Pregare con il Vangelo di Luca, Lc 18,9-14 (XXX TO C)

Il messaggio nel contesto

Questa parabola di Gesù è introdotta da un’indicazione riguardante gli uditori a cui Gesù si rivolge: essi sono coloro che confidano in sé stessi e nella loro giustizia e disprezzano gli altri (v. 9). Con questo riferimento iniziale l’evangelista chiarisce molto bene che l’accusa non è rivolta soltanto ai farisei, rappresentati nella parabola, ma soprattutto ai suoi lettori, cristiani sempre tentati da una religiosità falsa, in fondo idolatrica. Vengono presentati due personaggi, il fariseo e il pubblicano, che sono emblemi rispettivamente dell’uomo “pio israelita” e del “disonesto, impuro, amico dei romani”.  Salgono entrambi al tempio a pregare ma il loro atteggiamento e le loro parole sono contrapposte. Da un lato il fariseo sta in piedi e prega tra sé con molte parole che descrivono il suo atteggiamento e il giudizio nei confronti degli altri (vv. 11-12). Dall’altro il pubblicano prega più con i gesti che con le parole, perché stando lontano non osa alzare gli occhi, si percuote il petto e dice semplicemente: “Abbi pietà di me peccatore” (v.13).  Se gli atteggiamenti del pubblicano evidenziano la sua consapevolezza di trovarsi in relazione con una presenza a lui esterna, invece il fariseo sembra chiuso in sé stesso e nella contemplazione di sé.  Le parole di quest’ultimo ne rivelano l’animo: egli si pone a paragone con tutti gli altri uomini, compreso il pubblicano, disprezzandoli intimamente per le loro mancanze nei confronti della legge. Ben diversa è l’invocazione del Salmista che, conoscendo la sua debolezza, supplica il Signore di non abbandonarlo alla comunione con i peccatori  (cf. Sal 26,9-11). Egli infatti non confida in sé stesso, ma solo nel Signore. Ancora il fariseo elenca le sue azioni secondo la legge (v. 12): egli digiuna due volte la settimana e paga la decima: sono azioni che vanno perfino oltre gli obblighi della legge mosaica, che prevedeva la decima solo su frumento, olio e vino e sul primogenito del bestiame (cf. Dt 12,17;14,22-29) o il digiuno solo in alcuni periodi dell’anno (cfr. Lv 16,29.31). Eppure tutta questa perfezione gli serve solo per lodare sé stesso. Il ringraziamento iniziale di Dio (v.11) è solo formale, perché egli attribuisce a sé stesso il merito di una giustizia che Dio è chiamato soltanto a ratificare. Questo atteggiamento nei confronti di Dio si traduce di conseguenza nel disprezzo del prossimo. Infatti lo stretto legame tra i due comandamenti centrali della legge, amore di Dio e amore del prossimo (cf. Lc 10,25-28), chiarisce in modo definitivo che tale disprezzo del prossimo discende da una mancanza di amore per Dio. Il fariseo ha fatto della legge un idolo, che invece di avvicinarlo a Dio lo allontana da Lui e dal suo amore (cf. 11,42). Il pubblicano invece, che sa di essere interamente peccatore e che avrebbe dovuto lasciare il suo mestiere e restituire il 120 per cento di tutto ciò che aveva acquisito, e che quindi, dal punto di vista umano, non ha alcuna possibilità di salvezza per la Legge, può solo confidare nella misericordia gratuita di Dio: “Abbi pietà di me peccatore” (cf. Sal 51,3-4). Egli comprende che l’amore di Dio non dipende dai suoi meriti e per questo viene giustificato da Dio, a differenza del fariseo (v.14). Con un’ultima frase Gesù conclude la parabola per enuclearne il significato (v.14): farsi umile non significa disprezzare sé stessi, ma comprendere che tutto, anche i nostri meriti, sono dono di Dio e del Suo amore. Il primo a darci l’esempio è Cristo, che pur essendo Dio non considerò un possesso geloso la sua uguaglianza con Dio…, ma umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce. (Fil 2,6)

  • Il contesto della parabola

Il contesto è caratterizzato dall’interlocutore di Gesù, ossia coloro che ritengono di essere giusti con le loro azioni e di conseguenza disprezzano gli altri. Non si tratta solo del personaggio già codificato dei farisei, ma potenzialmente di ciascuno di noi, come lettori del vangelo. Mi lascio coinvolgere ed interrogare da questa provocazione.

  • I personaggi della parabola: cosa fanno e cosa dicono

 Il fariseo prega al tempio, stando in piedi e ragionando tra sé medesimo. La modalità fisica del fariseo esprime autosufficienza: mi chiedo se anche nelle mie modalità di preghiera, fisiche e spirituali non compaia talvolta uno spirito di chiusura ed autogiustificazione. Il pubblicano invece sta lontano, non alza lo sguardo, si percuote il petto. Mi chiedo con quali gesti interiori ed esteriori esprimo la consapevolezza della mia ferita e del mio peccato.

Inoltre il fariseo fa un elenco delle sue buone azioni davanti a Dio: “digiuno, pago la decima”. Poi ringrazia Dio per essere diverso da tutti gli altri, migliore di loro. Mi chiedo se il mio modo di giudicare la realtà e le persone non sia spesso un tentativo difensivo di apparire migliore, di salvarmi la faccia davanti a Dio. Il pubblicano fa una preghiera molto più breve: “espia i peccati di me, che sono un peccatore”. Egli chiede che il perdono sia un’espiazione, una cancellazione del peccato. Mi lascio ispirare da questa preghiera e mi pongo al cuore dello sguardo misericordioso di Dio.

  • La rivelazione  

La giustificazione avviene come dono di Dio verso un cuore contrito, un cuore che accoglie la Sua grazia e il Suo amore, imitando Cristo che non ha considerato un possesso privato la sua uguaglianza con Dio, ma si è spogliato nell’umiltà della croce.Ripenso anche alle mie umiliazioni, alle mie notti oscure come occasioni per guarire dalla mia ferita narcisistica, per entrare in un amore che mi purifica e trasforma.

Per la preghiera personale

  • Invoco lo Spirito Santo (con un canto o con la Sequenza o con un’invocazione più libera) Ad esempio: Vieni Santo Spirito, entra in me, con la tua luce, con il soffio della tua vita, aiutami a sentire il Tuo Amore, la Tua Pace e ad aprire il mio cuore a quella Parola che oggi custodisci per me, in modo che ogni mio pensiero e ogni mia azione abbiano da te il loro inizio e in te e per te il loro compimento.
  • Leggo il brano del Vangelo, almeno due volte, con attenzione: Lc 18,9-14
  • Entro nel contesto del racconto, nel suo spazio e tempo particolari: il Tempio.
  • Chiedo una grazia, ciò che desidero da questo momento di preghiera, ad esempio di fare un’esperienza profonda e intima di Gesù, del Padre e del loro amore per me.
  • Cerco di comprendere maggiormente il significato del testo in sé stesso, con l’aiuto del breve commento precedente.
  • Cerco di comprendere cosa dice il testo a me, alla mia vita oggi.
  • Cerco di raccogliere tutto ciò che ho meditato sin qui, a partire da ciò che provo in me: come mi ha toccato quello che comprendo? Quale sentimento mi suscita?
  • Dialogo con Gesù e con il Padre, lasciandomi trasportare, nel chiedere, nel ringraziare, nel lodare, nel contemplare, a seconda di ciò che sento.
  • Concludo la preghiera con un Padre Nostro e saluto il Signore con un gesto di riverenza.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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