Bestie ed angeli

Che il deserto non sia un luogo ospitale è abbastanza evidente. Che tuttavia sia abitato da tante creature, vegetali e animali, che riescono ad adattarsi e a sopravvivere anche in condizioni climatiche estreme, e altrettanto noto.

Nel caso di Gesù il deserto è perfino un luogo di rivelazione, un posto privilegiato, in cui lo Spirito stesso lo conduce senza indugi, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni. Qui accade qualcosa di estremamente importante per lui e anche per noi. L’evangelista Marco lo riassume in una frase semplicissima ed anche molto profonda: stava con le bestie e gli angeli lo servivano. Cosa significa questa descrizione? Perché Marco deve sottolineare questa coabitazione di Gesù con le bestie, con gli animali selvatici e insieme questo sostegno angelico? Io la trovo molto intrigante e penso che possa essere intesa in una chiave un po’ simbolica.

Le bestie rappresentano senz’altro la parte corporea, animale e psicofisica della natura umana di Gesù. Attraverso la natura Gesù si specchia in ciò che ha in comune con essa: la propria animalità, i propri bisogni fisici e psicologici: la fame, la sete, il bisogno sessuale, affettivo, ed anche, in forma pienamente umana, i bisogni di stima, di riconoscimento ecc.

Queste sono le bestie con cui siamo in contatto ogni giorno e nel tempo della Quaresima anche noi siamo invitati a rendercene consapevoli, a prendere contatto con essi, che abitano anzitutto nel nostro corpo, a sentirli senza giudicarli, come parte integrante e necessaria della nostra umanità. Quanto spesso, purtroppo, siamo immersi nei nostri pensieri e così staccati dalla nostra realtà concreta, corporea, che finiamo quasi per non sentire e trascurare, salvo poi subire il contraccolpo di qualche influenza o acciacco, che ci costringe a prendere consapevolezza della nostra umanità e dei suoi limiti.

Dobbiamo anche renderci conto che il mondo di oggi, con i suoi smartphone e l’intelligenza artificiale, punta a profilare in modo sempre più raffinato i nostri bisogni e la nostra umanità, per saturarli automaticamente con delle proposte, che hanno come finalità renderci dei consumatori perfetti. In questo modo ci addormenta e ci impedisce di essere più consapevoli della nostra umanità e dei suoi desideri, perché ci fa trovare subito la risposta a tutto.

Ma questo ci limita gravemente perché oltre ai bisogni ci sono anche i desideri, e questi sono proprio quegli angeli che servono Gesù. Se i bisogni possono essere saziati, i desideri invece crescono nella misura in cui si realizzano e ci permettono di superare continuamente noi stessi, verso mete di sempre maggiore pienezza. I desideri permettono ai bisogni di aprirsi alla vita, agli altri, alla costruzione di un bene comu6ne, al raggiungimento dei significati che danno valore alla nostra vita, personale e sociale. Ma senza i bisogni i desideri sono disincarnati, astratti, teorici, e non si possono concretizzare. I desideri sono come gli angeli che ci guidano alla comprensione più profonda della nostra chiamata, della nostra vocazione ma hanno bisogno delle bestie selvatiche per fare la storia della nostra vita.

Ecco il deserto è proprio il luogo dove possiamo recuperare l’unità, l’integrità della nostra realtà umana, tra bisogni e desideri, come Gesù. E lo facciamo attraverso un esercizio tanto semplice quanto profondo, che è la preghiera. Come Gesù nel deserto. Per scoprire come la preghiera ci aiuti a tener conto dei nostri bisogni e a far emergere i nostri desideri a prendere consapevolezza di noi, e del fatto che Dio si cura di tutta la nostra persona, rispondendo alle nostre richieste non in modo automatico, ma sempre nuovo e inaspettato. È un esercizio di libertà dai nostri smartphone e dalla logica di una comunicazione continua ed invadente. Al mattino quando ci svegliamo, invece di accendere i nostri cellulari e televisioni, proviamo a stare un po’ in silenzio e pensare con Dio alla giornata che si apre, a cosa vorremmo e desideriamo e mettiamolo nelle Sue Mani. La preghiera e il silenzio sono come l’arco sulle nubi del racconto di Noè: essa unisce il cielo e la terra e ci aiuta a ritrovare la nostra integrità, come uomini fatti di carne e di spirito.

Pregare con il vangelo del giorno

Passi per la preghiera personale
Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Gesù, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
Scelgo una Parola o una frase che mi colpiscono e cerco di capirne il senso per la mia vita.
Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Prima Settimana di Quaresima

Lunedì 19 febbraio – Mt 25,31-46

https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240219.shtml


Gesù si identifica con i piccoli e i bisognosi, con chi è meno fortunato di noi e non ha avuto le stesse risorse di partenza oppure si è scontrato con la malattia, la povertà, i condizionamenti sociali. Gesù non elimina con un colpo di spugna la fragilità da questo mondo, ma si fa lui stesso fragile, povero, piccolo, perché Dio possa abitare ogni frammento della condizione umana e ogni istante della nostra vita, anche quelli più vuoti e dolorosi. Chiediamo oggi la grazia di vedere Gesù nella piccolezza e nella fragilità, in noi e negli altri.

Martedì 20 febbraio – Mt 6,7-15

https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240220.shtml


Gesù insegna a pregare ai suoi discepoli. Il Padre Nostro è la forma più alta di preghiera e la sintesi di ogni preghiera, non tanto per le parole che contiene, ma soprattutto per lo spirito che le muove, e che è caratterizzato da una strutturale e incontrovertibile consapevolezza di essere amati come figli. Pregare il Padre Nostro significa alimentare la nostra coscienza con il nutrimento dell’amore del Padre, da cui ci sentiamo guardati con stima, con amicizia, con tenerezza. Significa anche cogliere ogni giorno questo amore in ogni relazione e in ogni evento, come pane che ci nutre e ci da la vita.

Mercoledì 21 febbraio – Lc 11,29-32

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Gesù invita a vedere in lui il segno della profezia di Giona, che è stato mandato da Dio ad annunciare la sua misericordia verso gente violenta e peccatrice, nella città di Ninive. Così Gesù è inviato dal Padre a rivelare la sua misericordia verso ogni uomo, senza eccezioni e a donare una sapienza che è superiore perfino a quella del re Salomone, perché proviene da Dio stesso. Gesù ci rivela un Padre che non ha paura del peccato dell’uomo, anzi, viene incontro all’uomo nella sua situazione concreta, senza chiedere nulla, ma solo donando il suo amore. L’unico peccato che Gesù condanna è l’indifferenza di chi crede di essere già a posto.

Giovedì 22 febbraio – Mt 16,13-19 cattedra di San Pietro Apostolo

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Gesù chiede ai suoi discepoli quali siano le opinioni prevalenti della gente a suo riguardo. Molti lo considerano un profeta, come Elia, come Geremia, come i grandi profeti di Israele. È già un giudizio lusinghiero, importante. Ma Gesù non si accontenta: chiede ai suoi discepoli un opinione personale, che nasca dal loro rapporto di amicizia e condivisione con lui. Non basta sapere delle cose di Gesù o ritenerlo un uomo importante o carismatico, è invece importante chiedersi chi sia per me, che rapporto io abbia con lui, che spazio e rilevanza abbia lui nella mia vita, quale desiderio mi muova a seguirlo. Solo così potrò approfondire chi sono io davanti a lui, qual è il nome con cui mi chiama ad essere me stesso.

Venerdì 23 febbraio – Mt 5,20-26

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Gesù invita a vivere con radicalità la riconciliazione nei rapporti umani. Non è affatto facile, quando le ferite sono profonde e ancora non rimarginate dal tempo e da gesti di ravvedimento che provengano da chi ci ha offeso. Noi però abbiamo bisogno di gettarci alle spalle l’amarezza, la delusione, il risentimento che covano nel nostro cuore come una malattia che minaccia di infettarne tutti i tessuti. Se allora impariamo a gettare dietro le spalle le nostro pretese di giustizia, a coltivare uno sguardo empatico, capace di comprendere i limiti altrui, non è per “buonismo” ma, al contrario, per “egoismo”, perché vogliamo liberarci dal male e tornare a gustare una pace più profonda. Solo il perdono permette di rigenerare la vita.

Pregare con il vangelo della Domenica

Mc 1,12-15 (I Quaresima B)

Gesù tentato nel deserto

Il testo di Marco che la liturgia ci presenta è suddiviso in due parti: il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto e un sommario dell’attività ministeriale di Gesù (vv. 14-15).

Il racconto delle tentazioni segue il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, collegandosi ad esso 

sia per il rapido movimento con cui si susseguono i due eventi, segnalato dall’avverbio «subito», sia dalla menzione dello Spirito Santo che scende su Gesù in forma di colomba e poi lo sospinge nel deserto per essere tentato.

Gesù, solennemente dichiarato come Figlio dalla voce celeste dopo il battesimo ora deve essere messo alla prova per confermare la sua adesione a questo statuto. Che si tratti di una volontà divina è sottolineato dal verbo «sospingere», che ha per soggetto lo Spirito Santo, e che connota un’azione improvvisa e quasi violenta.  Il deserto è dunque il luogo della prova (cf. Dt 8,2), che ricorda i quarant’anni del popolo nel deserto (Dt 9,9; Es 34,8) o i quaranta giorni di Elia prima di arrivare al monte Oreb (1Re 19,8).  Egli è il messia di Israele, che è tentato come Adamo, ma a differenza sua, rimane fedele e vive in un’armonia cosmica (cf. Is 11,8), come una nuova comunione tra cielo e terra, segnalata dalla presenza delle bestie e del servizio degli angeli 

Nei successivi versetti il narratore introduce il contesto spazio-temporale dell’azione ministeriale di Gesù, che inizia per la prima volta qui.  Giovanni il Battista è appena stato arrestato e probabilmente diventa particolarmente pericoloso rimanere in Giudea e Gesù si sposta in Galilea. Tuttavia non viene qui specificato il motivo dello spostamento di Gesù; il lettore deve intuirlo dal fatto che la Galilea sarà la terra in cui Gesù risorto precede i suoi discepoli (16,7) e in cui risuonerà il primo annuncio della resurrezione. Si può quindi intuire che Gesù, compiuto il tempo della preparazione caratterizzato dalla missione del Battista, inizia il suo ministero di annuncio proprio in Galilea, da dove l’annuncio del vangelo sarà propagato dopo la sua resurrezione. Il tempo delle promesse è infatti ormai compiuto (v. 15) e Gesù proclama la vicinanza del Regno di Dio. Con Gesù è giunto l’oggi in cui si riceve il centuplo (Mc 10,30), il tempo della maturazione dei frutti (cf. 12,2), il compimento di tutte le speranze contenute nelle promesse dell’Antico Testamento. Si tratta del Regno di Dio che è giunto e si sta propagando, a partire dall’annuncio stesso di Gesù e dalla sua persona, piccolo seme destinato a fare frutto (cf. Mc 4,11). L’invito conseguente di Gesù è di convertirsi, cambiare mentalità e credere al Vangelo (15).  C’è un Regno di Dio che è instaurato nella presenza del Figlio di Dio, in una nuova creazione nella quale entrare con la conversione. 

  • Tempo e luogo dell’azione 

Subito dopo il battesimo Gesù è spinto dallo Spirito Santo nel deserto, per mettere alla prova quell’identità di Figlio che si era rivelata nella scena precedente. Lo Spirito Santo spinge anche me, dove spesso non vorrei. Ne sento l’azione e il richiamo? Il deserto è luogo della prova, ma anche dell’incontro con Dio, per Israele e per i profeti. Qui Gesù vive la complessa situazione umana, suddivisa tra cielo e terra, tra bisogni, istinti naturali, ispirazioni e consolazioni divine. Egli infatti sta con le bestie e gli angeli lo servono. Il deserto, luogo della prova, ci mette a contatto con la nostra umanità, fatta di corpo e spirito. Quali luoghi di deserto nella mia vita? So prendere contatto con il mio corpo e con le esigenze profonde del mio spirito, mentre sono afferrato dalle tante preoccupazioni? 

  • Personaggi e azione

Gesù viene tentato da Satana nella sua natura umana ma ne esce vincitore con l’inizio del suo ministero in Galilea. Il deserto è anche luogo per svelare le tentazioni. In che cosa mi sento tentato in questo periodo?

  • Quale rivelazione 

Con il suo ministero e il dono dello Spirito Santo Gesù inaugura il Regno di Dio. Egli è il Figlio che mostra nella sua persona una misteriosa comunione tra il cielo e la terra. Chi è per me Gesù, Figlio di Dio, e come seguirlo? 

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: Gesù si trova nel deserto, sospinto dallo Spirito
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Lui, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Vedo ciò che i personaggi fanno e ne ricavo un frutto
  • Ascolto ciò che i personaggi dicono e ne ricavo un frutto
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Pregare con il vangelo della Domenica

Il lebbroso guarito (VI TO B)

Mc 1,40-45

Mentre Gesù è impegnato nella sua azione missionaria per tutte le sinagoghe della Galilea (cf. v. 39),  che un lebbroso si avvicina a Gesù manifestandogli la sua fede nei suoi confronti: “basta che lo voglia e Gesù lo può guarire”. Di quest’uomo non sono forniti tanti dettagli biografici, ma solo l’informazione che è ammalato di lebbra e che manifesta un atteggiamento di fiducia incondizionata verso Gesù. Quando nei vangeli un personaggio è anonimo, significa che il lettore può e deve immedesimarsi nel personaggio stesso. In tutto l’Antico Testamento si narrano soltanto due guarigioni dalla lebbra, una di Maria sorella di Mosè ad opera di Dio stesso e l’altra di Eliseo verso la mano di un pagano. La lebbra nell’AT è una malattia che esclude l’uomo da tutti i suoi legami sociali ed è assimilata alla morte (Nm 12,12), così che soltanto Dio può guarirla (2 Re 5,7). Attraverso due participi verbali (parakalòn kai lègon: supplicava e diceva, cf. 6,56;7,32;8,22) si esprime una richiesta ripetuta, che mostra in atto la fede dell’uomo nella possibilità di Gesù di guarirlo. Con un terzo participio (gonypetòn: inginocchiato, cf. Mc 10,17) si evince il suo atteggiamento di radicale riverenza e dipendenza da Gesù, assimilato alla figura stessa di Dio. 

 Con una compassione che Gesù prova spesso nei confronti dei malati e delle folle (cf. 6,34; 8,2; 9,22) e che è segno dell’amore stesso di Dio per il suo popolo nell’AT, Gesù tende la mano e lo tocca, con un gesto che rievoca l’opera potente del braccio di Dio nell’AT (cfr. Es 6,6; 7,5).

L’azione di guarigione è motivata dunque, secondo il narratore, dal sentimento di compassione di Gesù, che si caratterizza come il vero e proprio “motore” dell’azione e insieme una rivelazione dell’identità del protagonista. Infatti questo verbo che esprime compassione (splancnistheis v. 41) si trova come sostantivo anche nel libro della Sapienza per indicare la tenerezza del padre Abramo verso il figlio Isacco (cf. Sap 10,5) e in certo modo si ricollega alle viscere “paterne” di Gesù, il messia rivelatore del padre.

Gesù poi tende la mano e tocca il lebbroso e in tal modo supera la legge, che vietava di toccare un lebbroso perché impuro (Lv 5, 3). Egli vince l’impurità non arginandola con il muro della legge, ma con la potenza di quell’amore compassionevole che lo spinge a infrangere il muro e toccare la pelle ammalata dell’uomo. In questo segno vi è già una rottura e quindi un compimento rispetto alla prassi legale di Israele. Il compimento della legge si rivela proprio nella deroga ad essa, rivelando all’opera un amore in grado non solo di segnalare il male, ma molto più di guarirlo. Da qui in poi una serie di miracoli ottenuti tramite la fede dei presenti e la misericordia di Gesù metteranno Gesù in contrapposizione con le autorità legali del tempo. Il racconto del lebbroso anticipa dunque tutto il successivo versante della sequenza (2,1-3,6).

Le parole di Gesù ripetono quelle del lebbroso, indicando la volontà precisa di Gesù e al contempo esprimendo con un verbo in forma passiva: “sii purificato” un’azione che avviene certo per volontà di Gesù ma grazia ad una potenza nascosta e liberante. Infatti il verbo “sii purificato (kataristheti) è un aoristo passivo di katharizo senza complemento d’agente espresso. In casi come questo (cf. 7,34) il soggetto dell’azione, nel complemento sottinteso, è Dio stesso (passivo divino). L’azione di Gesù conferma lo sfondo veterotestamentario dell’Esodo, per cui Dio è dipinto come colui che agisce col braccio disteso (cf. Es 6,6): infatti nelle azioni e nelle parole di Gesù è presente l’azione stessa di Dio, che libera e guarisce l’uomo. Non a caso subito dopo il narratore constata l’efficacia del miracolo (v. 42), con il medesimo verbo alla voce passiva (fu guarito).

Che nello sfondo di questo racconto vi sia la questione della Legge di Israele, donata da Dio sul monte Sinai, al culmine dell’itinerario di liberazione e rivelazione da parte di JHWH nei confronti del suo popolo, lo conferma Gesù stesso, con un tono piuttosto severo. Gesù infatti sgrida il lebbroso, intimandogli di non dire niente a nessuno, per non fargli pubblicità impropria e di andare dai sacerdoti ad attestare la guarigione, secondo la legge di Mosè (Lv 14,3-30).  Se la compassione di Gesù ha oltrepassato le barriere della legge, con un atto senza precedenti, allo stesso modo il lebbroso guarito rende nota una parola (o logos), annunciandola (kerysson). L’ex lebbroso infatti non rinuncia ad andare per tutti i luoghi ad annunciare e rendere noto il fatto. La potenza del Vangelo comincia a diffondersi, malgrado questa sia solo una fase iniziale e prolettica di un futuro annuncio, che seguirà la resurrezione di Gesù. L’ordine trasgredito è un’indicazione narrativa per il lettore, che deve qui vedere un anticipo di una gloria futura, che potrà comprendere alla luce della morte in croce di Gesù, dove si compie la rivelazione dell’intero racconto evangelico. Si tratta qui dell’anticipo di ciò che si troverà pienamente solo alla luce della croce, dove si esprime in pienezza la misericordia del Figlio di Dio per ogni uomo.

L’ira di Gesù verso il lebbroso guarito e il gesto deciso con cui lo caccia via da sé sono indicazioni forti per il lettore, perché capisca che c’è ancora del cammino da fare dietro a Gesù, prima che si riveli totalmente la sua identità messianica e si comprenda il compimento/superamento della Legge in Lui e nella Sua misericordia. Intanto il discepolo e, con lui, il lettore, sa che la testimonianza del lebbroso guarito attraverso i “sacerdoti” è rivolta “a loro”, ossia agli ebrei che Gesù incontra nelle “loro” sinagoghe. È chiaro qui il punto di vista ideologico del narratore, che fa riferimento alle leggi di purità rituale, e alla pratica sinagogale, come a ciò che non riguarda più il suo lettore, chiamato a camminare dietro a Gesù fino al compimento della croce.

  • Tempo e luogo

Gesù ha appena abbandonato Cafarnao ed è libero di obbedire al progetto di Dio, di andare dappertutto. Ha visitato la Sinagoga, è stato in casa di Simone, ha percorso la città ed i villaggi vicini ed ha viaggiato per tutta la Galilea. Il suo messaggio deve estendersi a tutti ed in ogni luogo. Nell’episodio che stiamo analizzando lo sorprende dunque un lebbroso a supplicarlo, in modo continuativo.

  • Personaggi, cosa dicono e cosa fanno.

L’atteggiamento di Gesù è caratterizzato dal verbo della compassione, dell’amore profondo nei confronti del lebbroso. Mi metto sotto lo sguardo di Gesù. Egli distende il braccio, con la potenza del Dio dell’AT, lo tocca e dice: “lo voglio, sii purificato”. Gesù vuole la guarigione, la libertà dell’uomo, e attraverso la sua parola si mette in atto la potenza stessa di Dio (cfr. sii purificato, sottinteso “da Dio”). Entro progressivamente in questa fiducia nella parola di Gesù.

  • Rivelazione

La potenza del Vangelo è già all’opera, ma per ora non si può ancora comprendere da dove essa nasce. Essa proviene infatti dalla morte in croce di Gesù e dalla sua resurrezione. Egli è in grado di guarire dalla morte, rappresentata dalla lebbra, perché l’ha presa su di se sulla croce. Questa potenza di guarigione del Vangelo sarà universale, come universale è la provenienza dei malati che accorrono da Gesù, in luoghi deserti. Contemplo la croce come una potenza che mi guarisce.

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: Gesù si trova per strada e incontra un lebbroso che gli viene incontro
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Lui, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Vedo ciò che i personaggi fanno e ne ricavo un frutto
  • Ascolto ciò che i personaggi dicono e ne ricavo un frutto
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Pregare con il vangelo della Domenica

Mc 1,29-39 (V TO B)

La giornata tipo di Gesù

Siamo ancora all’interno della giornata tipo di Gesù. Questo brano include due dei quattro episodi che descrivono il sabato di Gesù a Cafarnao (la guarigione della suocera di Simone vv. 29-31;i miracoli di guarigione durante la sera e la  preghiera e ricerca di Gesù al mattino vv. 32-38).Dopo aver guarito un indemoniato (1,23-28) Gesù si reca subito, accompagnato dai discepoli che aveva precedentemente chiamato (1,16-20), in casa di Simone (v. 29). La traiettoria del percorso che Gesù compie durante questa giornata tipo parte dalla sinagoga (il luogo deputato all’ascolto e alla proclamazione della parola) per poi dirigersi in casa di Simone, allargarsi a tutta la città ed ai villaggi vicini e infine concludersi concludersi in“tutta la Galilea“: Tutto lo spazio deve essere attraversato dal messaggio di Gesù e dalla sua presenza. L’ambiente della casa,che indica familiare intimità si contrappone a quello della sinagoga di Cafarnao, dove invece Gesù deve fronteggiare le ostilità dei suoi nemici (cf. 3,6). L’azione procede velocemente (cf.”subito” v. 30), perchè c’è una concitazione tra i presenti, segno di un tempo favorevole che si è oramai compiuto in Gesù (cf. 1,15). La suocera di Simone è malata : è innanzitutto una donna e per di più impura data la sua infermità. Le rigide prescrizioni della Legge indicano che sarebbe da evitare un contatto con lei ma subito i suoi discepoli gli parlano di lei.I gesti di Gesù sono significativi: egli la prende per mano e la rialza (v. 31), come una sorta di resurrezione anticipata, a cui fa seguito il servizio della donna. La guarigione che ha sperimentato diviene l’opportunità per vivere nella logica del servizio: il verbo utilizzato dall’evangelista richiama la parola diakonia, così come in effetti i dodici saranno chiamati a fare (cf. 9,35), sul modello di Gesù che non è venuto per essere servito ma per servire (cfr. 10,45).

Dopo il tramonto del sole, terminata la giornata di sabato (v. 32) la gente può portare i malati e gli indemoniati alla porta della città da Gesù ed egli li guarisce. I segni di liberazione che Gesù compie sono un’indicazione del Regno di Dio che è venuto, attraverso un insegnamento dotato di autorità, che compie ciò che dice (cf. 1,22) e vince il male in ogni sua forma.

Così come intensa è stata l’attività di annuncio e guarigione da parte di Gesù, altrettanto intensa dovrà essere la sua preghiera (1,35). Egli si alza molto presto al mattino, il giorno dopo il sabato (possibile allusione alla resurrezione) e va a pregare. Così come farà dopo la moltiplicazione dei pani (Mc 6,46) Gesù avverte la necessità di distanziarsi dalla folla e di mettere tutta la sua azione nelle mani del Padre, per compiere la sua volontà (cf. Mc 14,35-36).

La ricerca di Pietro, contraddistinta da un verbo che caratterizza i personaggi negativi del Vangelo, che intendono intrappolare Gesù dentro i loro schemi o progetti (cf. 3,32; 8,11.12; 11,18; 14,11), risponde al desiderio della folla (v. 37), che invece Gesù evade, per rispondere piuttosto al disegno di Dio, quello per cui egli è venuto (v. 38), di annunciare il Vangelo del Regno (v. 39, cf. 1,15) in tutti i villaggi vicini. L’azione di Gesù non è limitata ad alcuni, ma a tutti, perchè è universale.

  •             Tempo e luogo

Subito dopo la guarigione dell’indemoniato. Gli eventi incalzano, perché il Regno di Dio è arrivato. La prima parte del racconto si svolge nel giorno di sabato. La seconda parte avviene la sera, quando il giorno di sabato è ormai terminato (vv. 32-34). La terza parte avviene la mattina presto (35-39). È una giornata tipo di Gesù.

La prima parte del racconto si svolge in casa di Simone. La casa è un luogo di intimità con Gesù, dove si sperimenta la guarigione per opera di Gesù e il servizio dei fratelli. Chi è guarito si mette a servire, come la suocera di Simone. Anche alla sera siamo alla porta della casa, con tutti i malati radunati davanti. Al mattino invece Gesù si reca in un luogo deserto. Mi chiedo Qual è la casa in cui sperimento la guarigione, nell’incontro con Gesù.

  • Personaggi

Ci sono i discepoli in casa con Gesù, la folla con i malati e indemoniati portati a Gesù la sera, al tramonto del sole, quando il sabato è ormai terminato. C’è Pietro che si mette in ricerca di Gesù. Infine c’è Gesù solo in preghiera con il Padre, la mattina presto.  Sono nell’atteggiamento di Pietro e della folla, che vuole piegare Gesù alla propria volontà o posso seguirlo liberamente, dove lui vuole?

  • Rivelazione

Gesù vince il male e libera la suocera di Simone per aiutarla a mettersi a servizio dei fratelli. Egli guarisce e scaccia i demoni: ma la sua missione è più ampia di quello che si aspettano i discepoli e la gente. Egli deve andare di villaggio in villaggio ad annunciare, perché  per questo è venuto: obbedisce alla volontà del Padre e non alla ricerca del proprio successo. Mi chiedo se nella mia giornata tipo, c’è posto per un’interiore libertà dai miei affari quotidiani e se riesco ad accettare il modo con cui il Signore decide di rivolgersi a me.

Passi per la preghiera personale

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: Gesù è nella casa di Pietro, con i discepoli e la suocera di Pietro ammalata
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Lui, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Vedo ciò che i personaggi fanno e ne ricavo un frutto
  • Ascolto ciò che i personaggi dicono e ne ricavo un frutto
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Pregare con il vangelo della domenica Gv 1,29-42 (II TO A-B)

Abitare con Gesù

Il messaggio nel contesto

Giovanni il Battista proclama Gesù l’Agnello di Dio davanti ad interlocutori non precisati. Egli sta parlando a tutti, perché la sua testimonianza è universale (cf. 1,7). Gesù è presentato nell’atto di venire – perché egli è il Signore che viene (cf. Is 40,10) – verso Giovanni che rappresenta tutta l’attesa del popolo di Israele di un messia che avrebbe tolto i peccati del mondo (Zc 13,2), ossia non solo i peccati individuali, ma il dominio del peccato sul mondo.  Gesù è dunque l’Agnello che evoca i sacrifici di cui Israele non avrà più bisogno perché Egli toglie definitivamente ogni peccato. Giovanni vede in Gesù Colui che era vissuto prima di lui (v. 30), come Elia o il Profeta che doveva ritornare sulla terra a preparare gli ultimi tempi. Più radicalmente, come aveva già sottolineato il prologo, Gesù precede Giovanni perché è il Verbo di Dio, in cui era la vita e la luce (cf. 1,15). La testimonianza di Giovanni si sviluppa nei vv. 32-34, dove egli allude implicitamente al battesimo ricevuto da Gesù, per sottolineare la discesa dello Spirito. A differenza dei Vangeli sinottici (cf. Mt 3,13-17 par.) qui lo Spirito non solo discende su Gesù, ma anche rimane su di lui, perché egli sarà colui che battezza nello Spirito Santo, trasformando l’uomo in modo definitivo, col perdono dei peccati (cf. 3,5;7,37-39;20, 22-23). Se lo Spirito rimane in lui, ciò significa che egli “rimane” nel Padre, e, attraverso lo Spirito donato sulla croce, egli stesso rimane nei suoi discepoli e i suoi discepoli in lui (cf. Gv 15,4-5)

Se nei Sinottici (cf. Mt 3,17 par.) è una voce divina a proclamare Gesù come Figlio di Dio, qui è Giovanni il Battista a testimoniarlo, grazie alla sua capacità di “vedere” lo Spirito. Egli porta così a compimento tutta l’attesa ebraica di un messia, Figlio di Jhwh (cf. Sal 2,7), in grado di instaurare definitivamente il Regno di Dio.

La presentazione di Giovanni si ripete al v. 35 una seconda volta davanti ai discepoli, che iniziano a seguire Gesù. Nel QV sono i discepoli a seguire Gesù e non lui a chiamarli. Egli anzi chiede loro “cosa cercate?”, per aiutarli a chiarire il loro desiderio. La loro domanda è simbolicamente interpretabile: “Rabbì, dove dimori?”. Non si tratta semplicemente di stare a casa di Gesù ma di imparare a dimorare dove lui sta, ossia nella dimora del Padre suo (cf. 2,16).

Uno dei due discepoli, Andrea, incontra suo fratello Pietro e lo conduce da Gesù.

C’è un gioco di sguardi che si sviluppa in questo racconto: Giovanni il Battista fissa lo sguardo su Gesù e lo definisce come Agnello di Dio. Gesù vede i due che lo seguono e chiede “cosa cercate?”. Gesù vede Pietro e gli conferisce un nome nuovo: “Pietro”. Lo sguardo di Gesù è in grado di andare più in profondità, di penetrare la vera identità della persona e di riconoscerla. Così Gesù fa anche con ciascuno di noi, fissando il suo sguardo sulla verità più profonda della nostra persona.

  • Qual è il contesto spazio-temporale del racconto

Ci troviamo nel luogo dove Giovanni battezza, a Betania, al di là del giordano. L’incontro con Gesù avviene il giorno dopo l’interrogazione dei sacerdoti e leviti e la testimonianza di Giovanni. Siamo al culmine del percorso di preparazione della venuta di Gesù.

  • Chi sono i personaggi e cosa fanno

Giovanni il battista vede Gesù, vede lo spirito scendere e rimanere e fissa lo sguardo su di lui. Giovanni è un uomo che vede, al di là del banale e del superficiale. Mi posso chiedere come anch’io educo il mio sguardo sulla realtà, se alla luce della fede o meno. Giovanni testimonia:egli non tace ciò che vede, ma lo dona agli altri. Come vivo il dono della fede, se è qualcosa da custodire solo nella propria coscienza o in grado di essere condiviso. Gesù passa e osserva: come colgo il tempo opportuno del suo passaggio nella mia vita? Come sono osservato da lui? I discepoli seguono Gesù e vedono dove abita. Quale familiarità con il Signore Gesù?

  • Cosa dicono i personaggi

Giovanni il Battista esclama che Gesù è l’agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Di fronte a tale annuncio di speranza, come mi pongo? Lo Spirito Santo scende e rimane su di lui. Gesù mi dona lo Spirito Santo. Cos’è per me la “vita spirituale”?Venite e vedrete. Faccio esperienza di stare con Lui?

  • Quale rivelazione?

Gesù è il messia che dona lo Spirito Santo, compiendo tutti i disegni di salvezza manifestati ad Israele.

Passi per la preghiera personale

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: Gesù è con Giovanni il Battista, vicino al fiume Giordano dove Giovanni sta battezzando
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di conoscere il Nome che egli mi dona, e come mi guarda
  • Vedo ciò che i personaggi fanno e ne ricavo un frutto
  • Ascolto ciò che i personaggi dicono e ne ricavo un frutto
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Fare la volontà di Dio? (Battesimo di Gesù)

Un tempo di si diceva: dobbiamo fare la volontà di Dio.

E lo si diceva spesso con un misto di rassegnazione e senso del dovere, come se la volontà di Dio calasse da sopra di noi come un peso da portare o come una scure che taglia da accogliere.

Ci si percepiva come servi, un po’ schiacciati da una morale esterna, fatta di precetti e indicazioni vincolanti, pena la nostra separazione da Dio.

Quando però è arrivato Gesù, ci ha mostrato un modo completamente diverso di “fare la volontà di Dio” e di “essere servi”.

Gesù non ha mai percepito le indicazioni che gli venivano dal Padre suo, come qualcosa da portare con rassegnazione. Soprattutto lui non ha mai sentito la Parola del Padre, come qualcosa di esterno, che veniva da fuori di lui, da qualcuno con cui avere solo un rapporto di obbedienza.

Lo possiamo notare nella scena del battesimo. La voce che viene dal cielo, quando Gesù esce dall’acqua e lo Spirito lo investe, dice: “tu sei il mio figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto”. Quel “compiacimento” di Dio viene espresso con una parola che nel profeta Isaia, nell’Antico Testamento, connota una misteriosa figura di servo, che fa la volontà di Dio, perché Dio si compiace di lui, lo predilige, lo fa oggetto della sua grazia, del suo amore.

Insomma il servo di Dio è in realtà uno che viene amato, scelto, prediletto, per entrare in una nuova sfera, quella di un rapporto privilegiato con Dio. E proprio grazie a questo rapporto privilegiato egli può essere e quindi vivere e agire secondo una profonda volontà, che viene da Lui.

Anche Gesù quindi può fare la volontà di Dio perché in lui risuona questo profondo compiacimento, che lo abilita ad un rapporto privilegiato. Quindi tutta la sua persona, non solo le sue azioni, sono compenetrate della volontà di Dio. Egli non solo agisce, ma è la volontà di Dio, perché ne mostra il suo cuore, il suo amore, la sua visione delle cose. Egli agisce come un servo che è tanto amato, da rivelarsi come un figlio, nel rapporto con il suo Padre.

 Colui che rende possibile questa profondissima comunione d’amore è lo Spirito Santo, che scende su Gesù subito dopo il battesimo ricevuto da Giovanni.

Nel battesimo ricevuto da Giovanni Gesù mostra che una via possibile per la natura umana, riempita dallo Spirito Santo, per vivere questa dimensione di relazione, di pienezza, di amore.

Nel nostro battesimo questa possibilità diventa una realtà, nel sacramento.

C’è poi tutta la vita per poterla realizzare concretamente, per poter far emergere tutte le profonde potenzialità insite nel nostro battesimo.

Vuol dire soprattutto non sentirsi mai soli e vincere lo scoraggiamento che pone ostacoli sul nostro cammino.

Quanto spesso di fronte ad alcune difficoltà che sembrano insormontabili, ci lasciamo prendere dall’angoscia, dal senso di solitudine, dalla percezione d’impossibilità e tendiamo a gettare la spugna, sbagliando!

Ecco il battesimo è quella profonda risorsa della nostra umanità, che ci spinge a sentirci sempre accompagnati, ad accogliere le sfide ed ostacoli che la realtà ci pone come delle opportunità per approfondire il nostro rapporto con Dio, per stare con Lui e da Lui ricevere quella forza che ci aiuterà ad uscirne con una gioia più profonda.

No, non siamo schiacciati dalla volontà di Dio, piuttosto siamo liberati da essa, per vivere meglio e più felicemente, da figli amati e incoraggiati a camminare avanti!

De-siderare (per l’Epifania)

Oggi è sempre molto in voga l’astrologia, che cerca di comprendere gli uomini e i loro caratteri, comportamenti e destini attraverso le stelle e i segni zodiacali.

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Le stelle sono sempre state indicazioni per gli uomini, per la loro storia e la loro vita. Nella loro configurazione così complessa ma in fondo ordinata gli uomini hanno sempre tentato di decifrare il mistero della vita. Nella convinzione che ci sia una correlazione tra il cielo e la terra, perché ad ogni vita di uomo corrisponde una stella in cielo.

Così la stella del messia era già stata prevista dal mago Balaam nell’Antico Testamento, colui che benediva Israele, profetizzando una stella, cioè un re, sorgere da Israele.

Ma Balaam non era un Israelita, era un santone pagano, in realtà nemico di Israele e dai cui consigli Israele si sarebbe dovuto ben guardare. Eppure anche lui non si era potuto trattenere dal considerare e desiderare quella stella. D’altra parte de-siderare in latino significa proprio “dalle stelle”: il nostro desiderio più profondo, più puro, più vero, viene dall’alto.

Ogni uomo è spinto da questo desiderio nel cuore a cercare la stella, a raggiungerla, a conoscerla ed è in fondo misteriosamente attratto da essa. Oppure potrebbe averne paura perché nella sua vita ha già raggiunto degli equilibri e delle posizioni che egli vuole difendere e non accetta che questo desiderio li possa mettere in discussione. In questo caso la reazione più naturale al desiderio profondo è la paura. È la reazione di Erode e anche della città di Gerusalemme, all’arrivo dei magi.

Paura o desiderio. Dobbiamo imparare a decifrare la scrittura del cuore, per comprendere che essa è in relazione con un’altra Scrittura quella del cielo e quella delle Scritture di Israele. Erode non vuole decifrare, non vuole leggere le Scritture per comprenderle, vuole solo utilizzarle per difendersi da quello che teme possa essere un disegno potenzialmente ostile per lui. Ma è una paura infondata. Così manda i magi a Betlemme, facendosi promettere che sarebbero tornati da lui. Paradossalmente, proprio mentre vuole utilizzare la Scrittura per mantenere il suo potere, la Scrittura lo utilizza come strumento per compiere i suoi disegni. Proprio mentre cercano di impedirli, gli avversari di Gesù finiscono per compiere i disegni di Dio. Così accadrà anche sulla croce: proprio insultando Gesù e mettendo fine alla sua vita sulla terra, i suoi avversari hanno reso possibile il paradossale compimento del suo disegno con la sua morte e resurrezione.

Egli poteva risorgere perché è espressione nella carne di un desiderio, di una vita, proveniente da Dio. La festa dell’Epifania quindi è la manifestazione di un desiderio che vince la morte e che proprio così mostra la sua universalità, il suo essere rivolto ad ogni uomo senza eccezioni, senza confini.

Penso ad uomini di altre culture e religioni: i magi lo sono. Abbiamo a cuore diverse persone che non conoscono Gesù e sono apparentemente distanti. In realtà dovremmo sapere che nel profondo del loro cuore anche queste persone sono intimamente connesse con lui.

Penso anche a persone care che hanno lasciato i sacramenti e un’attiva partecipazione alla comunità cristiana. Questo ci fa soffrire e ci lascia un senso di inadeguatezza, come se fosse colpa nostra, come se il Signore ce ne chiedesse conto. Ma i sensi di colpa e le paure non servono a nulla. Lasciamo risplendere quel desiderio nel nostro cuore. Ascoltiamo il desiderio nel loro cuore.

Tutto, anche le paure, le resistenze, le ferite, alla fine sono parte di un disegno più grande. Mettiamoli nelle mani di Dio, perché il disegno del loro cuore possa finalmente trovare una strada per portarli ad una gioia più grande e più vera.

L’anno nuovo

Il 2023 è passato e tutto sembra essere andato di male in peggio. L’anno nuovo, il 2024, come sarà? Se gettiamo un’occhiata ai titoli dei telegiornali o alle rapide rassegne degli eventi nazionali ed internazionali che abbiamo vissuto, non possiamo non farci prendere da una sensazione di sconforto e di paura per quello che verrà. Due guerre, una in vista (Taiwan), e le tensioni internazionali che portano con sé una maggiore esposizione dell’economia a rischi di crisi.

Però tutto questo è solo il frutto di una rapida occhiata ad immagini che si susseguono rapidamente, come nei reel di instragram, o ancor meglio, di un’orecchiare i rapidi cinguettii di brevi frasi, come su twitter (lo continueremo a chiamare così, malgrado Elon Musk). In questa nostra percezione non c’è nulla di riflesso, nulla di ragionato, nulla che aderisca davvero alla realtà della vita e alla nostra storia.

Il 2023 infatti può essere visto in modo completamente diverso, come l’anno in cui, malgrado tutto quello che risuonava nelle cronache del mondo, la vita nonostante tutto ha resistito alla pressione dell’odio e della violenza. È stato l’anno in cui la fase acuta dell’epidemia di Covid è terminata. In quest’anno abbiamo finalmente ricominciato a vivere una vita più normale. Quest’anno sono nati 134 milioni di uomini e ognuna di queste vite è stato un dono particolare di Dio. Anche quest’anno tanti uomini e donne hanno lottato e combattuto, con il loro lavoro, per un mondo migliore: pensate che solo in Italia quest’anno circa 685000 docenti hanno ogni giorno offerto il loro tempo e la loro passione educativa a più di 7 milioni di studenti. Ognuno di questi docenti, con i loro limiti, è stato un dono per la crescita dei nostri ragazzi.

Quest’anno il Signore si è manifestato nella nostra vita, in tanti modi, e ci ha mostrato che la sua presenza è in grado di cambiare il nostro sguardo, facendoci percepire tutto il bene che è in essa seminato.

È un po’ quello che coglie Maria nella sua storia. Ella non si lascia preoccupare dalle cronache del tempo, dai disegni di Erode alle strategie politiche e militari dell’impero romano ai rischi di insurrezione politica che c’erano a quel tempo in Palestina.  La sua memoria è invece piena delle Parole che ha accolto dall’angelo e che confronta ogni giorno con ciò che accade in lei e attorno a lei. La sua gravidanza, il suo parto, la presenza dei pastori, le loro parole, tutto la stupisce enormemente e nello stesso tempo le offre l’opportunità di rielaborare in profondità, nel suo cuore, quanto accade, per interpretarlo alla luce della Parola di Dio che ella ha accolto. “Lei”, ci dice l’evangelista, “custodiva questi eventi, meditandoli nel suo cuore”. Tutto costituiva per lei un’opportunità per giudicare la realtà, ossia unire ciò che sentiva nel suo cuore come proveniente da Dio e ciò che sperimentava e comprendeva degli eventi che accadevano intorno a lei.  Maria attiva un atteggiamento verso la vita che non può essere neanche lontanamente paragonato ad uno sguardo superficiale nei confronti degli eventi: ella si stupisce, accoglie, riflette, comprende e giudica la realtà alla luce della Parola di Dio, cosa che le permette di fare sintesi, di unificare la propria vita e di integrare le tante emozioni e i tanti fatti dentro ad una logica più vera e più profonda, quella della sua vocazione, della sua chiamata ad essere madre e a custodire un dono grande che è in lei. Per custodirlo ella impara a custodire la realtà, a lasciarla parlare nel suo cuore, riflettendo su di essa, ad apprezzare ogni cosa, anche le sfumature, aprendosi ad un amore che si esprime dentro a questa realtà e che la attraversa in modo straordinario.

Diventando madre di Gesù, nel concepirlo e partorirlo fisicamente, ella concepisce e partorisce una nuova “comprensione” della vita, più profonda e più vera, che le permette di gustare tutto dentro ad una prospettiva che proviene dall’alto, dalla Parola di Dio. Anche noi possiamo provare a fare come lei, cominciare a leggere in modo nuovo questo 2023: custodiamo ogni evento buono, ogni relazione positiva, ogni crescita nel bene, nella speranza, nella virtù; custodiamo ogni consolazione che il Signore ci ha dato, come una sua Parola, da confrontare con le parole del Vangelo.

Mettiamoci nei panni dei pastori e lasciamo che la vita ci aiuti a trovare le corrispondenza – e ce ne sono – tra le parole del vangelo e ciò che vediamo e sentiamo ogni giorno. Così il 2024 sarà meglio del 2023.

Dal controllo al dono

Con l’intelligenza artificiale noi uomini vorremmo controllare tante cose, dall’efficienza dei servizi agli eventi naturali, dal nostro corpo fisico, al corpo sociale, alla politica, per muovere le cose secondo i nostri disegni, o i disegni di qualcuno che ha più potere degli altri.

Dietro ci può essere l’idea che, al di là dei grandi benefici oggettivi dell’intelligenza artificiale, io pretenda di mettere in sicurezza tutto, anche la mia vita e la paura può portarmi a cedere ampie fette della mia libertà a questa idea. Ne abbiamo avuto un assaggio nei mesi del Covid.

A questa pretesa la Scrittura oggi contrappone una sana povertà, la povertà vista come la condizione di chi sa di non possedere la vita, ma che essa è un dono ricevuto ogni giorno.

Lo vediamo nelle figure bibliche che oggi la liturgia ci offre, Abramo e la Sacra Famiglia.

Abramo che pure era ricco, aveva tanto bestiame, in realtà era povero perché, oltre ad essere un nomade e a non possedere una terra sua, in realtà non aveva ancora un figlio suo, suo e di Sara,…solo in tarda età l’ha avuto… secondo tempi che lui non aveva assolutamente programmato.

Sperimentando questa povertà Abramo ha progressivamente maturato la capacità di affidarsi a Dio in ogni momento. Anche quando questo figlio sembrava che Dio, contraddicendosi, lo richiedesse a sé, anche in quel momento, Abramo ha confidato nella promessa di vita che viene da Dio. Ha saputo credere contro ogni evidenza nel Dio della vita, anche dentro alla prova della morte. Abramo ha messo alla prova Dio con la sua fede nella vita.

Allo stesso modo la sacra famiglia ha vissuto una povertà, anche più piena di quella di Abramo, perché tiene insieme sia l’aspetto materiale che quello spirituale. Come ramo ormai decaduto di un’antica tribù regale, la famiglia di Giuseppe non poteva godere di alcun privilegio. Anzi, la sua offerta al tempio mostra che, nonostante il lavoro artigianale di Giuseppe, il reddito di questa famiglia era certamente tra i più bassi: si tratta dell’offerta di base, quella di chi non possiede quasi nulla, una coppia di giovani colombi.

Ma questa povertà non sarebbe nulla, anzi sarebbe una condizione negativa, se non fosse riempita da una più grande e più profonda povertà, quella di colui e colei che riceve il dono del figlio, senza sapere nulla, solo affidandosi ad un disegno che viene da Dio e che si manifesta giorno dopo giorno.

Giuseppe e Maria non avevano alcuna possibilità di comprendere il futuro e di entrare nella pienezza della comprensione di Colui che avevano accolto nella loro famiglia. Eppure percepivano la sua crescita, in sapienza e grazia. Non avevano la pretesa di controllare la crescita di questo figlio, ma si adoperavano giorno dopo giorno, secondo le sane tradizioni ricevute e secondo i loro doni di intelligenza e amore, per offrire a questo bambino i fondamenti umani su cui costruire il progetto di Dio.

Quante volte si saranno sentiti inadeguati! Quante volte avranno percepito la loro “inefficienza” rispetto ad un disegno molto più grande! Quante volte avranno avuto un po’ paura per il futuro di quel loro figlio e si saranno chiesti che cosa gli sarebbe accaduto!

Anche a noi non è dato possedere la vita, il futuro. Disattivare un po’ il nostro controllo, rimanere in un gioco di inefficienza può essere il modo che Dio ha scelto per noi, per farci aprire nuovi spiragli, per aiutarci a guardare le cose in modo nuovo, per farci scoprire i veri doni che lui può e vuole darci!

Quanto ci sentiamo inefficienti e inadeguati, quando sentiamo di non avere la vita sotto il nostro controllo, allora siamo nella strada giusta, per aprirci al dono più grande che Dio vuol farci a noi personalmente!