La roccia con le fenditure

Chi sono i santi? Pochi uomini e donne eccezionali, che avevano tanta volontà? Donne e uomini molto particolari, baciati dalla grazia di Dio, che hanno fatto cose speciali, senza molta fatica?

Tanto spesso noi diciamo, di fronte ai nostri limiti: “io non sono santo”. Come se il santo per definizione non avesse limiti.

L’immagine biblica della santità, che ricaviamo dalla prima lettura e dal Vangelo, è molto diversa da questa idea un po’ astratta. Nell’Apocalisse i santi sono tutti coloro che hanno le vesti bianche e i rami di Palma nelle mani: essi celebrano la vita per sempre (veste bianca) che scaturisce dalla resurrezione di Cristo, perché vivono il mistero della sua morte e resurrezione, che l’apocalisse descrive con l’immagine paradossale del lavare le proprie vesti nel sangue dell’Agnello.

Essi sono una moltitudine immensa, che non si può contare, potenzialmente allargata a tutta l’umanità. Anche nel vangelo Gesù pronuncia le beatitudini davanti ai suoi discepoli, guardando le folle: come a dire che i beati sono da ricercare proprio lì, tra la gente comune assiepata sotto il monte, in ansioso ascolto di una parola del maestro. Li, tra la gente comune, si trovano i poveri di spirito, che si abbandonano ogni giorno nelle mani di Dio; lì, tra la gente comune, si trovano i cercatori di giustizia e di pace, che spesso pagano di persona la propria battaglia quotidiana per il bene; lì, tra la gente comune, ci sono i miti che sanno rinunciare alla vendetta e sciolgono ogni giorno i nodi del risentimento dentro al loro cuore.

Potenzialmente, tutti siamo santi, perché chiamati alla santità, pervasi dal dono dello Spirito che ci attraversa.

Il cammino della santità è caratterizzato da due segnali, che dicono che si è in progressione, in crescita.

Il primo segnale è saper gustare ogni giorno il dono della pace e della gioia che il Signore comunica nel cuore. Non è l’esaltazione di chi pensa di aver vinto un premio, è semplicemente un saper stare nella gioia, senza disturbarla con pensieri preoccupati, pesanti su noi stessi. Se abbiamo dei difetti, di cui facciamo fatica a liberarci, possiamo esercitare l’umorismo, che è in grado di farci guardare a noi stessi con un po’ di distacco, senza che ci prendiamo troppo sul serio. Mi ricordo di una signora molto anziana, piena di acciacchi, vedova e sola da tanti anni, gravata dal peso della morte di un figlio giovane. Quando andavo da lei, mentre si confessava, dopo aver parlato delle sue piccole mancanze, alla fine raccontava sempre almeno un aneddoto scherzoso o una barzalletta… che la santità non sia anche questa capacità di sorridere, fino alla fine?

Il secondo segnale è saper stare nelle contraddizioni, senza scoraggiarsi o cercare scorciatoie, mettendole nelle mani di Dio. Ci sono nodi o aspetti della vita su cui noi, con le nostre forze, possiamo ben poco: solo lui potrà sciogliere pian piano certi nodi o trasformare i cuori. Tutto il nostro lavoro sta nel predisporre e lottare ogni giorno in una direzione positiva, buona, incoraggiante, che favorisca la grazia di Dio, che sgombri gli ostacoli, che faciliti il lavoro dello Spirito Santo. Così potremo anche offrire le nostre sofferenze e ci sembreranno più leggere.

Stare nella gioia, stare nelle contraddizioni, questi due segnali compongono la beatitudine, che ha un aspetto negativo, di povertà, sofferenza, fatica e un aspetto positivo di gioia, di riscatto, di amore. Ad un certo punto scopriremo che la letizia scaturisce proprio dentro le contraddizioni in modo inaspettato e gratificante.

La santità è come una roccia, una Pietra, ma non senza spaccature. Infatti è proprio da quelle fenditure che passa la luce…

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

Lascia un commento