
Siate santi perché io sono santo, dice il Signore al suo popolo. Questo invito che Dio rivolge al suo popolo dipende dall’azione di Dio stesso, che dona la sua santità, il Suo Spirito d’amore, la Sua Legge, che rende santi…nonostante errori, mancanze e perfino peccati.
Cosa vuol dire essere santi? Significa mendicare ogni giorno, da poveri e bisognosi, questo amore capace di riempire il cuore e trasformare, lentamente, anche i sentimenti cattivi.
La santità diventa quindi un’attitudine del cuore, ad accogliere fatica, rabbia di fronte alle ingiustizie ed offese e perfino odio, senza paura, per metterli nelle mani di Dio e lasciare che Lui li trasformi. Significa lasciarsi trasformare il cuore fino al punto di considerare l’altro al pari di me stesso, come una persona che ha la dignità di esistere e di essere amato, nonostante i suoi sbagli e le sue mancanze, anche nei miei confronti.
Certo ci si può interrogare su chi sia in fin dei conti il mio prossimo, ed in effetti questa domanda era molto attuale nel tempo di Gesù: il passo del levitico che abbiamo ascoltato sembra considerare questo prossimo come un fratello, un membro del popolo. Ma come la mettiamo con i nemici? Con gli altri che non appartengono ai tuoi fratelli, alla tua cerchia, al tuo popolo? Che confini ci sono? Fino a che punto possiamo estendere questo comando di amare?
È Gesù a portare alle estreme conseguenze questo orientamento interiore della legge, invitando ad amare anche il nemico, ossia colui che è in guerra con te, con i tuoi fratelli, con il tuo gruppo, con il tuo popolo. Gesù parte da una legge antichissima, la legge del taglione, che recitava “occhio per occhio e dente per dente” e ne interpreta la sua intenzione nonviolenta: essa infatti vuole spezzare la catena delle vendette sempre più radicali, chiedendo una certa proporzione tra azione e reazione. Gesù afferma che per rispettare fino in fondo questa legge nel suo intento, che è quello di disinnescare il male, è troppo banale fermarsi ad una risposta simmetrica, perché essa non offre alcun appiglio all’avversario per modificare il suo punto di vista. Gesù suggerisce quindi una maggiore creatività, azioni che sorprendono per la loro gratuità e che non vanno intese come una “legge” ma solo come inviti ad essere creativi di fronte alla catena del male: Gesù invita ad avere di mira non il nemico, ma il “male” stesso, spezzandone la spirale con gesti e parole che diano a pensare, che scuotano la coscienza dell’altro, per risvegliarlo dal torpore del male.
Certo è più impegnativo, perchè significa credere fino in fondo che nel cuore dell’altro la luce di Dio risplenda ancora e non sia mai soffocata del tutto e d’altro canto solleva la domanda se questa scelta possa essere solo personale, individuale o anche collettiva, sociale, politica. Fino a che punto, ad esempio, un politico ha diritto a fare una scelta nonviolenta, nel rispondere ad un’azione di invasione da parte di un esercito nemico?
La questione oggi è di grandissima attualità, per la questione ucraina. Personalmente non credo che si possa obbligare un popolo a non difendersi con le armi quando il suo territorio viene invaso e la sua libertà pregiudicata e questo deve rientrare nelle responsabilità di un politico. Ma al contempo ritengo anche che dobbiamo oggi prendere maggiormente coscienza che un conflitto non si può superare solo sul terreno militare, ma richiede di studiare prassi di azione orientate al dialogo, alla diplomazia. Bisogna anche ipotizzare e studiare, in tutte le situazione di dominio violento, forme di lotta nonviolenta, azioni di resistenza passiva, che se diventano prassi comuni dell’intera società civile, sono forme efficacissime di contrasto contro regimi oppressivi. Dobbiamo ritrovare modelli e forme di lotta nonviolenta, che non si limitino a sanzioni economiche, ma costituiscano una resistenza di popolo, non solo armata, ma anzitutto culturale, sociale, comunicativa, in grado di disarmare l’ideologia del potere, la propaganda e l’uso violento e antidemocratico delle istituzioni rappresentative.
Ci sono illustri modelli, che andrebbero ricompresi: come ha fatto Gandhi a liberare il popolo Indiano dal giogo inglese? E noi come cristiani, ci limitiamo a difendere la democrazia con i carri e gli aerei? Dov’è la nostra profezia? Dov’è la nostra testimonianza sociale del vangelo? Non rassegnamoci ad un mondo diviso in due dalla logica della guerra.

Grazie di cuore per questo commento così ricco che condivido totalmente. Non avrei mai immaginato che, dopo circa ottant’anni dall’inizio della seconda guerra mondiale, l’Europa e tutto l’Occidente, fossero coinvolti in questo immane e insensato dolore! Ci sono morti in numero infinito e addirittura deportazioni di bambini ai quali si vuole tagliare la radice della propria esistenza….In questo orrore, mi chiedo se ciascuno di noi non possa fare qualcosa di più, per esempio dimostrare al mondo intero che si prega fortemente, per non lasciare solo il papà. E i capi delle nazioni? Perché non si organizzano in missioni diplomatiche continue?
Intanto, continuiamo a pregare con forza, senza stancarci e, ogni volta che i telegiornali ci mostrano l’orrore della distruzione, diciamo:”venga il Tuo Regno, Signore!”