Gesù aveva fame.
Certo era un limite, che egli ha dovuto vivere fino in fondo.
Anche lui ha attraversato il bisogno, quello fisico, ma anche quello psicologico e spirituale. Nella piramide dei bisogni anche quelli di base, come il mangiare, bere, dormire, o vivere la sessualità, sono rivestiti di “spiritualità”, altrimenti saremmo come gli animali, agiremmo solo per istinto.

Non ci limitiamo a mangiare, ma vogliamo farlo tra persone care, curando la conversazione. Non ci limitiamo ad avere atti sessuali, ma lo facciamo all’interno di una relazione di tenerezza e affetto, in un progetto, che ha delle caratteristiche di unità e fedeltà, in un impegno reciproco al rispetto. Strettamente collegati, ci sono i bisogni di stima, di amicizia, di riconoscimento, di affetto di autorealizzazione. Insomma, in una parola, i nostri bisogni, da quelli fisici a quelli spirituali, non sono semplicemente un limite da superare, ma un’opportunità per vivere in modo più umano.
Anche Gesù ha vissuto il limite fisico come un’opportunità, un’occasione per vivere da figlio. Satana lo ha tentato proprio su questo punto: ma se tu sei figlio di Dio, trasforma queste pietre in pane. Cosa significa? Significa: vivi la tua condizione divina di Figlio “in proprio”, come un privilegio che ti rende autosufficiente, che ti permette di autoalimentarti senza fine. Ma questa era ed è una contraddizione: il Figlio vive proprio perché è in relazione con un altro, il Padre, da cui riceve continuamente la vita.
Dal punto di vista umano Gesù vive nel suo corpo la verità del suo rapporto con il Padre, la vive proprio dentro i suoi limiti e bisogni umani, come opportunità per farsi bisognoso, mendicante d’amore, nel suo rapporto con Dio ed anche con i fratelli.
Un grande insegnamento per noi che viviamo spesso protesi a soddisfare esigenze esterne e senza cogliere i nostri bisogni profondi, pensando di fare bene così e di essere generosi. Si tratta invece di cogliere ed esprimere questi bisogni, senza paura, vedendo proprio dentro in essi una traccia che conduce alla loro trasformazione. Ascoltandoli, dandogli un nome, onorandoli in qualche modo e orientandoli verso il dono di noi stessi, noi non solo rispettiamo il nostro limite, ma ne facciamo la condizione per poterci sentire figli amati, custoditi, curati, accompagnati, proprio dentro ai nostri bisogni insoddisfatti, carenze, fatiche. Proprio lì Dio entra per guarirci e ricucire con pazienza le lacerazioni del nostro cuore. Come faremo a sentire l’amore di Dio per noi, se ci illudiamo di non averne bisogno?
Anche Gesù aveva fame e non se ne è vergognato. Ha saputo approfondire e attraversare il suo bisogno, facendone occasione per vivere da figlio, e vincendo la tentazione di pensarsi autosufficiente.
A ben guardare questa è anche la tentazione del nostro mondo collettivo: una cultura dell’efficienza, del PIL in costante aumento, che si illude di avere a che fare con un mondo dalle risorse infinite, senza limiti di energia e di materia. Ma Dio ci pone davanti al limite, per custodire la nostra umanità!
Così come in questa guerra forse ci stiamo illudendo di poter continuare senza limiti, aumentando senza fine la produzione di armi e l’escalation delle parole e dell’ideologia dello scontro. Certo dobbiamo credere nella democrazia e difenderla fino in fondo, ma dobbiamo sapere che la vera arma della democrazia è proprio aver vinto l’illusione della propria onnipotenza. Dovremo saper porre un limite e rinnovare le istanze del dialogo e del compromesso, con una resistenza al male che è prima di tutto culturale e spirituale: questa non è una posizione di debolezza, ma di forza.
Dobbiamo saper credere ad una pace possibile!
In questa Quaresima scegliamo alcune condizioni che ci facciano restare a contatto con i nostri limiti e bisogni: riabituiamoci ad esempio a camminare un po’, ad andare in bicicletta, ad usare i mezzi pubblici. Non solo per risparmiare energia, ma anche per vivere maggiormente il nostro corpo e imparare a perdere tempo…
E anche sulla pace, dobbiamo credere nella forza della preghiera: perché non ci impegniamo tutti quanti a fermarci, per cinque minuti d’orologio, in un’ora precisa della giornata, a pregare per la pace? È un nostro bisogno umano, vero, autentico: possiamo e dobbiamo ascoltarlo…

Il commento di oggi, mi fa molto riflettere. Il motivo è semplice. Se non ci rendiamo conto dei nostri limiti, della nostra piccolezza, è perché restiamo fuori dal nostro vero “io”, quello che risiede dentro di noi e che ospita la Presenza di Dio. Da questa posizione che io assumo, dipende la mia superficialità, la mia sordità alla sua Voce e allora, non posso pensare di riuscire a cambiare la realtà che è intorno a me.
Sì, cominciamo a pregare con forza perché insieme possiamo formare una sola voce che sale a Dio e grida che vuole la pace. Decidiamo per un momento della giornata, io ci sto e domani, trasmetto questa iniziativa alle amiche del Cenacolo. Aspetto da tutti voi che la proposta si concretizzi. A che ora? Per quanto tempo?