Il nutrimento della fede

Dio non ha bisogno delle nostre opere buone, perché è lui stesso che opera in noi per attirarci a Suo Figlio. Questa è la fede, che nasce dalla terra ed è dono del cielo, come la manna. Essa è cibo che nutre e trasforma.

 

Quando i giornali hanno riportato la morte del manager Marchionne, ho condiviso lo stupore e in parte lo sgomento di tanti italiani. Un uomo che ha ottenuto tanti successi imprenditoriali, che ha trasformato con la sua visione e la sua leadership la vita non solo di un’azienda ma della stessa società, è stato portato via così d’improvviso, nel bel mezzo del suo lavoro. Saremmo portati a fare nostra l’affermazione di Qohelet: tutto è vacuità, qual è il senso di tanto daffare in cui siamo immersi?

Anche la nostra vita è continuamente proiettata al di fuori di noi stessi, in tante opere e realizzazioni, materiali e relazionali. In esse noi ci identifichiamo, troviamo una parte di noi stessi nel mondo. Tutta il nostro modo di vivere è un perenne movimento di azione, produzione, impegno lavorativo, aiuto familiare, in cui ci riconosciamo e siamo dagli altri riconosciuti. Ma c’è una parte più profonda di noi, che chiede di essere ascoltata. Una parte che chiede silenzio per fare spazio ad una Parola che non proviene da noi stessi, ma che riceviamo, come nutrimento più profondo.

Dice Gesù alla folla: “Datevi da fare non per il cibo che perisce ma per quello che dura per la vita eterna e che il figlio dell’uomo vi darà.” Se la folla interpreta questo cibo come un fare le opere di Dio, cioè secondo la Legge donata da Mosè sul monte, Gesù invece risponde che la vera opera di Dio è credere in colui che egli ha inviato. In altri termini la vera opera non è ciò che noi possiamo fare per Dio, come se Lui avesse bisogno di noi, fosse anche l’azione più santa, ma ciò che Lui fa per noi e in noi, accendendo la fede nel nostro cuore, nutrendoci di quel solo pane che può alimentarci nel profondo.

Questa riflessione si può ampliare, fino ad interpretare tutta la storia degli uomini e il modo in cui Dio interviene in essa. La storia umana è fatta attraverso opere che trasformano il mondo e a volte lo stravolgono, portando un disequilibrio, una disarmonia tra cielo e terra. Esse sono più spesso il frutto di una volontà di dominio che di una custodia amorevole della creazione. Dio interviene con il dono della manna: essa proviene dal cielo ed insieme è frutto della creazione. Ha un aspetto celeste e insieme profondamente terrestre. Come Gesù che è insieme e inseparabilmente, uomo e Dio. In lui, nella sua umanità, trova sintesi tutta la materia dell’universo, tutta la creazione e tutta la storia. Gesù è la manna, il vero pane proveniente dal cielo, cioè dal Padre. Nella sua umanità tutta la materia e tutta la creazione viene elevata e unita personalmente al Figlio che ci rivela il volto di un Dio buono e misericordioso. In Lui anche tutta la nostra umanità può davvero essere saziata e dissetata: chi viene a me non avrà più sete, mai, in eterno.

È la nostra sete e fame di amore, che solo Lui può saziare, espandendo la nostra persona oltre i limiti delle nostre fragilità, paure e angosce e trasformandoci in un processo lungo e paziente, che dura anni, conosce tempi di salita, apparenti battute d’arresto o addirittura regressioni, si confronta con ostacoli più grandi della volontà, ma alla fine non può non arrivare alla meta, quella di un amore puro e profondo, che non chiede più nulla se non la semplice e costante presenza di Lui in noi. In tutto questo processo di trasformazione non contano tanto le cose che facciamo, ma ciò che noi diventiamo attraverso di esse.

Questa Parola che è Gesù è essa stessa vita, proveniente da Dio e trasforma tutto: essa risuona nel silenzio del nostro cuore, alla lettura profonda del Vangelo, nel respiro del nostro spirito che avverte il dono della Pace.

Chiediamo Gesù-Pace, invochiamolo, attendiamolo con fiducia: non si farà attendere tanto!

 

Nulla va perduto

Di ogni briciola del nostro impegno, del nostro amore, per quanto fragile e limitato, nulla va perduto, per la potenza della Sua Parola

 

 

Quando qualcosa cambia nella nostra vita, magari si cambia lavoro, oppure ci si trasferisce di casa o addirittura di città, oppure purtroppo ci viene a mancare una persona molto cara non è raro che il senso della perdita divenga molto forte e finisca per avvolgere la vita e farci percepire con acutezza la provvisorietà di tutto, nelle persone con cui costruiamo la vita e del nostro impegno quotidiano.

Nel racconto evangelico che abbiamo ascoltato Gesù ordina, a differenza di Mosè con la manna, di raccogliere tutto il pane avanzato dal pasto, perché nulla vada perduto. Obbedendo a questo invito di Gesù, anche noi sentiamo di raccogliere nel ricordo tutto quanto è importante per noi, perché grazie a Lui non c’è nulla nella nostra vita, nessuna esperienza, nessun lavoro, nessuna persona, che “vada perduto”.

L’amore di Dio è tale che non solo ogni sforzo umano, ogni ricerca, ogni lavoro trova il suo significato e il suo ruolo nel quadro più ampio del Regno di Dio, anche se per noi non è facile crederlo, ma anche ogni relazione e ogni persona, pur con i suoi limiti e le sue fragilità, ha un’importanza decisiva nel costruire il Regno di Dio nel nostro cuore e nella nostra vita.

Questo ci porta a dire tre cose. La prima è la responsabilità di partire dalle piccole/grandi realtà della nostra vita, la nostra persona, le nostre relazioni familiari, lavorative, il nostro impegno quotidiano, che sono i cinque pani e due pesci che il Signore ci chiede perché lui possa moltiplicarli. Gesù sceglie di non partire da zero, non è un mago che fa comparire cose che non esistono! Egli parte sempre da noi, da quanto Dio suo Padre ha creato, dalla natura che ci circonda, dalle nostre persone e dal nostro impegno, per moltiplicare il dono con la potenza dello Spirito Santo. Questi cinque pani e due pesci siamo noi stessi, le nostre persone, anche con la nostra fragile e limitata capacità di fare e soprattutto di amare.

La seconda cosa è appunto la sproporzione tra questi cinque pani e due pesci e la folla, ossia tra la nostra fragile realtà personale, e l’immenso campo del Regno di Dio a cui siamo da lui inviati. Dobbiamo ringraziare il Signore perché se da un lato non vuole fare nulla senza di noi, dall’altro ci lascia costantemente in questa fragilità, che è il luogo della prova. Sì Gesù ha messa alla prova i suoi discepoli, sapeva perfettamente che cosa avrebbe realizzato ma dialogando con loro voleva partire dalle loro risorse limitate e insieme dalla loro fiducia in Lui. Ciò che fa la differenza è la fede in Lui, nella Sua Parola. E allora anche la nostra o altrui fragilità non sarà più uno scandalo, ma il luogo della prova, per fidarci di Dio e affidarci a Lui.

L’ultima cosa che vorrei dire è una considerazione che riguarda il modo in cui oggi si tende a comunicare, privilegiando i fatti più clamorosi e spesso piuttosto negativi che positivi. Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Questo significa che nel nostro mondo interconnesso e globale si perde di vista spesso proprio l’essenziale, ossia quei cinque pani e due pesci che, moltiplicati per ogni giovane o uomo che abita sulla terra, costituiscono tutta la potenzialità di vita e di amore da cui il Signore parte per costruire il suo Regno di amore sovrabbondante.

Così partiamo dalla nostra vita, dal nostro corpo, dal respiro che ci attraversa, dalla madre terra che ogni giorno ci custodisce e dona acqua e cibo, dalle amicizie e dalle relazioni, per lodare ogni giorno il Signore e affidare tutto quanto a Lui, che moltiplica e rinnova, senza che nulla vada davvero perduto!

Lettura popolare XVII TO Anno B (Gv 6,1-15)

 

 

Gv 6,1-15

La moltiplicazione dei pani

 

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

Nei primi quattro versetti di questo racconto si situano nello spazio e nel tempo le cose che stanno per accadere. Gesù si ritira presso il Mare di Galilea, detto di Tiberiade (v. 1). La folla lo segue con entusiasmo e numerosa, perché ha visto i segni di guarigione. Non è detto che questo entusiasmo si accompagni ad una reale comprensione dell’identità di Gesù: la folla lo proclamerà profeta (v. 15) ma Gesù si ritirerà, evitando l’acclamazione regale, come a rifiutare un’interpretazione troppo miracolistica della qualità profetico-messianica del suo ministero (cf. 6,26). Egli sale sul monte, solenne ambientazione del dono della Legge da parte di Dio al suo popolo (v. 3). Siamo vicini alla Pasqua, accenno cronologico e simbolico che ci porta vicino alla morte di Gesù, al suo passaggio da questo mondo al Padre (cf. 12,1.7; 13,1).

Al v. 5 inizia il racconto della moltiplicazione dei pani. Diversamente dai vangeli Sinottici (cf. Mc 8,1-10) il miracolo non nasce da una situazione di bisogno, ma dallo sguardo di Gesù che vede arrivare molta gente e così mette alla prova i suoi discepoli, chiedendo da dove prendere pani perchè le gente ne mangi (v. 6). In realtà intende donare egli stesso il pane alla gente, gratuitamente (cf. Is 55,1), aprendo il cuore dei discepoli al vero nutrimento simboleggiato dal pane, la sua Parola (cf. 6,68). Gesù sapeva infatti bene ciò che stava per fare (v. 6), come ci informa l’evangelista. Con cinque pani d’orzo, che richiama il miracolo del profeta Eliseo (2 Re 4,38-42) e due pesciolini, che Gesù benedice e distribuisce egli stesso alla gente, egli si mostra non solo il regista ma anche la fonte di un nutrimento sovrabbondante, di un sovrappiù totale (12 ceste indicano totalità), che non va perduto e che pertanto simboleggia il dono di una vita incorruttibile (cf. 6,27). Diversamente dalla manna donata attraverso Mosè, che non deve essere conservata altrimenti si corrompe (cf. Es 16,3), il nutrimento donato da Gesù non va perduto.

La folla cercherà di impadronirsi di Gesù, dopo questo segno, ma egli non si lascia strumentalizzare, e fa ritorno sul monte, tutto solo (v. 15).

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.   (15 minuti). Quale fonte del mio “nutrimento interiore” in questi giorni?

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Gv 6,1-15 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  • Qual è il tempo in cui avviene l’azione?

Siamo in prossimità di Pasqua, il tempo in cui Gesù sarà innalzato sulla croce e donerà la sua vita al mondo. Il nucleo centrale della rivelazione di Gesù è la sua morte e resurrezione. Da esso può essere riletta tutta la sua vita e anche la nostra.

  • Quale luogo?

Presso il lago di Tiberiade, sulla montagna. L’indicazione del lago di Tiberiade fa riferimento al luogo ordinario della missione di Gesù. La montagna simbolizza la rivelazione. La rivelazione avviene nella quotidianità del mio vissuto. Ne sono consapevole?

  • Cosa fanno i personaggi?

-La gente segue Gesù perché fa miracoli e Gesù non rifiuta di rivelarsi alla folla, ma al contempo non si identifica mai totalmente con le loro pretese (profeta/re). Essi vogliono “afferrare” Gesù, ma lui non si lascia possedere o strumentalizzare. Di fronte ai benefici che Gesù mi dona, ho la tentazione di possedere Gesù?

-I discepoli stanno con Gesù e lui li mette alla prova. Dove comprare cibo? Come far bastare i cinque pani e i due pesci del garzone? Gesù risponde con le sue azioni, prendendo il pane, benedicendolo e distribuendolo. La condivisione che Gesù attua è il gesto che realizza il miracolo. Cosa implica questo per la mia vita?

-I discepoli raccolgono e riempiono dodici ceste di pezzi avanzati. La loro collaborazione è nel raccogliere più che nel distribuire. Cosa raccolgo dei frutti che la Parola compie nella mia vita?

  • Quale trama e rivelazione?

Si passa da cinque pani e due pesci ad una quantità di nutrimento capace di sfamare una folla di cinquemila persone, e di cui rimane un sovrappiù che non va perduto. Questo dono simbolizza il dono della vita divina che Gesù sta per fare, sulla croce, il dono di una vita sovrabbondante e senza fine. Sento che l’unica fonte del mio nutrimento, sovrabbondante e senza fine, è in Lui?

 

 

 

Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata lascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

Lettura popolare XVI TO Anno B

 

 

 

Lettura popolare XVI TO Anno B Mc 6, 30-34

 

Mc 6,30-34

Il cuore del pastore

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

Il testo ritagliato dalla liturgia per questa domenica presenta l’esordio del miracolo della moltiplicazione dei pani (vv. 30-44). I discepoli ritornano dalla missione a cui li aveva inviati Gesù e raccontano, Gesù li invita a ritirarsi per un po’ di riposo, ma la folla li segue fin nel luogo deserto dove si erano recati e Gesù, vedendo queste persone, si commuove e inizia ad insegnare (vv. 30-34). Al termine di questo insegnamento egli compirà il segno della moltiplicazione dei pani (vv. 35-44).

Dopo essere stati inviati e aver compiuto tutto ciò di cui erano stati incaricati, i discepoli, per la prima volta chiamati apostoli (=inviati) ritornano da Gesù e raccontano tutto quello che hanno fatto e insegnato. Questi due verbi, fare e insegnare, racchiudono l’intera missione dell’apostolo, che ha il compito di annunciare il Vangelo (insegnare) e di guarire i malati e scacciare i demoni (cf. 3,13-15; 6,12-13). Gesù stesso aveva fatto così ed essi non fanno altro che renderlo presente lì dove egli li invia (cf. 1,39). Annuncio e azioni di misericordia, che manifestano la potenza del Vangelo e la sua vittoria contro il male, costituiscono la globalità della testimonianza cristiana e rimandano alla persona stessa di Gesù.

Certamente anche il discepolo è un uomo e vive momenti di stanchezza e fatica. Per questo motivo Gesù li invita a riposarsi un poco, in un luogo deserto, in disparte. L’espressione “in disparte” è molto importante, perché aggiunge un elemento al carattere solitario del luogo: l’intimità con Gesù. Essi quando sono stanchi, sono invitati a “stare con lui” (cf. 3,14), aspetto che caratterizza l’identità stessa del discepolo inviato. Stare con Gesù significa affidarsi a lui, vivere una profonda familiarità e quotidianità con lui, assumendo le sue disposizioni interiori ad obbedire al progetto del Padre (1,37-38) e i suoi stessi sentimenti verso le persone.  I discepoli impareranno così la sua compassione verso il popolo che lo cerca (v. 34).

Sembra che il tentativo di Gesù che i discepoli stessero in disparte con lui sia fallito a causa della folla che lo ha preceduto lì dove aveva in mente di andare. Forse era un luogo di abituale riposo per Gesù e i suoi discepoli e la folla ormai lo aveva imparato. In ogni caso ora l’iniziativa è di Gesù e non più dei discepoli, egli vede, ha compassione e comincia ad insegnare loro. I discepoli rimangono “in disparte” con Gesù, riposandosi e vedendolo amare ed agire. Quello che le loro forze non possono realizzare, lo compie lui.

I verbi che hanno Gesù per soggetto sono da sottolineare: vedere, che indica lo sguardo vigile di Gesù e la sua attenzione rivolta alle persone; insegnare, che indica la sua propensione a indicare la strada come buon pastore.  Al centro si trova il verbo più importante: avere compassione. Esso si richiama alla compassione di Dio per il suo popolo nell’AT (cf. Es 34,6-7), un popolo che non ha guide e perciò si trova sbandato, come pecore senza pastore (cf. Ez 34,5; Zc 13,7). L’insegnamento di Gesù non ci viene riportato esplicitamente dall’evangelista Marco, quasi a sottolineare che Dio parla e guida il suo popolo attraverso la persona stessa di Gesù. Prima ancora delle sue parole è la sua persona che conta.

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.   (15 minuti). Avere compassione, amare con misericordia. È un sentimento che provo?

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Mc 6,30-34 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  • Qual è il tempo in cui avviene l’azione? I discepoli sono tornati dalla loro missione. Mentre erano in missione Giovanni il Battista ha subito il martirio (6,17-29). La missione sembra accompagnata dall’esempio del Battista, disponibile a dare la vita.  I discepoli raccontano a Gesù quello che hanno fatto e insegnato. So vivere il mio impegno quotidiano con Gesù, mettendolo nelle sue mani?
  • Quale luogo? Gesù intende ritirarsi con i suoi in un luogo deserto, in disparte. Quando sono stanco, fisicamente o psicologicamente, rispondo a questo invito di Gesù?
  • Cosa accade? La folla li precede e il progetto del riposo sembra essere rimandato. Tuttavia è Gesù a prendere in mano la situazione. Quando non ho più molte risorse di fronte all’infinito moltiplicarsi dei bisogni nella missione a cui il Signore mi chiama, so affidarmi a lui?
  • Cosa fa Gesù?

Egli vede, ha compassione e insegna. Entro nella compassione, nell’amore di Gesù per ogni persona, specialmente per quella più sofferente e affaticata.

 

 

 

Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

Lettura popolare XV TO Anno B

Lettura popolare XV TO Anno B Mc 6, 6b-13

 

Mc 6,6b-13
Imparare ad evangelizzare
Il messaggio nel contesto

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

E’ importante leggere questo brano tenendo conto del suo contesto: Gesù ha chiamato i Dodici “perché stessero con lui” (Mc 3, 14), e finora li ha preparati al secondo momento cruciale della loro chiamata, ovvero la missione, insegnando loro che il Regno di Dio è come un seme: sa arricchire la vita se accolto con gioia, fede e perseveranza (parabola del seminatore), non è un’entità controllabile e manipolabile, ma agisce nel silenzio e a volte inspiegabilmente (parabola del seme), apparentemente insignificante, sa germogliare nel cuore dell’uomo fino ad essere “più grande di tutte le piante dell’orto” (parabola del granello di senapa).
In Mc 6,1-6 – la pericope direttamente precedente a questa – Gesù è tornato a Nazaret e lì ha dovuto sperimentare il rifiuto, l’incomprensione, il pregiudizio (“era per loro motivo di scandalo”) e l’impotenza (“non poteva compiere nessun prodigio”, perché è la fede che suscita il miracolo, e non il contrario!): anche in questo, i discepoli vengono preparati al “no” che l’uomo può dire di fronte alla salvezza proposta dal Maestro.
Mentre sono con lui a condividere la sua missione per i villaggi (v. 6b), a questo punto Gesù chiama di nuovo i suoi discepoli, per inviarli verso le “periferie”, per predicare la conversione, scacciare i demoni, guarire i malati (v. 7. 12); ovvero, le stesse attività compiute precedentemente da lui (cfr. 1, 39). Essi diventano suo specchio e suo tramite nel mondo, con l’annuncio di una parola di salvezza e di gioia che essi per primi hanno sperimentato e vissuto. Non si tratta dunque solo di una “parola”, ma di una potenza di vita che si trasmette attraverso la parola e che rende nuovamente possibile l’azione benefica del passaggio di Cristo.
In questo discorso di invio secondo l’evangelista Marco, Gesù non si sofferma tanto su cosa i discepoli dovranno fare nella loro missione, ma sullo stile di vita che Gesù propone loro. Infatti, oltre a “predicare”, “scacciare”, “guarire”(v. 12), in un binomio fra parola e fatti, devono testimoniare in se stessi lo spirito interiore ed esteriore con cui si apprestano a compiere la missione.
I discepoli vengono inviati a due a due (v. 7). Questa espressione tecnica è da ricondurre al diritto biblico, per cui l’attendibilità di una testimonianza è resa possibile dal convergere di due persone. Tale espressione indica anche la comunità, come luogo di una testimonianza attendibile.
Inoltre Gesù vuole che i suoi discepoli siano figli liberi, non schiavi delle cose e dell’attaccamento ad esse; li invita a riconoscersi bisognosi di tutto, anche del nutrimento essenziale (il pane v. 8), e quindi implicitamente a porsi in atteggiamento di umiltà nei confronti dei loro futuri ascoltatori, nella condizione di chi ha qualcosa da dare (l’annuncio del Regno) ma anche tanto da ricevere. Essi infatti possono portare solo lo stretto necessario per camminare, il bastone, una sola tunica e i calzari.
La missione dei discepoli parte per le case, perchè i discepoli sono chiamati a condividere la vita delle persone, come già aveva fatto Gesù (cf. 1,29), anche affrontando il rischio di non essere accolti (v. 11). Gesù infatti non promette successi straordinari, ma educa i suoi discepoli a comprendere la missione secondo la sapienza della parabola del seme, che porta frutto quando cade nel terreno buono. Il segno dello scuotimento della polvere dai piedi è un gesto di rottura tipicamente ebreo, per il quale il giudeo che ritorna in territorio ebraico deve scuotere la terra straniera, impura.
Si tratta dunque di sottolinare come la Chiesa che nasce dall’annuncio del Vangelo, sia un popolo santo, che per testimoniare Dio deve essere distinto dal mondo al quale annuncia la rivelazione.

Come realizzare concretamente l’incontro?

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

1. Ricordiamo la vita. (15 minuti). I dialoghi e gli incontri di oggi. Come Ho vissuto e testimoniato il Vangelo?

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico.

2. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Mc 6, 6b-13 (10 minuti)

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

3. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)
Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.
Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.
Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.
Ecco uno schema possibile di domande:

• Qual è il tempo in cui avviene l’azione?
Gesù ha già iniziato la sua missione e ha già chiamato i suoi discepoli a stare con lui e condividere la sua esperienza. Ora li coinvolge al punto da inviarli a compiere ciò che lui sta facendo: predicare, guarire, scacciare i demoni. Sono consapevole che per essere inviato da Gesù devo essere chiamato da lui e stare con lui?
• Quale luogo?
Siamo lungo i villaggi di Galilea, dove Gesù sta insegnando (cf 6,6b). Immagino Gesù insegnare e predicare di villaggio in villaggio. Mi sento partecipe di questo annuncio e di questa missione?
• Cosa dice Gesù e quale rivelazione per il missionario?
– Gesù invia i suoi discepoli a due a due, che rappresentano la comunità cristiana nel suo complesso Sento che evangelizzare non è un opera da delegare a professionisti, ma è il compito della comunità cristiana in quanto tale?
– Gesù dà potere sugli spiriti impuri. Avverto che l’invio di Gesù mi trasforma in lui, specialmente nella forza di combattere e vincere il male?
– Non prendere nient’altro che un bastone. La missione è caratterizzata da quella povertà di mezzi che ti porta a chiedere e condividere con l’altro, a cui annunci il Vangelo. La missione è condivisione, con uno stile di semplicità. In quali occasioni e momenti sento di essere evangelizzatore?
– Dovunque entriate in una casa. La missione è semplicità, gratuità e condivisione di vita. Sento di avere questo stile?

Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

Lettura popolare XIII TO Anno B

 

 

Lettura popolare XIII TO Anno B Mc 5, 21-43

 

Mc 5,21-43

Guarire il cuore

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

La particolarità di questo racconto è l’intreccio di due storie, quella della figlia di un capo della sinagoga di nome Giairo e quella della donna affetta da emorragie. Apparentemente i due miracoli non hanno motivo per essere legati, se non per l’esatta sequenza dei fatti.

Ma ci sono delle analogie più profonde: in  entrambi beneficiaria dell’azione salvifica di Dio è una figura femminile: la prima  è una donna considerata impura a causa di un’emorragia che le durava da 12 anni. L’altra è una bambina di 12 anni malata molto gravemente. Inoltre sia Giairo che l’emorroissa si gettano ai piedi di Gesù, segno di adorazione ed espressione di fede. Nel caso della donna è Gesù che lo sottolinea.“La tua fede ti ha salvata!”, mentre per il capo della sinagoga, non c’è una dichiarazione esplicita del Signore, ma c’è la convinta decisione dell’uomo di andare con Lui, senza parlare,  fidandosi di Lui :“… affinché sia salvata e viva”.

Marco ci da in questo modo la chiave di lettura di ogni miracolo compiuto da Gesù, che porta non solo una guarigione fisica, ma una salvezza radicale dell’uomo, un anticipo della vita eterna.

Un’ulteriore analogia è che in entrambi i miracoli si assiste ad un tocco. Gesù prende per mano la bambina e l’emorroissa tocca Gesù. Da notare che si tratta di persone impure per la legge di Mosè (per perdite di sangue o per morte) e che quindi dovrebbero estendere l’impurità anche a Gesù. Invece proprio dal tocco scaturisce la salvezza ed emerge la pienezza dell’incontro personale col Signore e dell’adesione di fede. Il “gesto proibito” dell’emorroissa  esprime sicuramente una disperata volontà di guarire  ma anche una fede assoluta in Gesù, ben più forte d’ogni timore. Grazie alla sua fede ella è risanata, e chiamata “figlia”, reintegrata cioè nella comunità dei salvati. La sua, infatti, è una fede già implicitamente “pasquale”, nella potenza della resurrezione.

La guarigione fisica che Gesù compie è dunque segno di una ben più radicale guarigione, quella del cuore, che è risanato e rigenerato dalla fede nella resurrezione.

Anche nel secondo miracolo l’evangelista ci fa intuire la dimensione pasquale dei miracoli di Gesù.  Innanzitutto Gesù sceglie come testimoni  i tre discepoli che lo accompagneranno sul monte della Trasfigurazione e nella notte dell’agonia nel Getsemani, ossia Pietro, Giacomo e Giovanni. Poi Gesù le prende la mano della bambina e dice: “Talitha kum”. E’ un ordine perentorio, che viene tradotto dal narratore col verbo della “resurrezione”: alzati, risorgi! Come il profeta Elia, Gesù compie miracoli di ritorno alla vita (cfr. 1Re 17,17-24). Più di Elia, è Gesù stesso, con la potenza della sua parola, a compiere il miracolo. Egli è più che un profeta, è Dio, lo sposo che restituisce ad Israele la sua fecondità. Le due donne, infatti, ora hanno la possibilità di generare figli, l’emorroissa perchè guarita, dopo una malattia durata 12 anni, la fanciulla perchè ritornata in vita, all’età del menarca (12 anni).

Lo stupore dei presenti è un misto di meraviglia e di panico che prende ogni uomo quando si trova davanti alla presenza di Dio.                                          

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.   (15 minuti).

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Mc 5,21-43 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  • Qual è il tempo in cui avviene l’azione?  Le due azioni miracolose di Gesù avvengono una dentro l’altra, perchè mentre Gesù si reca a guarire la figlia di Giairo avviene l’incontro con la donna che aveva perdite di sangue.  Si tratta dunque di un’unica azione, con un unico significato da comprendere.
  • Quale luogo? Gesù era ancora con la folla lungo il mare, quando Giairo lo chiama. Il dominio di Gesù sul mare che rappresenta la morte, verrà esplicitato da queste guarigioni di due donne, a cui viene restituita la capacità di generare. Quali sentimenti e atteggiamenti di fronte al mistero della morte e alla persona di Gesù?
  • Cosa fanno i personaggi? Sono da sottolineare i verbi che esprimono l’azione di Giairo e della donna: gettarsi ai piedi, supplicare, toccare il mantello. Essi indicano una fede incondizionata nei confronti di Gesù. I discepoli invece si pongono in una prospettiva umana e raziocinante, quando interloquiscono con Gesù, quasi scandalizzati:”hai tanta gente intorno e chiedi chi ti ha toccato?”. Come loro anche la gente che si trova in casa della bambina morta non è nella giusta prospettiva per conoscere Gesù, ma lo deride. Da che parte mi pongo e con chi mi identifico in questi racconti. Quale atteggiamento prevalente nella mia vita?
  • Cosa fa Gesù? Gesù tocca bimba per le mani. Viene toccato nel mantello dalla donna. Incoraggia Giairo:”non temere abbi soltanto fede”. Riconosce la fede della donna: “Figlia, la tua fede ti ha salvato”. Egli mostra come la potenza sche scaturisce dai suoi gesti e parole ha a che fare con la fede dei suoi interlocutori nella sua persona. Qual è il mio contatto con Gesù? Si basa sulla fede?
  • Quale rivelazione è qui contenuta? Gesù rivela il Dio sposo dell’umanità, che le restituisce la fecondità perduta. Il dono della resurrezione è misteriosamente indicato nei due miracoli, per la presenza dei tre discepoli che hanno condiviso la trasfigurazione di Gesù, e per la reticenza di Gesù di fronte alla gente: “La fanciulla non è morta, ma dorme”. In questo modo Gesù indica che il significato di questo miracolo si potrà comprendere solo alla luce della sua resurrezione. Avverto il dono della resurrezione come una realtà già presente nella mia vita, che dona fecondità ai miei giorni?

 

 

Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

 

Lettura popolare XI TO Anno B (Mc 4,26-34)

 

Lettura popolare XI TO Anno B Mc 4, 26-34

Mc 4,26-34

Le parabole di Gesù

 

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

La liturgia offre le ultime due parabole della sezione marciana delle parabole del Regno, con la conclusione generale della sezione al v. 34.  L’inizio del racconto parabolico va ritrovato in 4,1-2 dove viene presentato l’insegnamento di Gesù presso il mare e la presenza della folla, così ingente da costringere Gesù a imbarcarsi e sedere “sul mare”. La posizione da seduto, tipica del rabbi intento all’insegnamento, è in modo suggestivo posta dentro al mare, quasi un anticipo di quel dominio divino che egli eserciterà sulle onde e sui flutti (cf. 4,41). Questo dettaglio suggerisce che l’insegnamento parabolico di Gesù abbia a che fare con il mistero della sua persona.

Tra la parabola del seminatore e la sua spiegazione, si trova un intermezzo sul destinatario del racconto parabolico, le folle, che non comprendono il linguaggio, che comporta tuttavia, in modo paradossale, il perdono di Dio (v. 12, Is 6,9) e la salvezza di un resto di Israele. I discepoli, a cui Gesù spiega le parabole, rappresentano il primo nucleo di questo resto, caratterizzato dalla possibilità di comprendere, nella compagnia di Gesù, il dinamismo dell’agire di Dio nascosto nel linguaggio parabolico.  Essi soli possiedono la chiave di interpretazione, che è la persona di Cristo, e proprio perché si tratta di una persona e non di un’idea, essi avranno bisogno di camminare dietro a Gesù fino al termine della sua missione terrena, nel mistero della sua morte e resurrezione, per penetrare il significato delle sue parabole. L’itinerario dei discepoli è dunque quello del lettore del Vangelo, chiamato a fare esperienza della Parola, seguendo il messia servo sofferente fino alla morte di croce.

Che il mistero della croce sia al cuore delle parabole può essere evidenziato anche a partire dalle due parabole del Regno di Dio che la liturgia offre in questa domenica del tempo ordinario (26-29; 30-32). La parabola del seme che germoglia manifesta la paradossale rivelazione di un processo che non dipende dalle azioni umane di innaffiare o concimare, ma che avviene in modo spontaneo, senza che il seminatore se ne accorga.  Si sottolinea qui il carattere misterioso, divino di questa potenza della Parola, che opera al di là delle decisioni e della volontà umana (cf. Sal 127,2). Essa infatti fruttifica in diverse tappe finchè arriva la mietitura, che è immagine del giudizio divino (cf. Gio  4,13).

La seconda parabola è invece centrata sul chicco di senapa, più piccolo di tutti gli altri, ma che contiene la potenza di produrre un arbusto più grande di tutte le piante dell’orto. L’immagine degli uccelli che vi nidificano riprende la tradizione allegorica dei profeti a riguardo dei grandi imperi della storia, che fanno ombra a molti regni più piccoli (cf. Ez 31). Il messia, servo sofferente che muore in croce (Is 53) è come un seme insignificante e più piccolo di tutti i poteri di questo mondo. Tuttavia la potenza della Parola che opera nella sapienza della croce è in grado di generare un Regno più grande di tutti i regni umani.

 

 

 

 

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.   (15 minuti)

Stare con Gesù e ascoltare la sua Parola. Cosa significa per me in questo periodo?

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Mc 4,26-34 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  • Qual è il tempo in cui avviene l’azione?

Gesù ha appena iniziato il suo ministero pubblico e grandi folle lo seguono, assieme ai discepoli che egli ha chiamato. Tuttavia egli non fa nulla per accrescere la sua pubblicità e sembra piuttosto interessato ad un insegnamento che non è di immediata comprensione. A che punto sono nel mio cammino con Gesù? Penso di averlo già ascoltato abbastanza o rimangono aspetti del suo insegnamento e della sua persona che mi interrogano e stupiscono?

  • Quale luogo?

Gesù proclama la parola seduto sul mare, mentre la folla lo ascolta dalla spiaggia. C’è una separazione tra Gesù e la folla, che non può essere colmata se non dall’azione misteriosa della Parola. Mi confronto con il mistero della Parola, che è per me la croce del Signore, capace di dominare le potenze del male e della morte (mare)?

  • Cosa fa il protagonista della prima parabola, il seminatore? L’unica azione che egli compie è quella di gettare il seme per terra. È il seme della Parola, che porta frutto senza che egli lo sappia, per una potenza intrinseca alla Parola stessa. Vivo lo slancio e il desiderio dell’evangelizzazione, gettando la Parola con fiducia, senza lasciarmi affaticare e deprimere da verifiche solo apparenti?
  • Cosa fa il granello di senapa? Esso è il più piccolo dei semi e diventa il più grande degli arbusti. Vivo l’umiltà, nella mia condizione familiare, lavorativa e pastorale, come la condizione essenziale per la maturazione di frutti spirituali nella mia vita?

 

 

Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

 

 

 

 

 

 

Lettura popolare Santissimo corpo e sangue del Signore

 

 

 

 

 

 

Lettura popolare Corpo e Sangue del Signore

Mc 14,12-16.22-26

La Cena di Gesù

 

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

La liturgia ritaglia per la solennità del Corpo e Sangue del Signore due distinti brani del Vangelo di Marco, la preparazione della cena pasquale (12-16) e l’istituzione dell’Eucarestia da parte di Gesù durante la cena (22-26), scene separate dall’annuncio del tradimento di Giuda (17-21).

Nonostante la liturgia preferisca concentrarsi sulle azioni riguardanti la cena, è importante tener conto dell’annuncio del tradimento tra la preparazione della cena e l’istituzione dell’Eucarestia. Infatti l’orribile e inaccettabile destino che Gesù annuncia, ossia la sua consegna alle autorità da parte di un amico e un discepolo (v. 18), viene trasformato dall’atto con cui Gesù consegna se stesso nel pane e nel vino, che sono il suo corpo e il suo sangue (v. 22-23). La violenza che si scarica contro Gesù e che arriva fino al rinnegamento degli affetti e dei vincoli umani più cari viene trasformata dal dono del sangue dell’alleanza, versato per la violenza umana, ma ancor prima donato da un amore che si estende a moltitudini di uomini (v. 24). Si tratta del compiersi del disegno divino, che Gesù realizza con sovrana autorità, quello di diventare il servo sofferente di JHWH (cf. Is 52,13-53,12) per riconciliare gli uomini con Dio. La stessa autorità si manifesta già nelle azioni che Gesù ordina ai discepoli per preparare la Pasqua ebraica e che vengono da loro puntualmente eseguite (v. 16) nel giorno di parasceve, in cui si immolano gli agnelli pasquali nel tempio.  Durante la cena Pasquale, che avviene di sera (cf. v. 17) e che inserisce ogni ebreo nell’evento di liberazione del popolo dalla schiavitù in Egitto e nell’alleanza con Dio sul monte Sinai, Gesù conferisce al pane benedetto e spezzato l’inedito significato del suo stesso corpo e al calice della cena l’identificazione con il suo sangue versato. Così facendo, egli concede ai suoi discepoli di partecipare in anticipo al dono che si compirà dentro al suo destino di servo sofferente che muore in croce per gli uomini e viene resuscitato il terzo giorno.

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.  Cosa mi nutre ogni giorno? (15 minuti)

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Mc 14,12-16.22-26. (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande:

 

  •  Qual è il tempo in cui avviene l’azione?

Siamo nella parasceve, tempo di preparazione della Pasqua, in cui il popolo celebra la sua liberazione dalla schiavitù e il dono della legge da parte di JHWH. Un popolo sottomesso ai Romani, continua a credere nella presenza di Dio che li libera. Come celebrare oggi la liberazione di Dio, in un tempo di nuove schiavitù e dipendenze?

  • Quale luogo?

Ci troviamo a Gerusalemme, la città della pace, come dice il suo nome, la città che dovrà accogliere la rivelazione di Dio per tutti i popoli. Eppure in questa città Gesù sta per essere tradito e subire violenza. Come pormi nell’atteggiamento di seguire Gesù nel compiersi del suo cammino?

  • Cosa fanno i discepoli?

Gesù, con sovrana autorità da ordini ai suoi discepoli ed essi preparano la Pasqua. Cosa significa per me oggi obbedire al Signore perché egli possa compiere il suo disegno d’amore?

  • Cosa fa Gesù?

Gesù prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo da loro. Il gesto della benedizione e della condivisione del pane quotidiano diviene fondamento di un nuovo dono: “questo è il mio corpo”. Gesù porta a compimento ogni dono umano, ogni atto di comunione e di solidarietà nel dono del Suo corpo. Riesco a contemplare l’Eucarestia come vertice e fondamento di ogni progetto umano di giustizia e di solidarietà?

  • Cosa dice Gesù?

Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per le moltitudini. Vivo nell’Eucarestia il dono che Cristo ha fatto sulla croce per ogni uomo, senza eccezioni? Cosa può significare per la mia vita che l’amore di Dio rivelato in Gesù sia inclusivo, e sempre aperto ad ogni uomo?

 

Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.

Lettura popolare Trinità Santissima

 

 

Lettura popolare Santissima Trinità Anno B

 

 

Mt 28,16-20

La rivelazione della Trinità

Il messaggio nel contesto

 

IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere”  ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.

 

Il gruppo dei dodici, ridotto a undici dopo il tradimento e la morte di Giuda, si reca sul monte in Galilea, come ordinato da Gesù attraverso l’annuncio pasquale delle donne  (28,10). La Galilea rappresenta la terra dei popoli pagani, a cui è rivolto l’annuncio del Vangelo (4,15-17). Il monte  richiama la parola del maestro che compie la legge (5,1) e del Figlio che rivela definitivamente il volto del Padre (17,5).  Essi «vedono» Gesù e gli si prostrano in segno di adorazione, come già avevano fatto le donne (28,9) ma ciò non gli impedisce di avere ancora dei dubbi e delle paure. Sono ancora degli uomini di poca fede (8,26), deboli e insicuri, di fronte alla potenza del male che si è scatenata sul loro maestro.

Solo la parola di Gesù può superare questi dubbi e fragilità, per mezzo di un potere, che è dono del Padre. Egli è infatti il Figlio che con la sua resurrezione ha ricevuto ogni cosa dal Padre suo (cf. 11,27) e in particolare il potere di rivelare e compiere la Sua volontà nel cielo e nella terra (cf. 7,29; 9,6). Egli è il re/messia figlio di Davide, che istituisce il Regno definitivo di Dio nella storia degli uomini, restaurando Israele e rendendolo al contempo segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano. Infatti con questo potere regale Gesù invia i suoi discepoli non più alle pecore perdute della casa di Israele (16,5-6) ma a tutti i popoli, per renderli discepoli con il dono dello Spirito Santo, attraverso il sacramento del battesimo. Essi sono così inseriti dentro al mistero del Figlio e del Padre, rivelato ai piccoli (11,25-26).  Oltre che a battezzare i discepoli sono inviati a condurre con la loro parola gli uomini dentro al mistero del Figlio di Dio. Si tratta di una “mistagogia” ossia di quell’insegnamento che propone ad ogni battezzato la via di una sovrabbondante giustizia, nel compiere la volontà del Padre (cf. 19,21; 5,20.48). L’efficacia di questa missione dipende solo dalla presenza di Gesù, che, in quanto risorto, è l’Emmanuele, il Re/messia-Dio con noi (Mt 1,22-23) per tutti i giorni fino al compimento del tempo.

 

 

 

 

 

 

Come realizzare concretamente l’incontro?

 

 

Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)

 

durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)

 

  1. Ricordiamo la vita.  (15 minuti)

I dubbi e le conferme nel cammino di fede

 

Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico. La domanda contribuisce a mettere il partecipante nella posizione dei discepoli.

 

  1. Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Mt 28,16-20 (10 minuti)

 

La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.

 

 

 

  1. Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)

Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.

Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.

Può essere utile partire da domande riguardanti tempi, luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.

Ecco uno schema possibile di domande (a scopo puramente esemplificativo, cioè non devono essere poste con qualche ordine particolare, ma servono unicamente all’accompagnatore per suggerire ai partecipanti possibili identificazioni interiori):

 

  •  Qual è il contesto spazio-temporale del racconto evangelico?

-Ci troviamo al termine del Vangelo, in Galilea, lì dove era iniziata la missione del maestro, in un territorio fortemente mescolato con genti pagane. L’orientamento universale della missione di Gesù trova così una definitiva conferma. Quali confini e periferie dell’umano incontro quotidianamente? Qual è la mia Galilea delle genti?

-Gesù dà appuntamento ai suoi discepoli sul monte. Qual è per me, nella mia vita, il monte, ossia il luogo e il tempo in cui incontro Gesù?

  • Chi sono i personaggi, cosa fanno?

Gesù risorto e i discepoli.  

I discepoli vanno sul monte in Galilea. Mi metto anch’io in cammino per andare dove Gesù mi chiama o perdo i suoi appuntamenti?

I discepoli vedono Gesù e si prostrano. Quale esperienza di Gesù risorto e del Padre nella mia vita? Come lo adoro?

Essi dubitano. Che ruolo gioca il dubbio nel mio cammino di fede?

Gesù si avvicinò. Gesù non ci lascia soli, ma si fa presente e vicino. Mi sento accompagnato dalla Sua presenza e da quella del Padre?

  • Cosa dicono i personaggi?

– a me è stato dato ogni potere. Quale potere Gesù esercita nella mia vita e a quale livello?

Andate e fate discepoli. Mi sento inviato ad annunciare il Vangelo?

Tutti i popoli. Come considero le altre culture e religioni del mondo? Sono aperto a vedere in essi dei semi del Vangelo che possono essere coltivati?

Io sono con voi. Come vivo l’appartenenza al “voi” della Chiesa, del popolo di Dio? Incontro Gesù nel popolo di Dio?

 

Quale rivelazione è contenuta qui?

Gesù è l’Emmanuele, il messia Dio con noi il Figlio che ci rivela il volto del Padre e con la sua resurrezione il suo Regno inizia ad instaurarsi, attraverso l’annuncio del Vangelo, l’insegnamento dei discepoli e i sacramenti.

 

  1. Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.