L’amministratore ha il suo punto di vista egoistico, farsi nuovi amici attraverso le ricchezze del padrone, per poi essere accolto da loro, quando non potrà più occuparsi dei beni del suo attuale padrone.
Il padrone ha un suo punto di vista particolare, mandare via questo amministratore per la sua disonestà nell’amministrare il suo patrimonio. Ma, e qui sta il paradosso, alla fine lo loda per aver praticato degli sconti enormi nei confronti dei suoi debitori. La scaltrezza dell’amministratore, che dal suo punto di vista è semplicemente egoistica, in realtà dal punto di vista del padrone diviene interessante, dice qualcosa in più di questo padrone, che non è evidentemente interessato all’accumulo.

In ogni parabola c’è sempre un elemento paradossale, anormale, che costituisce il fulcro del messaggio evangelico, che è poi il punto di vista di Gesù, e che qui si concentra in uno spostamento di immagine riguardante il padrone. Sembrava che fosse uno interessato ai propri beni materiali, al fatto che non venissero sperperati, e invece ora si mostra come uno a cui non interessa una perdita così considerevole, a patto che l’azione dell’amministratore sia in grado di generare nuove amicizie. L’amministratore è stato in grado di comprendere qualcosa in più, che non era evidente, nella natura di questo padrone, e di sfruttarlo a suo proprio vantaggio: il desiderio di relazione, amicizia, che nasce da uno scambio di beni. Non gli interessano i beni in sé, probabilmente ne ha così tanti che non ha alcuna preoccupazione di mantenerli o accumularli, ma gli interessano nella misura in cui possono “generare” nuove relazioni umane.
Ecco il punto di vista di Gesù nella parabola. È qualcosa di così lontano da un certo moralismo “economico” da lasciarci quasi stupefatti: noi che non vogliamo avere a che fare con soldi di dubbia provenienza, per non rimanere implicati in qualcosa che nuoccia alla nostra reputazione, comprendiamo invece che la giusta immagine del padrone, ossia di Dio, è quella di uno che non ha paura di sporcarsi le mani e di implicarsi per “trasformare” il significato dei beni e delle ricchezze, non importa da dove provengano.
Possediamo noi delle ricchezze e non altri? Siamo cresciuti in un mondo ricco che ce le ha donate a discapito di altri che non le hanno? Siamo parte di un sistema economico ingiusto di cui alla fine abbiamo goduto anche noi? Si, sembrerebbe rispondere la parabola, ma questo non ci deve bloccare in una autoaccusa moralistica e paralizzante: si tratta invece di “trafficare” quei beni, in modo che generino reciprocità, che ritornino nei loro effetti positivi anche a chi non li ha potuti godere. Non è solo una restituzione, è proprio la dinamica della vocazione, a cui ciascuno di noi è chiamato: nulla è dovuto, di ciò che abbiamo, beni, doni, talenti ma tutto è donato non perché sia un possesso geloso, ma perché sia fonte di dono anche per gli altri. Così ha interpretato la sua vita anche Gesù, che non ha fatto del suo tesoro prezioso, il suo “essere figlio” una proprietà privata, ma lo ha donato e condiviso con ciascun uomo, fino alla morte di croce, una morte in grado di riscattare per sempre le ingiustizie del mond, e ribaltarle in una novità di relazioni e di amicizie per il Regno di Dio.
E qui il senso della parabola diventa vertiginoso. Diventa un modo radicalmente nuovo di comprendere Dio, nella sua giusta immagine: se non è più un padrone geloso, che ci impone la sua volontà, ma è uno che desidera costruire relazioni ed amicizie, ciò comporta un radicale “decentramento” di noi stessi, con una forte valenza “politica”. Non importa più conquistare spazi di potere ed influenza, per se stessi, ma ogni spazio da amministrare dovrebbe essere in funzione di generare nuove possibilità e sviluppare tutte le potenzialità degli altri, in particolare dei più deboli, di quelli che ancora non ci sono e non possono far sentire la loro voce, e in particolare delle generazioni future. Ogni ricchezza delle generazioni presenti è rivolta a generare l’amicizia di quelle future…questo è ciò che la parabola oggi potrebbe dirci. La prossima settimana andremo a votare: potrebbe essere interessante interrogarsi sullo sguardo verso i giovani che si legge nei programmi elettorali. Si tratta di uno sguardo in fondo paternalistico o aperto al “dono” nei loro confronti? Quanto in fondo siamo disposti a “perdere” per loro?
