Tommaso, il martire narcisista (Vangelo dell’Anno A, V Quaresima)

Viviamo un’epoca di narcisismo dilagante. Tutti i social e i contesti di comunicazione esaltano l’immagine, creando un’impressione di apparenza, lontana dalla realtà. Anche la politica ne è profondamente contaminata, perché non conta più la verità, ma l’arroganza di chi la spara più grossa, distorcendo con la propria immagine i fatti e la realtà. Perfino nella Chiesa si rischia di lavorare più per l’immagine che si dà agli altri, con i propri eventi e la propria “macchina funzionante”, che per la trasformazione dei cuori.

Anche Tommaso, il discepolo e l’apostolo di Gesù, che nel vangelo di Giovanni spesso interviene con forza, per far valere il suo punto di vista, sembra condizionato da questa tendenza un po’ narcisistica. Infatti quando capisce la decisione di Gesù di andare in Giudea da Lazzaro, affrontando il rischio di venire ucciso dai capi e dalle autorità di Gerusalemme, esplode in questa dichiarazione molto plateale: “andiamo anche noi a morire con lui”. La sua mentalità è quella dei martiri maccabei, combattenti valorosi che sacrificano perfino la loro vita in battaglia per la causa di Israele. È una visione che, malgrado il sacrificio della vita, suona molto gloriosa e, per certi versi, accattivante, come quella dell’adolescente che immagina la sua morte e il suo funerale, il pianto dei suoi amici e familiari e di come tutti ne tesserebbero le lodi! Ma è una visione irreale, narcisistica appunto. Si tratta di una malattia molto presente anche tra noi, nelle nostre comunità, quando immaginiamo il nostro futuro a partire dalle nostre strutture pastorali e associative e da ciò che possiamo “fare” noi per Gesù. Questa fede è illusoria e destinata a crollare di fronte ai primi frutti che non arrivano.

Tommaso, come tutti noi, è invitato a fare un passo in avanti di maturazione nel seguire Gesù. Non si tratta di fare qualcosa per lui e con lui, foss’anche morire in battaglia. Si tratta invece semplicemente di stare con lui, sperimentando la sua fragilità e il suo dolore per la morte dell’amico Lazzaro. Si tratta di condividere il suo mondo di affetti profondi, con la famiglia di Betania, con Maria, con Marta e Lazzaro e sentire tutta la densità umana della sua presenza, della sua condivisione, anche nel dolore e nella debolezza.

“Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”, dice Marta: è un rimprovero, sì, ma è anche un grande attestato di fede nei suoi confronti, fede che cresce fino al punto di riconoscerlo come il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo. Accogliendo anche il mistero di una salvezza che non esclude la morte, ma che vi passa attraverso. Gesù quindi non evita il dolore, ma lo assume nel suo cuore; il suo pianto è insieme amore e dolore, congiunti senza separazioni. Solo attraversandoli Gesù può condurci al cuore della sua Parola di vita e di resurrezione.

Tommaso è quindi invitato a passare da una fede moralistica e autocentrata, ma illusoria, ad una fede molto più umana, vera, forte e integrata con la vita, capace di stare con Gesù e affidarsi a lui, sperimentandone la sua Parola di vita, anche dentro il dolore, la fragilità e l’impotenza, anche dentro l’impossibilità di comprendere, anche dentro la morte.

Soprattutto questa fede di Tommaso abbandona la pretesa di una riforma di Israele e delle sue istituzioni con le armi della strategia o del martirio. Non siamo chiamati a dare la vita per delle strutture, ma per amore delle persone. Ogni VERA riforma parte dalla vita, dalle relazioni, dalla costruzione di legami familiari, come discepoli di Gesù, dentro all’esperienza di una Parola che vince la morte condividendola fino in fondo.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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