di un potere alternativo a Dio. Gesù infatti risponde con il testo di Dt 6,3 “temerai il Signore Dio tuo” dove Mosè contempla il dono della terra di Israele sul monte altissimo (Dt 34,1-4). La gloria del Regno di Dio e del potere può essere solo dono di Dio e non una conquista personale dell’uomo, magari attraverso una serie di compromessi.     

  • Qual è il contesto spazio-temporale del racconto

Dopo il battesimo Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto. L’esperienza della prova è  permessa da Dio, perché Gesù si possa rivelare come il Figlio fedele. Il deserto è il luogo della relazione intima con Dio e della prova. Mi interrogo su quali momenti e aspetti di prova sto vivendo e su come coltivo la mia relazione con Dio nel deserto.

  • Cosa fanno i personaggi

Il tentatore si avvicina a Gesù. L’esperienza della tentazione è profondamente umana e Gesù la attraversa. Mi sento accompagnato da lui in questa esperienza?

  • Cosa dicono i personaggi

Il tentatore parte sempre dalla natura di Gesù: se sei figlio di Dio. Egli equivoca questa natura pensando che essa implichi una totale autonomia del Figlio e non una sua relazione con il Padre. Chiedo di percepire la bontà del Padre e la forza per affidarmi a Lui. Gesù risponde utilizzando la parola della Scrittura: non si solo pane vive l’uomo ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. Mi chiedo dove faccio consistere per me la vita.Non tenterai il Signore Dio tuo: mi chiedo dove penso di mettere alla prova Dio.Prostrandoti mi adorerai. Provo a smascherare quelqualcosa o qualcun altro oltre a Dio a cui io riservo la mia adorazione.

  • Quale rivelazione?

Gesù è il Figlio di Dio che attraversa l’esperienza della tentazione sempre sorretto dal Padre e dal dono dello Spirito Santo, che rende la sua volontà umana in grado di affrontare e resistere agli assalti sottili del male.

Schema di preghiera su memoria-intelligenza-volontà

  • Scegli il tempo, la durata, il luogo e la posizione che più ti aiutano a pregare: quando hai trovato ciò che ti aiuta, resta, e non pensarci più.
  • Pacificati, respirando profondamente. Senti l’aria che dall’esterno entra nel tuo interno. Sentila uscire.
  • Chiedi allo Spirito Santo che ti aiuti a pregare, che tutta la tua persona: corpo, affettività, immaginazione, intelletto, volontà, spirito…, partecipi e sia orientata alla preghiera.
  • Ricorda brevemente il testo su cui pregherai.
  • Immagina di trovarti in un luogo “interiore” dove incontri il tuo Signore. Rimani lì.
  • Chiedigli ciò che desideri da questo momento di preghiera.

–  Ora rileggi il brano biblico; cerca di capirlo, soprattutto per come ti è stato spiegato: cosa dice il brano in sé?

 – Fai memoria della tua vita quotidiana, le tue situazioni, quello che sei… a partire dal racconto biblico.

Comprendi quello che il racconto vuole dire alla tua vita, come ti conduce a rileggerla, quale luce ti vuole donare, quale consolazione ti può trasmettere.

– Disponi la tua volontà a fare un passo nella direzione in cui la Parola ti orienta.  

  • Dialoga con il tuo Signore, in quel luogo interiore, ed esprimi ciò che desideri dirgli.
  • Salutalo nel terminare la preghiera.

Non rassegnamoci!

Siate santi perché io sono santo, dice il Signore al suo popolo. Questo invito che Dio rivolge al suo popolo dipende dall’azione di Dio stesso, che dona la sua santità, il Suo Spirito d’amore, la Sua Legge, che rende santi…nonostante errori, mancanze e perfino peccati.

Cosa vuol dire essere santi? Significa mendicare ogni giorno, da poveri e bisognosi, questo amore capace di riempire il cuore e trasformare, lentamente, anche i sentimenti cattivi.

La santità diventa quindi un’attitudine del cuore, ad accogliere fatica, rabbia di fronte alle ingiustizie ed offese e perfino odio, senza paura, per metterli nelle mani di Dio e lasciare che Lui li trasformi. Significa lasciarsi trasformare il cuore fino al punto di considerare l’altro al pari di me stesso, come una persona che ha la dignità di esistere e di essere amato, nonostante i suoi sbagli e le sue mancanze, anche nei miei confronti.

Certo ci si può interrogare su chi sia in fin dei conti il mio prossimo, ed in effetti questa domanda era molto attuale nel tempo di Gesù: il passo del levitico che abbiamo ascoltato sembra considerare questo prossimo come un fratello, un membro del popolo. Ma come la mettiamo con i nemici? Con gli altri che non appartengono ai tuoi fratelli, alla tua cerchia, al tuo popolo? Che confini ci sono? Fino a che punto possiamo estendere questo comando di amare?

È Gesù a portare alle estreme conseguenze questo orientamento interiore della legge, invitando ad amare anche il nemico, ossia colui che è in guerra con te, con i tuoi fratelli, con il tuo gruppo, con il tuo popolo. Gesù parte da una legge antichissima, la legge del taglione, che recitava “occhio per occhio e dente per dente” e ne interpreta la sua intenzione nonviolenta: essa infatti vuole spezzare la catena delle vendette sempre più radicali, chiedendo una certa proporzione tra azione e reazione. Gesù afferma che per rispettare fino in fondo questa legge nel suo intento, che è quello di disinnescare il male, è troppo banale fermarsi ad una risposta simmetrica, perché essa non offre alcun appiglio all’avversario per modificare il suo punto di vista. Gesù suggerisce quindi una maggiore creatività, azioni che sorprendono per la loro gratuità e che non vanno intese come una “legge” ma solo come inviti ad essere creativi di fronte alla catena del male: Gesù invita ad avere di mira non il nemico, ma il “male” stesso, spezzandone la spirale con gesti e parole che diano a pensare, che scuotano la coscienza dell’altro, per risvegliarlo dal torpore del male.

Certo è più impegnativo, perchè significa credere fino in fondo che nel cuore dell’altro la luce di Dio risplenda ancora e non sia mai soffocata del tutto e d’altro canto solleva la domanda se questa scelta possa essere solo personale, individuale o anche collettiva, sociale, politica. Fino a che punto, ad esempio, un politico ha diritto a fare una scelta nonviolenta, nel rispondere ad un’azione di invasione da parte di un esercito nemico?

La questione oggi è di grandissima attualità, per la questione ucraina. Personalmente non credo che si possa obbligare un popolo a non difendersi con le armi quando il suo territorio viene invaso e la sua libertà pregiudicata e questo deve rientrare nelle responsabilità di un politico. Ma al contempo ritengo anche che dobbiamo oggi prendere maggiormente coscienza che un conflitto non si può superare solo sul terreno militare, ma richiede di studiare prassi di azione orientate al dialogo, alla diplomazia. Bisogna anche ipotizzare e studiare, in tutte le situazione di dominio violento, forme di lotta nonviolenta, azioni di resistenza passiva, che se diventano prassi comuni dell’intera società civile, sono forme efficacissime di contrasto contro regimi oppressivi. Dobbiamo ritrovare modelli e forme di lotta nonviolenta, che non si limitino a sanzioni economiche, ma costituiscano una resistenza di popolo, non solo armata, ma anzitutto culturale, sociale, comunicativa, in grado di disarmare l’ideologia del potere, la propaganda e l’uso violento e antidemocratico delle istituzioni rappresentative.

Ci sono illustri modelli, che andrebbero ricompresi: come ha fatto Gandhi a liberare il popolo Indiano dal giogo inglese? E noi come cristiani, ci limitiamo a difendere la democrazia con i carri e gli aerei? Dov’è la nostra profezia? Dov’è la nostra testimonianza sociale del vangelo? Non rassegnamoci ad un mondo diviso in due dalla logica della guerra.

Pregare con il vangelo della domenica

Mt 5,38-48 (VII TO)

Gesù Maestro

Il messaggio nel contesto

La Legge che Gesù qui richiama: “occhio per occhio e dente per dente” (Lv 24, 20) è nota fin dall’antichità come norma del taglione. Essa non è affatto guidata da un’intenzione violenta, ma dalla necessità di porre un argine alla violenza umana tramite un principio di retribuzione. Nella Bibbia la troviamo enunciata per la prima volta dopo il diluvio (Gn 9,6), come dispositivo dell’Alleanza di Dio con Noè, in antitesi alla spirale di vendette che caratterizzava la generazione antediluviana (cf. Gn 4,23-24). Gesù Maestro va alla radice della Legge e ne compie l’intenzione nonviolenta. Le immagini concrete che vengono da Lui proposte (porgere l’altra guancia, lasciare il mantello a chi vuole  sequestrare la tunica, fare due miglia con chi ti costringe ad accompagnarlo per uno) non vanno comprese alla lettera, ma come una provocazione, volta a spezzare con fantasia il circolo inevitabile di azioni e opposizioni che la Legge stessa concede per canalizzare la violenza umana.  Si tratta infatti di “non fare opposizione al malvagio” (v. 39), usando le sue stesse armi, ma di aggirarne le difese, stimolando una presa di coscienza.  Solo così si può entrare nel cuore della persona, aiutandola a comprendere la propria violenza e il proprio egoismo e favorendo una liberazione dalla forza e dalle “macchinazioni” del male.

In fondo si tratta di sconfiggere non il malvagio ma “il male” e questo non lo si può fare combattendolo direttamente. Troppo alto è il rischio che l’orgoglio e la presunzione ci portino a fare anche noi del male. Bisogna invece, come insegna la tradizione ebraica e Gesù stesso, costruire una siepe intorno ai comandamenti, prevenendo e aggirando quelle situazioni in cui possono esplodere risentimento e rabbia, e sapendo porre alcuni gesti in grado di trasformare i sentimenti cattivi. Non c’è alcuna situazione che non presenti almeno una possibilità di trasformazione e cambiamento, da favorire con fantasia, libertà e grande pazienza e attenzione umana.     

Dietro a queste parole di Gesù nel Vangelo di Matteo si intravede il volto di una comunità perseguitata e sottoposta a diverse prove, capace di trovare nella mitezza del suo Maestro (cf. 5,5; 26,67) il modello per sconfiggere la violenza alla sua radice, partecipando della sua croce e resurrezione. Egli è il Figlio che rinuncia a farsi giustizia da sé, perché sa che solo la potenza dell’amore è in grado di cambiare la storia secondo il disegno del Padre. Egli infatti intende compiere le Scritture facendo la volontà del Padre (cf. 26,53-54). Si tratta allora di amare anche i propri nemici, in modo sovrabbondante (v. 47), capace di andare oltre i confini di Israele, popolo eletto, o della comunità cristiana, esattamente come fa il Padre, che ama giusti e ingiusti in modo gratuito. Ogni cristiano è chiamato a diventare figlio, sul modello di Gesù, facendo del Padre la roccia su cui poggiare tutta la propria esistenza (cf. 7,26-27). 

  • Qual è il contesto spazio-temporale del racconto

Gesù parla dal monte ai discepoli e si rivolge con il “voi”, ai discepoli stessi, per indicare le esigenze della sua Legge.

  • Qualche domanda

– Non opporvi al malvagio: penso a quali occasioni e circostanze mi portino spesso ad una contrapposizione frontale da cui esco interiormente sconfitto.

– Pregate per quelli che vi perseguitano. Mi chiedo quanto possa ricorrere alle risorse della preghiera, per vincere i risentimenti.

– dà a chi ti chiede: penso alle situazioni in cui la paura mi porta ad avere atteggiamenti di difesa e chiusura rispetto a possibili richieste.

– siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro : mi interrogo su come vivere una prospettiva di maggiore gratuità dell’impegno quotidiano, nel lavoro, nella famiglia.

Per la preghiera personale

  • Invoco lo Spirito Santo (con un canto o con la Sequenza o con un’invocazione più libera) Ad esempio: Vieni Santo Spirito, entra in me, con la tua luce, con il soffio della tua vita, aiutami a sentire il Tuo Amore, la Tua Pace e ad aprire il mio cuore a quella Parola che oggi custodisci per me, in modo che ogni mio pensiero e ogni mia azione abbiano da te il loro inizio e in te e per te il loro compimento.
  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari:.
  • Chiedo una graziaciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù e del suo amore per me.
  • Cerco di comprendere maggiormente il significato del testo in sé stesso, con l’aiuto del breve commento precedente.
  • Cerco di comprendere cosa dice il testo a me, alla mia vita oggi.
  • Cerco di raccogliere tutto ciò che ho meditato sin qui, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.

Una siepe per custodire il cuore

Spesso avvengono dei furti nelle nostre case, che ci mettono un po’ in allarme e in tensione. Come si fa ad evitarli, specie per chi ha una casa bella e spaziosa con un bel giardino? Oggi abbiamo i sistemi di sicurezza. Ai tempi di Gesù si facevano delle siepi belle grandi, che circondavano la casa e impedivano ai ladri di entrare.

I rabbi del tempo di Gesù facevano proprio questo paragone per spiegare come proteggere la casa del nostro cuore dal rischio di deragliare, di mancare il bersaglio della vita, trasgredendo i comandamenti di Dio. Il comandamento, il precetto (mitzwah) è infatti come una bella casa, spaziosa, ampia e ricca, che il ladro che viene da fuori cerca di derubare. Per evitare che il ladro entri in casa non basta tenerla pulita, bisogna costruire una grande siepe intorno. E che cosa è questa grande siepe? È la custodia del cuore, che ci fa capire come interpretare quel comandamento e custodirlo nel caso concreto, nelle circostanze reali della nostra esistenza.

Così ad esempio io posso dire di rispettare il comandamento del “non uccidere”, perché materialmente non ho mai ucciso nessuno. Ma mi avvicino molto a questo rischio anche con le mie parole, se ad esempio parlo male di una persona, sottolineando solo i suoi sbagli e le sue mancanze, in modo da metterla in cattiva luce davanti agli altri. È come se uccidessi quella persona…certo non arriverò mai a farla fuori fisicamente, ma nel mio cuore la linea di tendenza è tracciata, io ho cancellato quella persona. Costruire una siepe attorno al comandamento, secondo le parole di Gesù, significa tenere aperto il cuore verso gli altri: se ho parlato o pensato male di una persona, provo magari ad aggiungere anche una caratteristica buona di quella persona, per cui valga la pena, agli occhi di Dio, che quella persona continui a vivere.

O ancora l’adulterio. Certo non mi capita di tradire il mio compagno o compagna, ma quante immagini possono offuscare, indebolire, il mio desiderio di darmi a lei o a lui; c’è forse una relazione che sta diventando molto importante, che toglie a lui o a lei una parte dei miei pensieri e del mio cuore? Lo posso notare chiaramente in me…e allora custodisco il cuore… Certo, mi direte, l’amore umano è debole, soggetto ai cambiamenti, poi nascono i figli e addio intimità…la pretesa di Gesù è di dirci la struttura fondamentale del desiderio e dell’amore: essi sono fatti per la totalità e l’esclusività. Dal momento che l’amore non è un contratto e non ha delle condizioni, ma l’unica condizione è di rispettare la dignità incondizionata dell’altro, ciò significa che è scritto al suo interno un “per sempre”. Poi certo, c’è la nostra debolezza, la nostra fragilità…il Signore lo sa e per questo e c’è anche sempre la sua misericordia, che sa scrivere diritto sulle nostre righe storte e sa aiutarci a ricominciare anche dentro le nostre ferite.

Infine ancora il giuramento: perché Gesù si oppone al giuramento? Perché è come sostituire la parola di Dio con le nostre parole. Quante parole ci sommergono ogni giorno, giornali, social…e tutti pretendono di dire la verità. Allora non prendere parte al coro! non giurare potrebbe essere tradotto così oggi: non pretendere di esistere perché dici qualcosa da qualche parte… Solo la Parola di Dio ti fa esistere, nel silenzio profondo del tuo cuore: è Lui che ti sorregge ogni giorno.

Solo in questo silenzio del cuore matura il dono a Dio e ai fratelli che possiamo fare ogni giorno, matura la pienezza della nostra umanità. Gesù non si è limitato ad insegnarlo, lo ha anche vissuto in prima persona, fino a dare la propria vita al Padre e ai fratelli, lì sulla croce: il braccio verticale, l’amore di Dio, e quello orizzontale, l’amore degli uomini, si sono fusi in un unico abbraccio, che ci trascina verso l’alto, con la forza dell’amore. Si, siamo poveri, siamo fragili, ma siamo amati, e questo ci dà il coraggio di puntare in alto e di custodire il cuore, ogni volta, senza stancarci mai!

Definizioni di base

Narratore: istanza narrativa che rappresenta colui che racconta la storia. Può coincidere con un personaggio nel racconto (intradiegetico) come ad esempio nell’autobiografia oppure può essere esterno al racconto (extradiegetico). (cf. Marguerat, 19-35)

Narratario: istanza narrativa che rappresenta colui che ascolta/legge la storia. Può coincidere con un personaggio esplicitamente menzionato nel racconto (cf. Teofilo in Lc 1,1-4 o Nicodemo in Gv 3,1-12) o confondersi con il lettore. (cf. Marguerat, 19-35)

Fraintendimento: fenomeno tipico del QV in cui i personaggi non comprendono il protagonista Gesù. Essi credono di capirlo, ma in realtà le loro connessioni di significato si muovono su un livello diverso da quello inteso dal protagonista. (cf. Marguerat, 114-116 sull’equivoco)

Pregare con il vangelo della Domenica

Mt 5,17-37 (VI TO) Gesù maestro

Il messaggio nel contesto

Il Cristo maestro è in grado di dare pieno compimento a tutta la Legge, fin nei minimi precetti (17. 19), che rimarranno validi finché durano il cielo e la terra. La modalità con cui egli lo realizza non è però quella degli scribi e dei farisei, minuziosa fin nei dettaglia della vita quotidiana, ma comporta una sovrabbondanza di significato nell’interpretazione della Legge (v. 20), verso una piena interiorizzazione del precetto.

Come si concretizza tale sovrabbondanza? Lo possiamo osservare nella serie delle quattro antitesi seguenti, introdotte dalla frase: “Avete inteso che fu detto…ma io vi dico”. Vengono citati  precetti della Legge come: “non uccidere” (v.13 cf. Es 20,13); “non commettere adulterio” (v.27 cf. Es 20,14); “chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio” (v. 31; cf. Dt 24,1ss); “non giurare il falso” (v. 33; cf. Lv 19,12). Ognuno di essi viene radicalizzato in modo tale da conservarne la motivazione originaria e impedirne applicazioni moralistiche e formali. Non c’è infatti solo l’uccisione fisica, ma anche quella realizzata con le parole (v. 22); l’adulterio proviene dall’intimo dell’uomo e può essere evitato solo se si custodisce il cuore (vv. 28-30); il giuramento implica una mancanza di fede nei confronti di Dio, cui tutto appartiene (vv. 33-37). Si tratta di comprendere come l’essenza della Legge non è raggiungere una perfezione morale, ma preservare e coltivare un’interiorità capace di amare Dio e i fratelli. In fondo per il Maestro Gesù la Legge è una risposta d’amore riverente nei confronti di Dio e insieme anche una radicale scelta di uscire da sé stessi, vincendo le pulsioni egoistiche e vendicative e aprendosi con tenerezza al prossimo.   

Tale interpretazione radicale e sovrabbondante della Legge nasce dall’immagine che Cristo Maestro ci offre di Dio, un Padre misericordioso nei confronti dei buoni e dei cattivi (cfr. vv. 45-46), la cui giustizia appare ispirata ad estrema gratuità nei confronti degli uomini (cf. v. 47).  Ad un Dio così non è possibile offrire un dono, senza prima essersi riconciliati con il proprio fratello (vv. 23-24), perché ogni dono fatto a Dio è simbolo di un cuore aperto, vivo e riconoscente. Solo un cuore riconciliato può aprirsi alla gratitudine e alla tenerezza nella preghiera e nel culto.  Inoltre non serve a nulla realizzare una propria vendetta (v. 38), perché tutto appartiene a Dio e noi non abbiamo il potere di cambiare nulla – neanche il colore di un capello (v. 36) – per costringere Dio a fare ciò che noi abbiamo giurato (v. 33). Giurare infatti equivale a sostituire a Dio le nostre parole, equivale a ripudiare Dio e tale atto non è molto distante dal consegnare il libretto di ripudio alla propria sposa (v. 31), esponendo sé stessi e il prossimo all’adulterio.

In generale amare Dio e amare il prossimo sono talmente legati tra loro da costituire un unico comandamento, capace di riassumere tutta la legge. Non a caso il compimento della legge (v. 17) viene sintetizzato da Gesù con la regola aurea: “Tutto quanto volete che vi facciano gli uomini, anche voi fatelo loro: questa è la legge e i profeti” (cf. 7,12). Gesù non ha solo insegnato questo comandamento, ma lo ha mostrato in atto sulla croce, pieno compimento dell’amore di Dio e dell’uomo.

  • Qual è il contesto spazio-temporale del racconto

– Gesù parla dal monte ai discepoli e si rivolge con il “voi”, ai discepoli stessi, per indicare le esigenze della sua Legge.

Qualche domanda ulteriore per la meditazione

Se la vostra giustizia non sarà sovrabbondante: in quali contesti mi è chiesto di superare una visione troppo umana di giustizia e abbandonare certe mie pretese, magari giuste, ma che mi fanno soffrire?

Riconciliati con il tuo fratello: mi dispongo interiormente a ricucire le ferite che ho vissuto nelle relazioni con altri? Mi chiedo cosa comporta vivere una maggiore gratuità nelle relazioni.

Chi guarda una donna per desiderarla: mi chiedo come custodisco il mio cuore e i suoi desideri da tutto ciò che mi fa deviare, che mi impedisce di essere fedele a me stesso, alle scelte, valori e desideri profondi.

Il di più viene dal maligno: un linguaggio semplice scaturisce da un cuore puro, che rinuncia alla manipolazione o al controllo. Mi rendo conto delle situazioni in cui tendo a manipolare, condizionare, trasformare la realtà perché essa vada a mio vantaggio, o mostro solo un determinato volto di me stesso.

  • Per la preghiera personale
  • Invoco lo Spirito Santo (con un canto o con la Sequenza o con un’invocazione più libera) Ad esempio: Vieni Santo Spirito, entra in me, con la tua luce, con il soffio della tua vita, aiutami a sentire il Tuo Amore, la Tua Pace e ad aprire il mio cuore a quella Parola che oggi custodisci per me, in modo che ogni mio pensiero e ogni mia azione abbiano da te il loro inizio e in te e per te il loro compimento.
  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione.
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari:.
  • Chiedo una graziaciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù e del suo amore per me.
  • Cerco di comprendere maggiormente il significato del testo in sé stesso, con l’aiuto del breve commento precedente.
  • Cerco di comprendere cosa dice il testo a me, alla mia vita oggi.
  • Cerco di raccogliere tutto ciò che ho meditato sin qui, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.

La città esposta sul monte (V TO Anno A)

Oggi le città di recente fondazione sono costruite perlopiù lungo grandi pianure, dove c’è lo spazio per progettarle in modo libero da troppi vincoli territoriali. Una volta le città e i paesi invece venivano costruite sulle colline principali e sui monti che dominavano le vallate e il motivo è facilmente immaginabile. Il paese doveva potersi difendere dai nemici e godere di un’ampia vista per dominare lo spazio intorno: così la prima città era chiamata, in latino, arx, che vuol dire “rocca”, “fortificazione”. In Italia tantissimi centri storici hanno questa caratteristica e Santarcangelo non fa eccezione. La rocca malatestiana non sporge forse in alto, per poter dominare a nord e a sud le vallate del fiume Marecchia e del fiume Uso? La torre campanaria non svetta forse sopra i tetti delle case del centro storico, per essere visibile da Rimini e da Savignano? E così anche questa nostra bella Chiesa in cui ci troviamo, la Collegiata, non doveva forse avere due campanili alti, per mostrare l’importanza di Dio e del Vangelo nella vita di tutto il paese?

Come vedete è molto facile capire a questo punto il detto pronunciato da Gesù: non può rimanere nascosta una città collocata sopra un monte. Essa è difesa piuttosto bene dall’altezza e dalle mura e insieme si offre allo sguardo di chi si avvicina, mostrando i suoi segni, i suoi simboli, che testimoniano i valori da cui la sua vita è nutrita e alimentata.

Questa città è per Gesù costituita da tutti i suoi discepoli: si identifica con la Chiesa, non solo come costruzione sociale, ma come un mistero di comunione tra gli uomini, una rete universale che collega il grande con il piccolo, il lontano con il vicino, e che trasmette il dono dell’Amore di Dio, da persona a persona, da cuore a cuore. Pensate: quando un uomo, chiunque sia, compie un gesto d’amore, spinto segretamente dallo Spirito nel suo cuore, un gesto capace di consolare e rialzare un altro uomo, lì c’è la testimonianza universale dell’amore, che costruisce la Chiesa.

“Come?” Mi direte: “anche se questo gesto lo fa un ebreo o un musulmano o un buddista, costruisce la Chiesa?”. Si, perché la Chiesa istituzionale che vediamo, con i suoi confini di appartenenze e i suoi sacramenti è segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano ed è una rete d’amore collegata ad ogni gesto d’amore che ogni uomo compie in ogni angolo del mondo, sia esso il più lontano e il più remoto. L’amore è universale, collega tutti gli uomini, nell’istante in cui viene esercitato in un tempo e in un luogo particolare del mondo. Tutto questo ha a che fare con la Chiesa e i discepoli di Gesù sono chiamati a testimoniarlo, a farlo emergere, a metterlo in luce, per consolidare la costruzione del Regno di Dio nel mondo.  

Non solo quindi con le loro opere buone, ma anche e soprattutto illuminando e facendo conoscere le opere buone degli altri. Essendo solidali e partecipi della lotta e della sofferenza di ogni uomo.  Allora tutto ciò che accade nel mondo ci interessa: fare nostre le lotte e le sofferenze per la giustizia e la pace in tutto il mondo, non avere timore di comunicare, interessarsi, creare reti, sostenere, diffondere luce.

A volte ci prende un senso di impotenza, perché ci sembra di fare manifestazioni per la pace e poi apparentemente non è cambiato nulla. Ma questo non è vero, ogni nostro gesto interiore ed esteriore e azione per la pace è in grado di costruirla nel mondo e nei cuori delle persone. Certo noi non possiamo misurare gli effetti delle nostre azioni, ma sappiamo perfettamente che ogni gesto d’amore, ogni manifestazione di solidarietà, nella rete del Regno di Dio, è già portata a frutto dall’azione di una provvidenza nascosta che lega tutti gli uomini. Sì, possiamo e dobbiamo riprendere a manifestare, possiamo e dobbiamo riprendere a crederci, alla pace e ai valori evangelici che costruiscono un futuro vero per la società di domani, dall’Iran all’Afghanistan, all’Ucraina. Perché mai delle sorelle, nostre amiche qui a Santarcangelo, hanno accolto delle ragazze afgane, appena arrivate in Italia? Non è forse vero che oggi sono soprattutto le donne nel mondo ad aver bisogno di essere difese, sostenute, valorizzate, e questo anche nella Chiesa? Non è anche questa un’opera buona che deve emergere alla luce? Abbiamo bisogno anche di loro, delle giovani donne sfruttate e umiliate nel mondo, per costruire quella civiltà dell’amore che sorge già oggi dalle ceneri di questa società violenta e guerrafondaia.

Punto di vista secondo A. Rabatel

Egli suddivide il punto di vista in PDV (Punto di vista) raccontato, rappresentato o asserito.

PDV raccontato: viene veicolato dalla narrazione degli eventi o dei discorsi, in modo tale da suscitare una connessione con un personaggio (il personaggio focalizza ossia mette a fuoco gli eventi narrati o le parole riferite, anche se il narratore non usa verbi di percezione o di dire a suo riguardo).

PDV rappresentato: viene mostrato attraverso verbi di percezione che hanno i personaggi per soggetto (il personaggio sente o percepisce)

PDV asserito: viene esplicitamente formulato dal personaggio o dal narratore (il personaggio dice o pensa)

Prova a elencare i diversi punti di vista dei personaggi in Gv 2,1-11