Quante volte abbiamo sentito questa sintesi, che peraltro non ha inventato Gesù, ma era già ben presente tra i rabbi ebrei del I secolo?
Eppure essa solleva sempre i medesimi interrogativi, mai risolti: fino a che punto può arrivare l’amore per il prossimo? Può essere anche il prossimo che si trova oltre i miei confini nazionali, sociali, culturali, religiosi? Può essere anche il prossimo che si qualifica come mio nemico? È possibile e concretamente realizzabile un tale amore?


Certo oggi l’interrogativo è quantomai attuale, in un tempo in cui stiamo tornando ad una guerra che non è solo politica ma anche culturale e, sembra, religiosa. Oriente contro occidente, paesi islamici contro la cultura occidentale: l’escalation militare in Israele e a Gaza, come pure in Ucraina, risolleva uno scontro potenziale di prospettive anche culturali. Noi dobbiamo essere molto consapevoli del valore che la civiltà greco-romana e cristiana ha portato al mondo, dopo secoli di lenta e controversa maturazione: il rispetto dei diritti umani e la democrazia. Ma nello stesso tempo abbiamo capito che questi valori non si possono esportare con le armi. Con le armi ci si difende, necessariamente, ma non si costruisce cultura condivisa. E allora dobbiamo tornare alle fonti del nostro patrimonio di fede e cultura e chiederci come far maturare una prospettiva di futuro e di pace in un tempo così segnato da un ritorno del conflitto, sulla scala globale. La domanda è ancora attuale: possiamo amare il prossimo lontano, nella cultura e nella religione, possiamo amare il prossimo nemico? Cosa ci dice il vangelo oggi?
La sintesi che Gesù propone, amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze e amare il prossimo come se stessi non è originale. Originale è il modo, lo stile con cui Gesù l’ha incarnata nel suo ministero e nella sua morte in croce. La vicinanza alle categorie più povere ed escluse, la prossimità ai peccatori e marginali, la guarigione di chi è oltre i confini di Israele, la figlia della donna sirofenicia, il servo del centurione romano, dicono un cuore aperto a tutti gli uomini, senza confini, anche ai nemici di Israele, come erano i romani del tempo.
Il suo cuore, che fa scaturire l’amore per il Padre e per gli uomini senza limiti, si squarcia sulla croce lasciando rifluire lo Spirito d’amore, proprio dentro alle ferite dell’umanità.
È un amore davvero senza limiti, né confini culturali, geografici, nazionali, religiosi e si esprime nella passione, dove lui soffre con noi, con i palestinesi e gli israeliani, con le famiglie di chi sta subendo perdite, con le vittime di tutte le guerre.
Solo alla luce della sua passione possiamo trovare una strada che stia nella contraddizione del conflitto, senza risolverla in modo ideologico, senza parteggiare accrescendo l’ostilità, senza cercare necessariamente la scorciatoia della violenza, salvo la necessità di difendersi per proteggere la vita e le istituzioni democratiche del proprio paese.
È così, la democrazia e i diritti umani, tutto il meglio che abbiamo costruito in questi due millenni di cultura e civiltà ispirate dal vangelo non si salvano con le armi. Le armi sono solo uno strumento utile a produrre una deterrenza che protegge e custodisce la libertà da chi vuole distruggere. Esse possono al massimo penetrare i muri ma non i cuori.
Solo il vangelo della pace è in grado di penetrare i cuori, e trasformarli con la potenza di una parola che cambia, che fa maturare, che crea strade di futuro lì dove non sembrano esservi prospettive.
Si dobbiamo crederci fino in fondo, nella Parola della croce, lì troviamo la potenza d’amore che scaturisce dal cuore di Dio, l’unico che può trasformare l’odio e rompere la catena della violenza.
Essa si esercita nel dialogo, nel processo artigianale della pacificazione, nella forza dell’empatia, nella potenza di una vita che non si lascia intrappolare dalla spirale dell’odio e della vendetta.
Come dice san Paolo alla comunità dei Tessalonicesi: voi siete diventati modello per tutti i cristiani. Come dice la preghiera di colletta: accresci in noi la fede, la speranza e la carità. Solo da queste virtù, che scaturiscono dal cuore di Cristo, troviamo non la risposta, ma la strada da percorrere concretamente per affrontare i tempi di torbida violenza che sta imperversando nel nostro mondo.
Sono come fiumi in un deserto: li può crescere, abbondante, la vegetazione, anche quando tutt’attorno è solo aridità e terra inospitale.
