Il fuso e la conocchia, una sapienza al femminile (Omelia XXXIII TO Anno A)

Non so se sapete com’è fatto un fuso e una conocchia. Si usavano una volta per sbrogliare la matassa della lana e farla diventare un filo. Il fuso è un bastoncino piccolo che può essere tra le dita della mano destra, per tenerlo dritto senza premere (a proposito il proverbio non dice dritto come un fuso?): tutto questo perché ruotando attorno a se stesso il fuso possa avvolgere il filo intorno a se. La conocchia è un bastone più grande, che viene messo sotto l’ascella e retto con la mano sinistra e regge tutta la matassa della lana. In questo modo la donna sapiente può filare, ossia trasformare la lana in una filo adatto a cucire qualsiasi vestito per l’uomo. Ella stende la sua mano alla conocchia e tiene il fuso tra le sue dita, come dice il libro dei proverbi. Con le stesse mani così abili nel lavoro minuzioso, la donna sapiente dona anche del denaro ai poveri, non lasciando nessuno a mani vuote.

Questa metafora delle mani femminili, che lavorano sapientemente e donano, diventano simbolo della sapienza stessa di Dio, che si cura dell’uomo fin nei più piccoli dettagli: una sapienza che appartiene certamente a Dio ma diviene anche qualità essenziale della donna e dell’uomo e della sua quotidiana esistenza.

Vorrei quindi leggere alla luce di questa comparazione della sapienza di Dio e dell’uomo come una sapienza femminile, piena di cura, abilità manuale, attenzione al dettaglio, anche la parabola dei talenti.

Qual è il problema del servo detto malvagio e pigro? Non è tanto la semplice pigrizia, ma la malvagità che consiste nel pensare che il talento datogli dal padrone sia qualcosa che rimane suo. Lui lo rifiuta impaurito, perché quel denaro, secondo lui, appartiene ad un padrone duro ed inflessibile, che pretende dagli altri ciò che lui non fa. Ha un’immagine del tutto distorta del padrone, che invece si rivela nella sua verità quando parla agli altri servi, lodandoli ed invitandoli ad “entrare nella gioia del suo padrone”. Cioè questo padrone, che è Dio, quando dona qualcosa, un talento, non intende imporre nulla, ma solo far entrare profondamente l’uomo in una gioia, in una comunione più piena e più grande, che è la sua sapienza e il suo amore, al punto che non si può più separare una qualità dell’uomo, la sua sapienza, da una qualità di Dio.

Allora non dobbiamo scandalizzarci se il padrone si comporta in modo duro nei confronti del servo. Non può parlargli diversamente, perché utilizza proprio quell’immagine che il servo si è fatta di lui per fargli capire che, se non per amore, almeno per timore, avrebbe dovuto comportarsi diversamente, cioè far fruttificare i talenti.

Vorrei allora citare l’esempio di una donna, Maria Montessori, per capire come i talenti vanno spesi senza paura. Contro la volontà del padre contro tutta la società del tempo, questa donna alla fine del 1800, fu la prima donna ad iniziare e concludere il percorso di studi in medicina. Non solo: applico le conoscenze scientifiche e pedagogiche che aveva maturato per rivoluzionare il modo di insegnare ai bambini nelle scuole, formando un metodo che è passato alla storia come “metodo montessori” e che è in grado di far maturare l’intelligenza e la creatività dei bamibini dall’esperienza concreta, anche manuale. La sua intelligenza straordinaria, che le permise di precorrere i tempi, era una forma di sapienza, come quella della donna saggia del libro dei proverbi. La sua applicazione concreta non era frutto di una mentalità dura e inflessibile, ma di un amore che diviene cura e attenzione ai dettagli, per i più piccoli.

Dio non ci vuole perfetti e sempre vincitori. Non gli interessa nulla delle nostre vittorie. Gli interessa solo che possiamo entrare nella gioia del suo amore, trafficando con cura lieta tutti i suoi doni.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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