Serena, la vita con Gesù non è “sacrificio”

Fasting for bread and water to strengthen the spirit

Nella nostra vita abbiamo bisogno, ogni giorno di nutrimento. Un cibo fisico, che alimenti il nostro organismo; un cibo psicologico, di amicizia, stima, affetto, amore che possa saziare un po’ i nostri bisogni umani; un cibo spirituale che ci doni la forza di superare noi stessi, di andare oltre, di attraversare le tempeste della vita, per rinascere più liberi.

Così Elia, rimasto solo tra i profeti fedeli al Signore, si nutre di pane e di acqua, che gli vengono somministrati da Dio, proprio nel momento di maggior bisogno e, potremmo dire, di disperazione. Gli manca ormai ogni appoggio umano, ogni amicizia, ogni riconoscimento personale e sociale, perché la sua scelta di coerenza per Dio lo ha portato a vivere da solo, perseguitato e oggetto di odio da parte della corte del re e della regina Gezabele.

Dio non fa mai mancare il suo sostegno, nei momenti di solitudine e di fatica personale e, anzi, se attraversati con lui, questi momenti sono l’occasione per fare l’esperienza dell’esodo, e cioè di come Dio nutre, con pane e acqua, come ha fatto con Elia nel deserto dell’esistenza, quel tanto che basta per arrivare fino al monte di Dio. Elia ha rivissuto l’Esodo del popolo di Israele nella sua persona e in sé stesso ha ristabilito l’alleanza di Dio con il popolo, come passaggio attraverso il deserto per giungere all’incontro sul monte di Dio. In quel momento, sul monte, Elia non avrà più dubbi su ciò che è chiamato a fare, dopo aver sperimentato il nutrimento continuo e quotidiano del Signore. Anche noi abbiamo bisogno di vivere di questo nutrimento profondo, per salire fino al monte di Dio, dove troviamo la chiamata potente dello Spirito Santo, da parte del Signore. Ma quale nutrimento è per noi quell’orcio di acqua e quella focaccia che permette ad Elia di avere le forze necessarie per salire sul monte?

Nel vangelo Gesù si presenta come il pane disceso dal cielo e i giudei si scandalizzano, perché non credono che una persona umana possa provenire da Dio e portare Dio nella sua carne. Non hanno ancora sperimentato la forza di un amore che esce da sé stesso, per entrare con dolcezza nell’altro, per farsi piccolo e servo, per ritessere le relazioni proprio lì dove c’è distanza e ostilità. Solo l’innalzamento della croce avrà in sé quell’onnipotenza d’amore in grado di attirare a sé ogni uomo: “questo pane”, dice Gesù in questo discorso, “è la mia carne per la vita del mondo”. Questo significa che Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, con un amore spinto fino all’estremo.

È proprio questo amore e questa carne a costituire il nutrimento in grado di farmi arrivare al monte di Dio, proprio dentro ai deserti della mia esistenza. Sappiamo che le relazioni umane, anche quelle più care ed importanti, sono limitate e non possono eliminare del tutto quella solitudine che caratterizza la mia identità e autonomia davanti a Dio e che solo Dio stesso, con il suo amore, può riempire, quando e come vuole. Tutti i nostri cari, anche il nostro coniuge, non potrà mai riempire quella solitudine di fondo dove solo il Signore può giungere. Solo Lui ci ha rivelato, con il suo sacrificio d’amore, la potenza di relazione che connette tutti con lui e attraversa ogni cuore per unirlo a sé.  Il sacrificio allora non è qualcosa che facciamo noi per lui, noi riceviamo soltanto da lui la vita e l’amore. Il sacrificio è quel dono d’amore, che Lui fa per ciascuno di noi, personalmente, per nutrirci, sostenerci, accompagnarci, farci crescere nella libertà.

Un esempio concreto potrebbe aiutarci a capire. Serena è una donna che nella vita si è fatta in quattro per gli altri, perché ha imparato dai suoi genitori il valore del lavoro e dell’impegno e ha sempre dato il massimo, per la famiglia, per lo sposo Mario, per i figli, per l’azienda in cui lavora. Ogni tanto però si affaccia nel suo cuore la domanda, che cerca di cacciare via ma ritorna molesta: la vita è tutta qui? O c’è dell’altro che dovrei fare? Ad una certa età della vita ci sono domande scomode, che rimettono un po’ in movimento. Insieme a queste domande c’è anche un dubbio sul proprio valore, sulla propria capacità, che gli è stato instillato fin da bambina, perché ogni cosa che faceva non andava mai bene per i suoi genitori. È in questo periodo che Serena, ha ricominciato ad interrogarsi sulla fede: poi un incontro è stato decisivo, con una coppia di amici che ha invitato lei e Mario ad un gruppo di confronto sul vangelo. Li ha riscoperto in modo nuovo la persona di Gesù e il suo dono d’amore per lei: aveva sempre pensato che la vita cristiana fosse un “impegnarsi” e un “sacrificarsi”, per confermare il proprio valore ora inizia a comprendere che il suo valore è quello di essere amata e che sono altri due i verbi più importanti: “ricevere” e “attraversare”. Ossia ricevere il Suo amore insieme agli altri e attraversare con Lui ogni passaggio per salire sul monte di Dio.

25 aprile, festa di tutti

Fanno molto pensare le immagini che ci giungono da Roma, dove nella manifestazione del 25 aprile è avvenuto uno scontro tra la brigata ebraica e il presidio pro palestina. Queste immagini contraddicono il significato del 25 aprile, che dovrebbe essere la festa di tutti gli italiani, in cui ci si unisce e non ci si divide, nella consapevolezza di essere parte di una nazione che “ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”.

Proverei allora, alla luce del vangelo che la Chiesa oggi ci offre, nella festa di san Marco, ad enucleare alcuni aspetti che mi sembrano più interessanti per questa celebrazione che, ripeto, dovrebbe unire e non dividere. T

Annunciate il Vangelo ad ogni creatura: è l’invito del risorto ai suoi discepoli in questa finale del Vangelo di Marco che oggi ci viene donata dalla liturgia, che celebra l’evangelista Marco. Chi ha scritto queste parole deve aver lungamente riflettuto dopo decenni di esperienza di diffusione del Vangelo e di espansione delle comunità cristiane sul potenziale di “universalità” del Vangelo. Esso è addirittura rivolto alla “creazione”, al “cosmo” che diviene così partecipe di una forza di guarigione, di risanamento che attraversa non solo tutti gli uomini, ma anche tutta la “biosfera”. 

È un aspetto su cui i più giovani ci fanno riflettere e che dobbiamo evidenziare proprio in questo 25 aprile. Riprendo qui le parole dello scrittore Erri de Luca. “Per la prima volta c’è una generazione che sente il proprio futuro collegato e connesso con quello della Terra”. “Questi giovani, spesso giovanissimi, sanno bene che il loro futuro o va insieme con quello del pianeta, o presto non ne avranno”.

In questo 25 aprile siamo chiamati a riscoprire il Vangelo come una forza di liberazione da un capitalismo muscolare che si misura solo con il PIL e che distrugge l’ambiente e provoca le guerre nel mondo. È la liberazione che Papa Francesco ci indica nella Laudato si dove l’equilibrio uomo-creazione e la povertà e la guerra si vedono strettamente connessi. 

C’è un altro dettaglio che mi sembra interessante nel Vangelo di Marco: “parleranno lingue nuove”. Nel Vangelo c’è una forza comunicativa in grado di valorizzare l’altro, con la sua cultura, la sua lingua, le sue tradizioni: il Vangelo non può essere strumento di dominazione ideologica o di colonialismo e quando è stato utilizzato con questa intenzione non ha prodotto i frutti più duraturi.  

Mi pare di poter declinare questo per il 25 aprile come un’invito a fare del dialogo, del confronto anche tra culture diverse, il cuore della nostra democrazia. Santarcangelo è sempre più una città plurale, ci sono e convivono culture e religioni diverse. Oltre alla tradizionale immigrazione albanese o est europea vediamo sempre più bimbi cinesi nelle nostre scuole, o anche provenienti da paesi a maggioranza mussulmana. Siamo chiamati a promuovere una cultura del dialogo, in cui il Vangelo non solo non rappresenta un ostacolo ma diviene fattore di comunione nelle differenze. 

Certamente questo dialogo richiede che vi sia libertà di coscienza, di parola, di critica. C’è oggi la tentazione di guardare al potere come ad una realtà che non tollera la critica e la dialettica tra le parti. Questa non è democrazia: quando si auspica un uomo forte, quando il dibattito si spegne a favore di celebrazioni in cui emerge una voce sola, la democrazia è già morta e la dittatura alle porte.

I giovani oggi desiderano essere partecipi di una società in cui si può discutere di temi anche da prospettive diverse, in cui maggioranze e opposizioni collaborano e sono in grado di  coltivare un terreno comune, sulle finalità di fondo, sui valori, sulle regole democratiche. 

Proprio per questo il 25 aprile deve essere la festa di tutti, non solo di una parte, in cui ricordiamo chi ha combattuto perché questo fosse oggi possibile, i nostri padri, il cui sacrificio e la cui lotta ci ha donato ormai ottant’anni di democrazia: Lello Baldini, Tonino Guerra, Flavio Nicolini, Nino Pedretti che hanno contribuito a liberare Santarcangelo. Ma ricordiamo anche il sacrificio di un altro giovane santarcangiolese che è morto assassinato prima di vedere l’alba di un nuovo mondo: Rino Molari.  Qui vorrei ricordare anche un altro Santarcangiolese, don Giovanni Montali (nativo di Canonica), a cui squadraccie fasciste uccisero il fratello e la sorella.  Anche don Giovanni era un convinto democratico e sapeva bene che il suo impegno a favore della resistenza doveva promuovere la nascita di un’Italia nuova.  

Pregare con il vangelo del giorno (V quaresima)

Lunedì 18 marzo – Gv 8,1-11

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L’insegnamento di Gesù nel tempio non si limita alle parole, ma entra anche nella prassi di amministrazione della giustizia del popolo. La domanda dei presenti è tesa ad incastrarlo: o trasgredisce la legge di Mosé o avvalla una lapidazione che poteva incriminarlo presso la giustizia romana. Gesù va al cuore del comandamento: la Legge è scritta perché l’uomo si converta al Dio vivente e non per dare la morte. La misericordia è il pieno compimento della Legge.

Martedì 19 marzo – Mt 1,16-18

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La giustizia di Giuseppe supera quella della Legge, che gli imponeva il ripudio della sua donna. Egli non solo medita di farlo in segreto, per non nuocere alla ragazza, ma è anche pronto ad ascoltare ciò che Dio gli comunica in sogno e ad eseguire senza tentennamenti la Parola ascoltata. Senza la sua paternità il disegno di Dio non si sarebbe compiuto.

Mercoledì 20 marzo – Gv 8,31-42

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I giudei con cui Gesù si confronta non sono disponibili a lasciarsi trasformare dalla parola di Gesù. Significherebbe non possedere più la loro identità in modo rigido, come discendenti carnali di Abramo, ma permettere che l’identità evolva, per diventare discepoli di Gesù. La loro resistenza è tale che giungono a tentare di uccidere Gesù. Anche noi abbiamo forti resistenze alla Parola, a vivere da discepoli, ad amare di più. Lasciamoci liberare, guarire, riempire dalla sua parola d’amore e vivremo da figli e non da schiavi delle nostre sicurezze!

Giovedì 21 marzo Gv 8,51-59

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La prova che Gesù sta dando ai Giudei è la sua parola: egli precede Abramo non tanto cronologicamente, ma per essenza. Il Padre infatti attesta la provenienza del Figlio e testimonia in suo favore, con una gloria particolare, che solo Gesù conosce. Se Abramo vide il giorno del Figlio e ne gioì, ciò significa che attraverso la gioia per il figlio Isacco, Abramo si è connesso alla gioia messianica, quella del Figlio di Dio. C’è un Figlio che dà la vita per noi ed è Gesù di Nazareth: se ci apriamo a lui, conosceremo il Padre e godremo anche noi di quella gioia che ha contraddistinto la fede di Abramo.

Venerdì 22 marzo

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L’opposizione a Gesù diventa sempre più radicale. Egli invita i suoi oppositori a guardare i segni, le sue opere, i suoi miracoli, e ad ascoltare le sue parole, per comprendere la sua provenienza dal Padre. Il progetto di Dio è che tutti siamo dei, figli di Dio e quindi Gesù invita i suoi interlocutori a superare lo scandalo delle sue affermazioni. Siamo chiamati a vivere da figli, a godere di una vita ben più forte della morte.

L’ amore nonviolento (IV Quaresima Anno B)

La guerra, in Ucraina e nella striscia di Gaza, continua e minaccia di espandersi nella regione e nel mondo. Non sappiamo quando questa stagione di tensioni politiche e militari finirà, ma abbiamo bisogno di capire perché tutto questo stia succedendo e come farvi fronte.

Mi sembra che il vangelo di oggi mostri bene l’origine di quello che stiamo vivendo. Gli uomini, dice Gesù, non vogliono che le loro opere, che sono malvagie, vengano messe alla luce e rimproverate. È una scelta dell’uomo quella di espellere il male da sé, di non riconoscere e di proiettarlo sugli altri, coprendolo di giustificazioni razionali. Così si entra in un vicolo cieco di contrapposizioni violente, da cui è impossibile uscire umanamente e che è governato esclusivamente dalla logica del più forte, una logica di breve periodo e destinata comunque e sempre al fallimento. Anche la religione è spesso utilizzata a questo fine, per cementificare un’identità in contrapposizione ad altri, per veicolare tutte le energie umane, anche quelle più sacre, a fini politici e ideologici.

Dov’è Dio in tutto questo? Lui non si lascia intrappolare da questi schemi binari. Gesù offre invece una parola piuttosto misteriosa, che ci è chiesto di decodificare: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Gesù fa riferimento qui, in modo anticipato, alla sua morte in croce, che viene interpretata non come destino tragico e inaspettato, ma proprio come un disegno di Dio che innalza Gesù, perché egli possa attirare ogni uomo a sé. Con Gesù Dio risponde alla violenza e alla guerra non in modo razionale e astratto, ma assumendo e portando su di sé le conseguenze del male, conseguenze di morte, per trasformarle da dentro nel dono della vita di Dio, una vita per sempre. Se il serpente è il simbolo di un male che porta alla morte, Gesù si fa serpente per trasformarlo in un dono di vita, per vaccinare l’uomo fin dall’inizio dal virus del male e disattivare le sue ultime conseguenze. E come lo può fare? “Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chi crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna.” Si tratta di un amore trasformativo, che immette nella divisione del peccato, la potenza della relazione e della comunione tra il Padre e il Figlio. Solo un amore più grande può vincere la logica della violenza, della morte e della guerra.

Gesù è l’unico che può comprendere tutta la ferita prodotta dal male nel mondo e rivelare il volto di un Padre che non solo non punisce, ma offre una strada d’amore, di vita, di grazia, purché la si accolga nel proprio cuore. Siamo così invitati ad uscire dalla logica del più forte, per entrare in un’altra logica, ben più forte e radicale, quella di non rifiutare le nostre debolezze e le nostre mancanze, per accogliere l’amore più grande. Questo progetto di Dio non è solo individuale, ma anche sociale: vuole diventare un’azione di trasformazione nonviolenta delle relazioni. Chi crede più alla nonviolenza in un mondo di contrapposizioni belliche? Eppure sarà l’unica vera strada di conversione profonda e di pieno sviluppo dell’umanità. L’unica vera strada per soddisfare il nostro bisogno di sicurezza, senza che diventi un’ossessione belligerante.

Questa strada, personale e sociale, richiede almeno due condizioni:

  1. Non lasciare che i tuoi bisogni di sicurezza siano strumentalizzati dalle ideologie di guerra. Pensare alle armi solo come extrema ratio e in una prospettiva di legittima e proporzionata difesa.
  2. Credere fino in fondo nel dialogo, come unica strada per la pace. In particolare è per noi importante il dialogo tra le tre grande religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islam.

Possiamo provare, nel nostro piccolo, a conoscere l’altro, che è così vicino a noi, la sua cultura e la sua fede. Se lo facciamo senza paura, con autenticità, scopriremo di poter diventare più pienamente noi stessi.  Facciamolo quando andiamo a fare la spesa, con i genitori dei compagni di classe dei nostri figli, con i nostri vicini di casa e colleghi di lavoro. Facciamolo con il desiderio dell’ascolto e della condivisione e getteremo un raggio di luce, dentro alle tenebre dell’ignoranza di questo mondo.

Pregare con il vangelo della Domenica

Gv 3,14-21 (IV Quareima Anno B; Trinità)

Gesù serpente innalzato nel deserto

Il messaggio nel contesto

Per l’evangelista Giovanni Gesù è il luogo in cui avviene la rivelazione di Dio tra gli uomini, perché egli è continuamente in comunione con il cielo aperto sopra di lui (cf. 1,51). L’itinerario del Figlio dell’uomo è caratterizzato da una discesa dal cielo per poi essere innalzato successivamente sulla croce (cf. Gv 12,32-34). La stessa crocifissione di Gesù ne indica dunque paradossalmente la gloria. A conferma di ciò, nel suo dialogo con Nicodemo, Gesù cita la Scrittura, e particolarmente l’episodio in cui gli israeliti in marcia nel deserto vennero guariti dalle punture velenose dei serpenti per mezzo del serpente di bronzo innalzato da Mosè (cfr. Nm 21,8; Sap 16,7). Questo serpente è una figura di Gesù innalzato sulla croce: è sufficiente infatti guardarlo per essere guariti, ricevere il dono della fede e testimoniarla (cfr. Gv 19,35-37).

Questo itinerario del figlio dell’uomo è la manifestazione che Dio ama il mondo, proprio quel mondo che fu fatto per mezzo del Verbo ma che non lo ha riconosciuto (1,10), e la conseguenza di questo amore è il dono del Figlio unigenito, fino alla morte di croce (16).

Questo dono è in grado di generare la fede, che alimenta in noi la vita eterna. Così il giudizio di Dio non è l’emissione di una sentenza da parte di un giudice imparziale, ma la conseguenza operativa della decisione dell’uomo e della sua libertà di fronte all’offerta della vita eterna (17). Questa fede è l’opera fatta in Dio (cfr. 6,28-29): da essa procede il camminare nella verità, alla luce di Cristo (v. 21). Ogni uomo è chiamato ad aprirsi alla fede e a godere della luce del Verbo incarnato.  Chi non vuole venire alla luce, in realtà lo fa perché è affezionato alle sue opere cattive e non vuole che esse vengano allo scoperto. Non c’è quindi nessuna predestinazione alla condanna, ma solo l’opera continua della luce, che trasforma il cuore dell’uomo illuminandolo e salvandolo.

  • Qual è il contesto spazio-temporale del racconto

-Gesù risponde al fariseo Nicodemo e rivela quanto il figlio dell’uomo ha appreso dal Padre. Tale rivelazione è superiore a qualsiasi punto di vista umano, perché proviene dal Figlio e dal Padre

  • Qualche domanda

– Dio ha tanto amato il mondo. Spesso il mondo, con tutto il male che esso porta, mi scandalizza. Come cambierebbe il mio sguardo se lo scrutassi con gli occhi di Dio?

–  Ha dato il suo figlio unigenito. Quale immagine coltivo di Dio, è un Dio che richiede e pretende da me o che dà?

–  Ha mandato il suo figlio per salvare il mondo. Quale idea ho della giustizia di Dio? Come intendo la salvezza?

–  Chi crede in lui non incorre nel giudizio. Cosa comporta per me la fede?

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo nella stanza di Gesù, insieme a Nicodemo
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Lui, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Leggo più volte il testo, per farlo entrare nella mia memoria, e mi aiuto nella comprensione con la scheda
  • Comprendo il senso del testo per la mia vita
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Pregare con il vangelo del giorno

Lunedì 4 marzo Lc 4,24-30

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Il disegno di Dio è molto più aperto e imprevedibile delle nostre prospettive piccole e autocentrate. I cittadini di Nazareth forse si aspettavano da Gesù che lui si identificasse con la causa politica del loro piccolo paese e della loro etnia giudaica. Nulla di tutto questo. Gesù cita i profeti Elia ed Eliseo e il loro ministero capace di guardare al cuore delle persone, oltre i confini di Israele. Anche noi siamo invitati a ricercare le tracce di Dio in ogni cuore, al di là e oltre i confini “politici” e “culturali”.

Martedì 5 marzo Mt 18,21-35

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La misericordia di Dio non si misura: è un atto totalmente gratuito di remissione di un debito che neanche una vita di lavoro basterebbe a saldare. Solo alla luce di questa misericordia non possiamo comprendere qualcosa del mistero del nostro peccato, del nostro oscuro e spesso inconsapevole rifiuto dell’amore di Dio. Rifiutare una prospettiva di gratuità nei confronti dei piccoli debiti dei nostri prossimi significa non poter entrare completamente nella misericordia di Dio, non renderla realmente attiva nella nostra vita, rifiutare l’esigenza profonda dell’Amore, che bussa alla nostra porta per entrare in noi.

Mercoledì 6 marzo Mt 5,17-19

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Gesù compie la Legge e i Profeti. Senza il lungo cammino con cui il popolo di Israele ha vissuto e testimoniato la propria relazione con Dio, non potremmo comprendere la rivelazione di Gesù e il volto del Padre. Attraverso la pedagogia di una Legge, resa attuale dalla parola dei Profeti per le varie circostanze della storia, il popolo è entrato in contatto profondo con l’Amore personale di Dio per lui. Così anche noi attualizziamo ogni giorno, come profeti, la Parola del Vangelo che il Signore ci dona, entrando in contatto come Figli con l’amore di Dio Padre.

Giovedì 7 marzo Lc 11,14-23

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Per dei cuori induriti anche un segno d’amore così chiaro ed evidente come la guarigione dal demonio può diventare fonte di interpretazioni contrapposte. Se il frutto è buono, come si può pensare che sia causato dal principe dei demoni? In realtà proprio assumendo il male su di sé, egli è in grado di distruggere il potere di Satana. Quindi in un certo senso è vero che Satana scaccia Satana, ma solo nella misura in cui Gesù assume questo male e lo distrugge da dentro. Questo potere dell’amore si compirà sulla croce, che, come dice san Paolo, è il riscatto dalla maledizione della Legge per mezzo di colui che si è fatto maledizione per noi.

Venerdì 8 marzo Mc 12,28-34

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Gesù e gli scribi non hanno avuto solo rapporti conflittuali. In questo racconto vediamo che la sapienza autentica dello scriba si conforma alla parola di Gesù, che riassume tutta la Legge nei due precetti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Gesù non solo ha insegnato questa sintesi ma l’ha anche vissuta, incarnata, nel suo ministero. Al limite la croce stessa può essere vista come la parabola dell’Amore, con il braccio verticale ad indicare la relazione con Dio e quello orizzontale capace di abbracciare l’intera umanità. Solo il cuore di Gesù ci mostra la forma di un amore veramente credibile, per Dio e per ciascun uomo.

Pregare con il vangelo del giorno, II settimana di Quaresima

Passi per la preghiera personale

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Gesù, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Scelgo una Parola o una frase che mi colpiscono e cerco di capirne il senso per la mia vita.
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Lunedì 26 febbraio Lc 6,36-38

https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240226.shtml

L’amore quando entra in circolo non viene mai perduto ma sovrabbonda nelle relazioni umane. La richiesta di Gesù: “siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro”  non va intesa come un’imitazione, che del resto ci sarebbe impossibile, ma come un mettere in gioco proprio quell’amore con cui ci sentiamo sostenuti da Lui, come Figli prediletti. Più “sentiamo” di essere amati, più possiamo mettere in gioco l’amore, e più l’amore ci ritorna indietro in modo sovrabbondante.

Martedì 27 febbraio Mt 23,1-12

https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240227.shtml

Gesù non critica i farisei per il loro insegnamento della Legge, ma perché tale insegnamento non corrisponde al loro comportamento. Al cuore di questa contraddizione c’è un’intenzione che è deviata, difensiva, nel ricoprire il proprio ruolo, ossia la volontà di essere al centro dell’attenzione e conservare i riconoscimenti acquisiti. Coltivo il desiderio di far corrispondere i miei valori professati a ciò che sento profondamente e metto nelle mani del Signore tutti i miei bisogni insoddisfatti e tendenze disordinate.

Mercoledì 28 febbraio Mt 20,17-28

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Di fronte all’annuncio della passione, la reazione dei discepoli è quella di garantirsi un posto per “il dopo”. Si tratta di stabilire fin d’ora delle quote di potere, nella suddivisione del Regno. Gesù ribalta radicalmente la loro logica: anche loro parteciparanno al suo mistero Pasquale (=bere il calice) e comprenderanno che regnare è servire gli altri. Il vero potere infatti è quello di donare la vita per amore.

Giovedì 29 febbraio Lc 16,19-31

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La vivida descrizione di questa parabola lucana è fatta apposta per ribaltare le apparenze: colui che sembrava benedetto da Dio, il ricco, ha in realtà bisogno di Lazzaro (il cui nome significa Dio ti aiuta), il povero apparentemente impuro e maledetto, per entrare nel Regno di Dio. Aprire la proprio porta a Lazzaro significa aprirla a Dio. La morte non fa che cristalizzare una disposizione di chiusura all’amore propria del ricco, che dunque non potrà più cambiare. L’inferno non è un giudizio di condanna di Dio, ma coincide con il cuore del ricco incapace di entrare nell’amore.

Venerdì 1 marzo Mt 21,33-43.45

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Dio è uno che dona. Anche di fronte a mille rifiuti degli uomini. Fino al punto da donare colui che gli è più caro in assoluto, il Suo Figlio prediletto. Il Padre sa fin dal principio che coloro che vorranno possedere l’eredità del Figlio, la vigna, con la violenza, non potranno ottenerla per questa via. Proprio l’uccisione dei Figlio sarà il punto di partenza per una nuova vita, con la sua resurrezione, e quindi un nuovo edificio, basato sull’amore.

Pregare con il vangelo della domenica (III Quaresima)

Gv 2,13-22

Gesù tempio spirituale

Il messaggio nel contesto

Nel Vangelo di Giovanni l’episodio della purificazione del tempio si colloca all’inizio dell’attività ministeriale di Gesù, per mostrare il segno che sintetizza tutta la rivelazione di Cristo, ossia il tempio del suo corpo, distrutto nella morte in croce e ricostruito dopo tre giorni con la resurrezione. Gesù sale a Gerusalemme (v. 13) in prossimità della festa di Pasqua, come tutti i giudei. Dal momento che Gesù morirà anche, durante questa festa (cf. 19,14), il richiamo conferma il collegamento con la morte e resurrezione di Gesù.

 Entrando nel tempio Gesù incontra subito, nella parte più esterna, detta atrio dei gentili, i venditori di animali destinati al sacrificio e i cambiavalute e li caccia con una sferza di cordicelle (v. 15). Poi spiega questo suo gesto con il riferimento al “Padre suo” (v. 16): la coscienza che Gesù ha di essere “Figlio” lo porta ad indignarsi per il mercato che si crea all’interno di un luogo santo (cf. Zc 14,21) e a compiere un gesto dal forte sapore “profetico”. La casa del padre non può infatti diventare un luogo in cui l’attività principale sia il commercio, per il profitto dei venditori e il potere della classe sacerdotale. Il suo è uno zelo che “lo divora” e che gli toglie la vita, nel senso che provoca lo scherno e l’ingiuria dei nemici, come a ogni profeta (v. 17, cf. Sal 68,10). I giudei, probabilmente coloro che erano a guardia del tempio, chiedono a Gesù quale autorizzazione egli abbia per poter compiere questo gesto. La richiesta di un “segno” orienta il lettore a intuire fin d’ora la loro incredulità nei confronti di Gesù. Essi reagiscono in modo ironico all’affermazione di Gesù, identificando nell’espressione “questo tempio”, il tempio materiale ricostruito a Gerusalemme con il ritorno dall’esilio babilonese, ampliato e arricchito da Erode il Grande con una serie di lavori iniziati 46 anni prima. Gesù invece, come chiarisce il narratore, parlava del tempio del suo corpo (v. 21). Con le espressioni “abbattere” e “risollevare” ci si può infatti ambiguamente riferire sia ad una costruzione che ad un corpo umano. È il corpo morto e risorto di Gesù il luogo dell’adorazione del Padre (cf. 4,23) da cui scaturisce l’acqua viva dello Spirito Santo (cf. 7,38; 19,34).

I discepoli, alla luce della resurrezione di Gesù, si ricordano della Scrittura (v. 17) e della parola di Gesù (v. 22). Entrambe si compiono nel mistero della morte e resurrezione di Gesù, attraverso cui il corpo di Gesù diviene il tempio escatologico (cf. Ez 47).

Come realizzare concretamente l’incontro?

  •  Qual è il contesto simbolico in cui Gesù si trova? Siamo nel tempio di Gerusalemme, il luogo centrale del culto di Israele. Si può pensare a quel luogo come all’edificio fisico che rappresenta tutta la storia della rivelazione veterotestamentaria e anche al suo compimento alla fine dei tempi, con il tempio profetizzato da Ezechiele (Ez 47).
  • Qual è il tempo in cui avviene il fatto? Siamo in prossimità della festa di Pasqua che richiama al momento più importante per il culto di Israele e al sacrificio degli agnelli. Questa festività di Pasqua richiama l’ultima, quella in cui Gesù morirà in croce. Dunque questo episodio in un certo senso anticipa l’ora dell’innalzamento in croce di Gesù.
  • Chi sono i personaggi in gioco? Gesù, i venditori e i cambiavalute, i giudei, i discepoli. Gesù rimane il protagonista indiscusso di tutto l’episodio, che si può suddividere in due scene: cacciata dei venditori e dialogo con loro; dialogo con i giudei. Entrambe le scene si concludono con il ricordo dei discepoli. I Giudei mostrano già qui, con la loro domanda ironica, l’incomprensione e la mancanza di fede nei confronti di Gesù. I discepoli invece sono in cammino per comprendere l’identità di Gesù. Un cammino che si compirà con la resurrezione di Gesù.

La gestione del potere è un servizio che apre la mia vita a Dio e ai fratelli e quindi alla scoperta di Gesù oppure mi isola in me stesso e mi allontana dagli altri?

  • Quale trama si svolge? Gesù compie un segno “profetico” nel tempio, scacciando i venditori, per il quale egli è autorizzato dal “Padre suo”. Questo segno ha a che fare con la Scrittura che i discepoli ricordano (Sal 68,10). Tuttavia in esso è contenuto un elemento molto più profondo, a cui la parola di Gesù, in risposta ai giudei, intende fare allusione. Questo tempio è il suo corpo, morto e risorto, nel quale si compiono tutte le Scritture e tutta la rivelazione dell’AT. Sono in grado di porre nella mia vita anche dei gesti profetici di rottura nei confronti di abitudini consolidate, vizi, mentalità che allontanano da Dio?
  • Quale rivelazione di Gesù per la mia vita? Tutta la storia della salvezza si compie nel corpo di Gesù e nel dono dell’acqua viva, che è lo Spirito Santo. Ciò significa che non c’è alcuna istituzione umana che possa avere questa pretesa, contro ogni assolutismo e ideologia. Tutte le realizzazioni umane che non si pongono a servizio dell’uomo ma divengono autoreferenziali, come, per certi aspetti, il mercato finanziario oggi, sono da purificare. Ma questo vale anche per ogni realtà che attraversa la mia vita, dal lavoro, all’impegno ecclesiale, alle relazioni di amicizia. Ogni aspetto deve comporre un quadro che mi aiuti a fare della mia vita la “casa” di Dio, nel corpo di Cristo.Come fare della casa della mia vita il corpo stesso del Signore Gesù? Come aprire le realtà del mondo alla presenza di Dio e al servizio dell’uomo?
  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo nel Tempio di Gerusalemme, in mezzo a tanta gente che vende e compra
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Lui, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Vedo ciò che i personaggi fanno e ne ricavo un frutto
  • Ascolto ciò che i personaggi dicono e ne ricavo un frutto
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro

Il monte di Dio

In tutte le religioni c’è sempre un monte, su cui l’uomo fa esperienza di Dio.

Nelle letture di oggi abbiamo due monti, il monte Moria, in cui Dio si rivela ad Abramo e il monte Tabor in cui Gesù si rivela ai suoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni.

C’è una profonda analogia tra le due esperienze di Dio e i due monti, perché in entrambi i casi si tratta di una rivelazione della vera immagine di Dio all’uomo.

Spesso infatti noi scambiamo il Dio della vita con un’immagine di morte, come se Dio ci chiedesse sacrifici impossibili o volesse farci attraversare prove superiori alle nostre forze, per poi giudicarci se noi non riusciamo a farcela.  È infatti nella prova che noi ci confrontiamo con queste immagini di Dio: una fatica, una fragilità, una sofferenza, una mancanza improvvisa rompono certi equilibri e portano con sé molte domande, tra cui la più paradossale è: ma Dio vuole davvero la morte?

Anche Abramo ha vissuto tutto questo ed è andato fino in fondo, nella consapevolezza che Dio non vuole la morte ma la vita. E così ha accettato di mettere alla prova Dio, andando sul monte a sacrificare il figlio, perché Dio si rivelasse come il Dio della vita: Dio provvede l’agnello per l’olocausto, figlio mio! Questa è la grande fede di Abramo.  È stato in quel paradosso del figlio atteso, ricevuto e richiesto da Dio che Abramo ha creduto fino in fondo nel fatto che Dio si rivelasse come il Dio della vita, fino al culmine del paradosso della morte. Così Dio si rivela come uno che vuole la vita, la gioia, la bellezza che, tradotto per Abramo, significa una generazione numerosa come le stelle del cielo.

Anche la trasfigurazione è questo: il segnale di una bellezza anticipata che deve reggere all’urto del dolore, della sofferenza e della croce che Gesù vivrà a Gerusalemme, una bellezza più forte della morte, segno di una futura resurrezione.

Gesù non ha dubbi su questo, la luce che splende in questa meravigliosa visione è per i suoi discepoli, che se ne dovranno ricordare dopo gli eventi della passione, per consolidare la loro fede in Gesù e comprendere che davvero quegli eventi sono parte di un disegno più grande, che culmina nella gioia e nella luce della resurrezione.

Anche noi abbiamo i nostri Tabor, solo che spesso non ce ne rendiamo conto: i momenti in cui siamo particolarmente stupiti delle persone accanto a noi, della nostra vita e siamo ancora in grado di meravigliarci di essere al mondo.

Oppure i momenti in cui riscopriamo con stupore il cuore della nostra chiamata, della nostra vocazione ad amare, spesso anche in mezzo alle prove e alle difficoltà. Sono esperienze di luce, in grado di illuminare anni di buio e di lotte interiori.

Sono tutti Tabor che dobbiamo riconoscere, doni di Dio che ci fanno capire quanto il Signore sia buono e non ci chieda nulla di diverso da ciò che siamo in profondità; ci fanno capire quanto il Signore ci voglia bene e quanto la nostra vita sia incamminata verso un amore grande e meraviglioso, pur in mezzo a fatiche e fragilità che facciamo fatica a spiegarci.

Forse dovremmo smettere di chiederci spiegazioni e imparare a vivere amando e ringraziando.

Ogni giorno educhiamoci a cogliere la bellezza intorno a noi: ci vogliono gli occhi della fede per farlo. Alla sera, prima di andare a dormire, preghiamo insieme, nella nostra famiglia, e chiediamo al Signore di aiutarci a riscoprire la bellezza nella nostra giornata: ognuno dica una cosa bella della giornata, che vale la pena rimettere nelle mani del Signore, per ringraziarlo della sua presenza in mezzo a noi e per gustare e vedere sempre di più “quanto è buono il Signore”.

Pregare con il vangelo della Domenica

Mc 9,2-10 (II Quaresima B)

Gesù trasfigurato sul monte

Il racconto della trasfigurazione in Marco segue direttamente, così come in Matteo, l’annuncio della passione, morte e resurrezione (cf. 8,27-9,1). C’è dunque uno stretto legame tra queste due scene, che dovrà essere esplicitato. Gesù prende con sé i suoi discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, come già aveva fatto nella scena della resurrezione della figlia di Giairo (cf. 5,37) e come farà quando dovrà spiegar loro i fatti relativi al tempio e alla sua distruzione (cf. 13,3), con l’aggiunta di Andrea) o quando vorrà condividere la sua agonia per la passione imminente (cf. 14,33). Egli li porta in disparte, espressione che indica spesso una rivelazione riservata ai discepoli (cf. 4,34; 6,31), sul monte alto, che allude alla rivelazione di JHWH nel libro dell’Esodo (cf. Es 19,16; 24,15). La trasformazione che Gesù subisce è descritta da Marco con la caratterisca di un biancore così sfolgorante, che nessun lavandaio sarebbe in grado di produrlo (v. 3), secondo una modalità descrittiva che appartiene alla tradizione apocalittica (cf. Dn 12,3) per indicare la sfera divina.

Il dialogo con Elia e Mosè (v. 4) è descritto come una prolungata conversazione, che tuttavia non viene riportata, ma che può essere suggerita dall’insieme dei richiami biblici cui rimandano le figure di Mosè ed Elia. Mediatore della legge e primo profeta Mosè e figura più rilevante tra i profeti Elia, essi rappresentano la Legge e i Profeti, formula che può indicare l’integralità dell’Antico Testamento. Passando attraverso il rifiuto e la persecuzione da parte del loro popolo (cf. Es 17,2; 1 Re 18,7-19), le due figure anticipano il destino di sofferenza e di morte che anche Gesù dovrà subire.

L’intervento di Pietro (vv. 5-6) rivela la sua incomprensione del significato di questa visione: egli pretende di immortalare la gloria di Dio con la costruzione di tende, in una sorta di celebrazione che potrebbe avere come sfondo la festa delle Capanne (cfr. Lv 23,34), che rievoca la presenza di Dio in mezzo al popolo accampato nel deserto. Marco aggiunge subito che queste parole di Pietro sono in realtà motivate dalla paura: egli non capisce il progetto di Dio che si compie nel messia Gesù e lo fraintende, accogliendo la gloria divina ma senza comprendere il passaggio attraverso l’umiltà della croce.

Dalla nube che indica la presenza di Dio sul monte (cf. Es 19,9.16; 24,15- 16) esce la voce celeste che indica Gesù come Figlio di Dio, l‘amato (cfr. Is 42,1; Sal 2,7) e invita i discepoli all‘ascolto.  Subito dopo essi non vedono nessuno se non Gesù solo. Seguire Gesù, che nella sua condizione umana va a subire la passione, è l’unica strada che i discepoli possono percorrere per comprendere la sua natura di Figlio di Dio ed entrare nel mistero della sua gloria divina. L’ascolto che la voce divina chiede indica la sequela del figlio dell’uomo, fino alla sua passione.

Essi dovranno poi tacere riguardo a questa visione, fino alla resurrezione. Infatti il mistero contenuto nella trasfigurazione non si può comprendere se non in relazione all’evento della morte e resurrezione di Gesù (v. 9).

  • Tempo e luogo.

Ci si trova subito dopo la proclamazione messianica di Pietro e l’annuncio della passione da parte di Gesù, che supera e ribalta le aspettative di Pietro.  Ciò che sta per accadere ha dunque a che fare con il mistero della passione e morte di Gesù. I discepoli sono soli con Gesù, in disparte.

La persona di Gesù è un mistero per gli stessi discepoli che vivono con lui. Mi lascio attrarre e affascinare da questo mistero, che mi supera e talvolta mi turba. Siamo su monte altissimo, che richiama il dono della legge sul monte Sinai o l’incontro di Elia con Dio sul monte Oreb. Non a caso sono i due personaggi con cui dialogo Gesù nella visione.

  • I personaggi. Cosa fanno e cosa dicono.

Gesù si trasfigura e risplende della gloria stessa di Dio. La nube indica la presenza di Dio e la voce dalla nube descrive Gesù come il messia atteso dal popolo, il Figlio prediletto dal Padre.

Pietro ha paura e pretende di gestire la situazione, facendo delle capanne.  Entro nella paura di Pietro e nel suo bisogno di controllare la situazione

  • Rivelazione

I discepoli si dovranno ricordare questo momento di gloria sublime quando Gesù vivrà la passione e la morte in croce a Gerusalemme. Egli è il Figlio di Dio, chiamato a compiere le Scritture dell’Antico Testamento, come messia di Israele, proprio dentro la sua umanità sofferente sulla croce.

I discepoli infatti non vedono più se non Gesù solo, nella sua umile umanità. Posso chiedermi se sono disponibile a seguirlo su questa strada.

  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: siamo sul monte e Gesù si trova solo con i suoi tre discepoli
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di maturare una conoscenza interiore di Lui, che è il mio maestro, per amarlo seguirlo sempre più
  • Vedo ciò che i personaggi fanno e ne ricavo un frutto
  • Ascolto ciò che i personaggi dicono e ne ricavo un frutto
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro