Pregare con il vangelo della Domenica

Mt 25,31-46 (XXXIV TO Cristo Re dell’universo)

Il giudizio universale

Il messaggio nel contesto

Nei versetti introduttivi (31-32a) si descrive la scena della venuta finale del figlio dell’uomo, accompagnato dagli angeli (cf. 13,39.41.49; 16,27) seduto sul trono della sua gloria (cf. 19,27). Ormai il Vangelo è stato annunciato in tutto il mondo, e quindi è giunta la fine (cf. 24,14) e tutti i popoli e le nazioni del mondo sono radunati insieme attorno al giudice universale (cf. Dan 7,9-10). La divisione immediata, ancor prima del giudizio, in pecore e capretti, le prime alla destra e i secondi alla sinistra del giudice-pastore, indica la sua sovranità. Egli ha in mano la sentenza ancor prima di aver sentito i testimoni, perché il tribunale è stata la storia dell’umanità. Non a caso egli è definito re (v. 34). Egli emette subito la sua sentenza, iniziando dalle pecore, definite “benedetti dal Padre mio”. Essi sono in un certo senso predestinati alla benedizione e alla salvezza fin dalla fondazione del mondo, ma essa non si attua se non attraverso delle “opere d’amore” che costoro hanno compiuto verso persone bisognose. L’elenco procede per coppie: fame-sete; forestiero-nudo; ammalato-in carcere, come suggerisce la ripetizione della domanda da parte degli interlocutori (vv. 37-39).  Ciò che risulta rilevante per l’interpretazione della parabola è la loro inconsapevolezza di trovarsi davanti al giudice universale, quando hanno compiuto un atto d’amore verso il prossimo: in tal modo essi non hanno potuto “calcolare” la ricompensa. La sorpresa che questo causa in loro e nel lettore ha anche un effetto di rivelazione: Gesù si identifica con i fratellini più piccoli e bisognosi. Si tratta anzitutto di membri della comunità, che si definiscono fratelli e che fanno la volontà del Padre (12,49; 28,10), come missionari poveri (10,9), dipendenti dall’altrui ospitalità (10,11-15), che portano Cristo stesso a chi li accoglie (cf. 10,40). Come loro e con loro Cristo stesso è inviato, come forestiero senza patria (8,20), affamato (21,18) e incarcerato (cf. 26,57). In loro si può però vedere anche la sofferenza di ogni uomo, senza distinzioni, in una prospettiva universale.

Nella seconda parte (41-45) la simmetria non è totale: non si parla di “maledetti dal Padre mio” né si usa l’espressione “fin dalla fondazione del mondo”. In altri termini esiste una sola predestinazione, quella per la salvezza. Al v. 44 tutte le opere di amore sono riassunte dal verbo “servire”. Essi avrebbero dovuto comportarsi come lo stesso figlio dell’uomo, che “non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la sua vita per molti” (20,28).

  •  Qual è il contesto geografico e narrativo dove avviene il discorso di Gesù e come è ambientata la parabola?

Siamo sul monte degli Ulivi, nell’ultimo discorso di Gesù prima della sua morte. Egli fa riferimento al giudizio universale, alla fine dei tempi, per istruire i suoi discepoli prima della sua partenza e ricordare loro che ci sarà un tempo in cui egli ritornerà. Proprio per questo la cornice della parabola ha un tenore escatologico. Si parla del giudizio definitivo da parte del “figlio dell’uomo”, dipinto con i tratti del pastore e del re celeste, accompagnato dai suoi angeli. 

  • Chi dunque rappresentano i popoli e i fratelli più piccoli?

Tutti i popoli convocati al tribunale del re non rappresentano i pagani contrapposti agli ebrei o ai cristiani, ma tutto l’insieme degli uomini di tutti i tempi, che ormai hanno potuto conoscere il Vangelo del Regno. La divisione tra di loro non è etnica ma spirituale, e si basa sulla loro risposta d’amore. “Questi miei fratelli più piccoli” sono in primo luogo gli stessi membri della comunità cristiana, povera e perseguitata. In senso più ampio essi rappresentano ogni uomo che soffre.

  • Quale rivelazione è contenuta in questo dialogo? Gesù si identifica nei più piccoli ed insignificanti fratelli e ogni opera d’amore fatta a loro è in realtà fatta a lui. Questa “scoperta” è inaspettata: infatti il bene fatto dalle persone non è stato “calcolato” da loro, in ordine ad una “ricompensa”. Inoltre tutti gli uomini sono fin dalla fondazione del mondo benedetti, ma tale benedizione può non compiersi e trasformarsi in maledizione, nella misura in cui ad essa non corrisponde un comportamento conseguente. Dove trovo Cristo nella mia vita? Di quali ricompensa e gratificazione sono in cerca?Quali occasioni mancate per vivere il Vangelo dell’amore come la mia più grande ricompensa?
  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione, per farlo entrare nella mia memoria
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: Gesù è sulla strada per Gerusalemme e il suo tempo sta per compiersi
  • Chiedo una grazia, ad esempio quella di conoscere il Suo amore per me e come Egli desidera che la mia vita fiorisca
  • Comprendo ciò che la parabola intende dire e ricavo qualche spunto di riflessione
  • Medito su ciò che la parabola significa per me, per la mia vita
  • Cerco di raccogliere tutto ciò che ho meditato, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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