Pagare il tributo

Mc 12,13-17

Pagare o no il tributo a Cesare: annosa questione per gli ebrei del tempo di Gesù. Gli erodiani erano a favore, i farisei potevano essere di opinioni diverse al proposito. La loro ipocrisia si manifesta nel fatto che tutti utilizzano i soldi con l’immagine di Cesare e, di fatto, sottostanno al sistema politico romano, godendone anche gli aspetti favorevoli. Gesù li smaschera proprio con la moneta che possiedono. Quella di Gesù, invece, è un’altra moneta, che ha per immagine la croce e per iscrizione il titulus. Quella è la sua vera regalità, quella che appartiene a Dio. Le altre forme di regalità sono tutte transitorie: i tributi vanno pagati, ma senza dare ad essi tutto quello che si da a Dio, ossia la totalità della propria persona

Mc 14,12-16.22-26 Corpus Domini

Gesù sta per dare la sua vita nelle mani di chi lo consegna: il traditore, i capi giudaici, i soldati romani. Mentre Giuda si è già messo d’accordo con i sommi sacerdoti per consegnare Gesù – forse per costringere il suo maestro ad avere una strategia e a rivelarsi finalmente come un messia potente – Gesù sceglie piuttosto la strada del servo sofferente, profetizzato da Isaia, colui che viene consegnato, flagellato, deriso con sputi e schiaffi e che donerà la sua vita in riscatto per le moltitudini. Egli anticipa questo dono totale di sé nella cena Pasquale, memoriale della liberazione del popolo di Israele. Come Dio aveva liberato il suo popolo dal Faraone e dalla schiavitù in Egitto, così Gesù, commemorando questa liberazione, si consegna nel pane e nel vino, per liberare ogni uomo dal male e dalla schiavitù della morte. Il sangue versato per le moltitudini indica la trasformazione prodigiosa della violenza che si scatenerà contro Gesù in una potenza d’amore che raggiunge ogni uomo, senza eccezione. Gesù prende il pane, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo dà ai suoi discepoli: se il pane frutto del lavoro e della fatica dell’uomo, viene messo nelle mani di Gesù ciò significa che non vi è impegno umano che non sia riscattato nella sua fragilità dalla potenza d’amore che scaturisce dall’Eucarestia. Nel corpo e sangue del Signore possiamo mettere ogni progetto umano di giustizia, di solidarietà, ogni sforzo di comunione e di fraternità, ogni decisione e lavoro per migliorare la condizione dell’uomo sulla terra: l’Eucarestia infatti purifica ogni progetto e lavoro umano dall’orgoglio e li fa risplendere pienamente nel dono di Dio. Nell’Eucarestia, inoltre, io mi sento amato personalmente e invitato a non scoraggiarmi per gli inevitabili limiti e fatiche della vita: c’è un amore più forte persino della morte, che è pronto a sostenermi anche quando sono perdente. L’eucarestia aiuta a saper perdere e insieme a non mollare, per vincere con Lui.

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: Mc 14,12-16.22-26 Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dal dono dell’Eucarestia


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.

Mt 28,16-20 Santissima Trinità

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I discepoli obbediscono alla parola del Maestro riportata loro dalle donne, di precederlo in Galilea. Si tratta di un ritorno agli inizi del loro itinerario con il Maestro, in una. regione circondata da città pagane, che preannuncia un Regno di carattere universale. Eppure i discepoli, una volta saliti sul monte, luogo di incontro con il divino, nonostante sia apparso Gesù davanti a loro, dubitano. Lo shock della morte del maestro, la durezza di una realtà così diversa dalle loro aspettative molto umane di affermazione e di gloria, ancora impediscono loro di fidarsi, di abbandonarsi alla potenza d’amore della resurrezione. Pur facendone esperienza, ci sono ancora in loro timori, paure e resistenze che li bloccano e suscitano dubbio perfino davanti ad un’esperienza così nitida. Gesù si avvicina loro, fa per primo un passo che è in grado di superare i loro dubbi, e con la sua parola li rassicura e li invia. Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi, colui che starà con loro fino al compimento del tempo, come garanzia di una missione che supera le loro persone e i loro limiti. La Parola che li guida è quell’insegnamento di misericordia che compie e supera la Legge, attraverso cui essi sono chiamati a fare discepoli. L’annuncio della Chiesa non è una dottrina astratta, teorica, ma una Parola di vita che genera. Non a caso essa è accompagnata dal gesto sacramentale del battesimo, che inserisce i nuovi discepoli nella realtà d’amore del Padre e del suo Figlio Gesù.

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: Mt 25,16-20. Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dalla sua resurrezione e con il dono del Suo Spirito 


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.

lunedì 24 maggio ’22 Gv 19,25-34

Gesù è dominatore degli eventi che accadono intorno a lui, sul trono regale della croce. La sua consapevolezza è sovrana ed è lui a determinare i ruoli degli astanti: “ecco tuo figlio”, “ecco tua madre”. Nell’atto in cui spira Gesù consegna lo Spirito: egli muore umanamente, ma la sua morte è trasformata nell’atto divino del dono della Vita. Per me, che sono sotto la croce, ricevere il dono dello Spirito e accogliere la madre nell’intimità del mio cuore è un unica realtà. Sento il dolore della madre e il suo pianto e ne sono partecipe. Sento il dolore del Figlio e partecipo della sua passione per l’uomo, per ogni uomo, fino al compimento.

Pentecoste (At 2,1-11)

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La Pentecoste avviene quando i discepoli sono tutti insieme, nello stesso luogo, segno che il dono dello Spirito è un evento che accade nella Chiesa. Essi attendono la promessa di Gesù e dunque mettono in atto una fiducia profonda nei confronti del loro maestro. Il mistero del dono li investe sotto forma di un fuoco da cui si dipartono molte lingue, tante quante sono i discepoli, che a loro volta cominciano a parlare in altre lingue; è interessante notare che Luca non ci parla di un fenomeno di comunicazione di suoni incomprensibili, ma di altre lingue, che hanno ciascuna un interlocutore in quei giudei residenti in ogni parte del mediterraneo che si trovano lì a fare esperienza di quel meraviglioso dono. Il racconto anticipa con una sola immagine una realtà effettiva della Chiesa, ossia la sua prodigiosa espansione verso tutti i mondi culturali e linguistici del tempo, fino ai confini del mondo allora conosciuto e unificato sotto il potere imperiale romano. Non a caso gli Atti degli Apostoli terminano con Paolo a Roma. Cosa ha a che fare questo dono dello Spirito con la tua vita? Forse proprio con questa certezza: c’è un dono dello Spirito proprio per te e che si adatta meravigliosamente alla tua persona e alla tua storia, e attraverso tale dono tu sei in misteriosa connessione con altre persone alle quali sei stato inviato. Il dono sei tu stesso, con il tuo percorso e la tua sensibilità, con i tuoi carismi e capacità, ma anzitutto con quell’amore che ti unisce a Cristo e che ti fa essere sempre più quello che sei.

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: At 2,1-11. Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dalla sua resurrezione e con il dono del Suo Spirito


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.

Ascensione di Gesù (Mc 16,14-20)

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Gesù compare ai suoi mentre sono insieme a tavola. Nella comunità cristiana, radunata insieme in un esercizio di fraternità e condivisione, il Signore si fa vivo con la sua parola autorevole, che li invia alla missione. L’ accento di questo passo è posto sull’annuncio del Vangelo ad ogni creatura, ossia non solo ad ogni uomo – sarebbe troppo poco – ma addirittura ad ogni realtà creata, a tutta la creazione. Il Vangelo contiene infatti una forza di riplasmazione del mondo in vista di una creazione nuova, globalmente restaurata dalla potenza distruttrice del male, radicalmente guarita da ciò che può nuocere il corpo e lo spirito. Non a caso i segni che accompagnano l’annuncio sono tutti orientati alla guarigione e all’annientamento del male: la vittoria contro i demoni, la possibilità di prendere in mano i serpenti, la difesa contro i veleni e l’imposizione delle mani sugli ammalati. Come già Isaia, che vedeva nel Regno futuro la possibilità di un bambino di giocare nella buca del serpente, così qui Marco ci presenta la potenza della resurrezione con segni di una rinnovata armonia nella creazione, che mostrano una guarigione totale ad opera della vita. Marco ci sta dicendo che l’ Ascensione di Gesù, il suo corpo di uomo nella gloria del Padre, non è qualcosa che riguarda solo lui nel rapporto con il Padre, dal momento che la sua Umanità glorificata orienta la Storia con segni di bene, di amore e di guarigione profonda. Anche nelle nostre comunità cristiane possiamo sempre e nuovamente renderci consapevoli dei segni di guarigione che ogni giorno accompagnano e confermano la Parola. Un buon esercizio di alleanza, per ricordare insieme questi segni nella nostra vita, può aiutarci a non spegnere lo Spirito rimanendo con lo sguardo fisso ad un passato che non ritornerà. Se la nostra vita non tornerà uguale a quella di prima del Covid 19, ciò significa che potrà essere solo migliore, nella comunione con colui che è risorto e salito al Padre.

Mi metto in una posizione comoda per la preghiera, che mi aiuta ad entrare in contatto con il Signore

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: Mc 16,14-20. Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dalla sua resurrezione.


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.

Rimanere in Lui e vederlo in ogni cosa

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Quando due persone sono innamorate, tendono ad appassionarsi l’uno alle cose dell’altra. Se l’amore non produce un po’ di contaminazione tra i due, che rimangono come erano prima, coi loro interessi gestiti individualmente, l’amore non è maturo e non produce frutto.

Questo è vero anche nel nostro rapporto di fede con il Signore, che oggi ci viene presentato attraverso la metafora della vite. Essa è un albero con un fusto così sottile rispetto ai tralci, che quasi si confonde con essi: una vite quasi si identifica con i suoi tralci e ne è costituita. Questo significa che la vite si mostra nei suoi tralci ed essi possono vivere solo se innestati in essa. C’è una reciproca contaminazione, che fa sì che il tralcio sia tutt’uno con la sua vite. Proprio in questo reciproco rimanere, del tralcio nella vite e della vite nel tralcio risiede il frutto vero e proprio. Fuor di metafora, se noi rimaniamo in Cristo, uniti alla Sua umanità, allora vivremo della sua vita e acquisiremo il suo modo di vivere, il suo stile di pensiero, la sua concezione del mondo, della vita e la sua modalità d’azione. Questo significa anche per noi portare frutto.

In un tempo come il nostro, il frutto è considerato come qualcosa di misurabile, come gli interessi di un deposito bancario. Dobbiamo essere efficienti ed efficaci, produrre qualcosa di concreto, di verificabile, che cambia le cose, che modifica il corso degli eventi. Se pensiamo così il nostro frutto di cristiani, siamo fuori strada. Infatti a noi il Signore non chiede anzitutto di “fare” qualcosa, ma di “essere” qualcuno, cioè di rimanere in Lui e attingere da Lui quella vita, quella gioia e quella speranza che ci fanno scattare in avanti, senza paura, nel percorso della vita.

Certo possiamo chiederci: ma come io posso comprendere di essere inserito in Lui, di rimanere in Lui? Quali sono i segni nella mia vita che mi indicano la presenza di Dio e del Signore Gesù?

Sono tanti e tutti verificabili nel nostro cuore. Possiamo qualche volta sorprenderci, a guardare un bel tramonto, con la natura in vigore in queste primavere e siamo catturati da uno stupore profondo, particolare, insieme alla gioia di esserci, di vivere: ecco il Signore che, in quel momento, ci sta parlando. Possiamo tornare a casa la sera dal lavoro, stanchi e pieni di tensioni e pensieri, e in un attimo vedere i nostri cari, e magari i nostri figli che ci chiedono di giocare con loro e in quel momento spariscono tutte le tensioni e in un attimo di grazia sentiamo il miracolo di una famiglia e la bellezza unica di quel momento speciale. Certo poi passa…e ci ritroviamo ai soliti capricci…ma quel momento è una percezione che Dio ci dona, del nostro essere tralci nella sua vite meravigliosa. Possiamo passare in Chiesa a salutare Gesù e quando ci sediamo tranquilli sulla panca, guardando il tabernacolo, siamo presi da una pace profonda, da una presenza soave che intesse di luce il nostro cuore e per un po’ non pensiamo più a nulla: anche quello è un essere innestati nella vite.

Oppure possiamo stare con dei nostri amici e in un momento essere compresi dalla sensazione di calore, stima e sentire l’importanza e la gratitudine per il dono di quell’amicizia.

A sera, prima di andare a dormire, possiamo rileggere queste situazioni e vedere in esse la linfa della vite che nutre di bellezza la nostra giornata! È un esercizio importante, che ci aiuta a far penetrare questa linfa divina in ogni fibra del nostro cuore, o, detto in altri termini, a lasciarci penetrare dalla linfa di Cristo, per imparare a vederlo e sentirlo in tutte le cose e a rimanere sempre in Lui.

Infine, a volte, ci capita nella vita di affrontare difficoltà e fatiche, sono le cosiddette potature. Se rimaniamo in Lui, abbiamo la possibilità di viverle non come sfortune che ci sono cadute addosso, ma come opportunità di fare più frutto, di avvicinarci maggiormente a Lui, di sentirci abbracciati e portati da Lui. Vedendo la mia vita come una passeggiata al mare, sulla battigia, posso osservare che le orme nella sabbia sono di due persone, le mie e quelle di Dio. Poi, nel momento della difficoltà si vedono le orme di una sola persona. Proprio nel bisogno, Dio, mi hai abbandonato? Non capisci, risponde Dio, che quando eri nel bisogno, allora ti ho preso in braccio?

Gv 15,1-8

L’albero della vite è caratterizzato dall’essere prevalentemente costituito dai suoi tralci, in quanto il suo tronco è piuttosto sottile. In fondo la vite si identifica con i suoi tralci e i tralci, innestati nel tronco della vite, possono ricevere la linfa e portare frutto. Così Gesù utilizza questa immagine per indicare la sua profonda unità con i discepoli, in modo tale da identificarsi con loro e sorreggerne ogni azione e intenzione. Gesù utilizza questa immagine anche per identificarsi con Israele, descritto come vigna già dai tempi del profeta Isaia (cf. Is 5,1-7), e per dire che egli compie tutto il disegno di salvezza di Dio contenuto nell’AT, inverandolo in profondità, perchè egli è la vera vite. Egli inoltre vuole significare la sua profonda unione con i suoi discepoli e con ogni uomo, attraverso il comando di rimanere in lui. Si tratta di una reciproco stare di Gesù nei suoi discepoli e dei suoi discepoli in lui, che porta ad un’unione intima, con frutti di vita, di pace e di bene. Se il tralcio porta già frutto, la potatura serve semplicemente a far sì che il tralcio porti ancora più frutto. Quindi ogni difficoltà e fatica che si può attraversare nella vita si può trasformare da dentro in un’opportunità per un frutto maggiore, che solo il Signore conosce, un frutto misterioso di vita e di gloria. D’altra parte la gloria di Dio consiste proprio in questo frutto dei discepoli, che è vita intima e profonda nel Signore.

Mi metto in una posizione comoda per la preghiera, che mi aiuta ad entrare in contatto con il Signore

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: Gv 15,1-8. Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dalla sua resurrezione.


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.

Gv 10,11-18 (IV Domenica di Pasqua)

Il bel pastore (in greco l’aggettivo kalos vuol dire sia bello che buono) è colui che dà, consegna la sua vita per le pecore. Al contrario del mercenario, che sfrutta le pecore per i suoi scopi personali e poi le abbandona nel momento della sfida, del pericolo, così che esse si disperdono, invece il bel pastore arriva fino al dono di sé, al dono totale della sua vita e ciò garantisce l’unità del gregge. Anche Gesù infatti si consegnerà, al momento dell’arresto nell’orto del Getsemani, proprio per non perdere nessuno dei suoi discepoli (cf. Gv 18,9). Si tratta di un potere che il bel pastore ha, quello di dare la sua vita e di riprenderla, ossia il potere di una vita più forte della morte, che egli ha ricevuto dal Padre suo e che si manifesta nella forma di un amore e di una conoscenza reciproca, intima, personale e profonda di cui egli gode nel suo rapporto con il Padre e, di conseguenza, nel suo rapporto con ciascuna delle sue pecorelle. Il cuore del bel pastore, il segreto più profondo della sua personalità, risiede nel mistero del suo rapporto d’amore con il Padre, che gli da la forza di offrire la vita per ciascuna delle sue pecorelle. Sentiamoci chiamati per nome, amati e stimati totalmente, per quello che siamo, anche con i nostri difetti e fragilità, per poter amare a nostra volta in modo gratuito e vero gli altri.

Mi metto in una posizione comoda per la preghiera, che mi aiuta ad entrare in contatto con il Signore

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: Gv 10,11-18. Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dalla sua resurrezione.


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.

III Domenica di Pasqua (Lc 24,35-48)

Gesù risorto si fa presente in mezzo ai suoi discepoli, che provano turbamento, paura e incredulità. Pensano di vedere un fantasma. Nascono subito dubbi nel loro cuore, perché l’impatto della morte di Gesù è stato talmente forte da dominare tutti i loro pensieri, così come accade ordinariamente per ogni lutto di una persona cara. Questi dubbi e queste paure sembrano così determinanti da negare di fatto la realtà della resurrezione. Così accade anche a noi, quando i nostri dubbi e paure ci chiudono in noi stessi, al punto che non riusciamo più a vedere il bene, l’amore, la vita che ogni giorno risorgono con possibilità nuove intorno a noi. Come Gesù risorto affronta questa situazione dei discepoli? Nell’unico modo a lui possibile, ossia parlando e mangiando con naturalezza in mezzo a loro e invitandoli ad osservare i segni della passione nel suo corpo, per riconoscerlo come Gesù di Nazareth, proprio lui che era morto in croce e non come un fantasma. Il Signore risorto li riporta alla realtà della vita, allo spessore della storia, alla concretezza del quotidiano, dove l’amore e l’essere pulsano in una direzione sempre nuova e sorprendente, capace di rigenerarsi dopo ogni fallimento. Lì egli, con il suo corpo risorto, si rivela a loro e a ciascuno di noi, mostrando nel rinnovato annuncio e testimonianza il compimento di quella Parola che Dio ha pronunciato nelle parole di Mosè, dei profeti e dei Salmi. Il compimento della Scrittura avviene nell’onda travolgente della testimonianza, che comincia da Gerusalemme, ossia dalla passione e dalla sconfitta, per emergere con la forza dell’amore, vincendo ogni dubbio e paura residui.

Mi metto in una posizione comoda per la preghiera, che mi aiuta ad entrare in contatto con il Signore

Chiedo che ogni mia intenzione, azione e tutta la mia attività nella preghiera abbia da Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Leggo una prima volta il Vangelo: Lc 24,35-48. Mi pongo nel luogo interiore che preferisco, per sentire la presenza di Gesù, la sua umanità che mi dona gioia e vita. Poi gli chiedo di essere sempre più in comunione con la potenza di vita che scaturisce dalla sua resurrezione.


(MEMORIA) Rileggo più volte il brano di Vangelo, cercando di sostare su quelle frasi, espressioni, parole che toccano le corde più profonde della mia interiorità. Esse nel loro complesso costituiscono una Parola che Dio oggi mi rivolge personalmente.
(INTELLIGENZA) Cerco di comprendere il significato di questa Parola nella mia vita, utilizzando paragoni con il mio vissuto quotidiano e cercando di gettare qualche luce sul mio presente e prossimo futuro.
(VOLONTÀ) Oriento tutto il mio cuore a ciò verso cui mi porta la Parola e entro in una preghiera di supplica, ringraziamento, lode, a seconda di ciò che sento.