
In questi giorni si sono tenute le consultazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. È normale che vi sia un certo tatticismo tra le parti. Il limite infatti di ogni leader è che, dovendo rappresentare gli interessi di tanti, finalizza le sue posizioni al consenso. È allora difficile guardare ad un accordo che superi le parti, che si orienti prioritariamente al bene comune. Ci vorrebbe un po’ più di capacità profetica da parte dei nostri leader, ossia di lavorare per compromessi alti, dotati di visione, non partendo necessariamente da un calcolo di immagine sul successo della trattativa.
Il profeta infatti non ha bisogno del consenso e quindi può parlare per smuovere il cuore dell’interlocutore da aspettative sbagliate, da giudizi erronei, limitati, di parte. Egli in questo modo può produrre anche sconcerto, addirittura rifiuto sul momento, e solo dopo si potrà vedere che la sua parola era pertinente e si sarebbe in qualche modo realizzata.
È ciò che accade a Gesù nel suo seggio elettorale, Nazareth.
Tutti gli chiedono segni, che lo accreditino ai loro occhi come il profeta di Nazareth e rinfocolino la loro identità e il loro culto del capo. Gesù non si lascia intrappolare da questa pretesa, anzi cita episodi biblici di Elia ed Eliseo, che mostrano il suo interesse ad andare oltre i limiti non solo di Nazareth o della Galilea, ma di Israele stesso. La sua missione non ha confini e si rivolge al cuore di ogni uomo, varcando tutti i muri e le divisioni culturali e religiose.
Un messaggio difficile per i poveri nazaretani.
Un messaggio difficile anche per noi.
Il profeta infatti, sul modello di Gesù, sa guardare il cuore delle persone, oltre alle apparenze, e osa credere nella bontà dell’uomo, anche quando tutte le circostanze sembrano contrarie, anche quando l’opinione prevalente è diversa, anche quando c’è la paura di confrontarsi con situazioni personali difficili, faticose, in cui ci si sporcano le mani.
Siamo vicini alla ricorrenza di don Giovanni Bosco: un uomo che ha accettato di sporcarsi le mani, cercando ragazzi difficili, iniziando a partire dalle situazioni di marginalità sociale, dalle ragazze carcerate, dai giovani sulla strada. E si è procurato molti fastidi e difficoltà per questa sua attività, per questo suo “stare” nelle situazioni. Anche noi dovremmo reimparare anche noi a “stare” con i giovani: quanto deserto, quanta desolazione in questa loro chiusura nelle case, quanti problemi umani, psicologici e quanta voglia hanno i ragazzi di tornare a frequentarsi, a stare insieme. Cerchiamoli, invitiamoli, accompagniamoli…non verranno tutti, non avremo i gruppi grandi di prima. Pazienza…ma intanto non abbiamo avuto paura di cercarli, di stare nella loro vita e nelle loro fatiche.
Ampliando il discorso da don Bosco e da tutti i profeti imparare a “stare” nelle contraddizioni, nelle difficoltà, nei conflitti, nei problemi che la gente ti racconta, senza pretendere di risolverli, ma con l’atteggiamento dell’ascolto, che comunica una fiducia di fondo nelle potenzialità della vita. Come Elia dalla vedova di Sarepta di Sidone…gli ha dato la fiducia che l’olio nell’orcio non si sarebbe esaurito. E così è stato!
Oggi come Chiesa siamo chiamati anche a “stare”…anche se non abbiamo tanti risultati visibili. Come questo sinodo…non ci aspettiamo cambiamenti pastorali enormi o di trovare la chiave che risolve ogni problema pastorale
Ci aspettiamo invece un atteggiamento di ascolto che cambia anzitutto il nostro cuore e ci allena a stare con amore nelle situazioni della gente, con attenzione soprattutto a chi è più fragile e a chi ha bisogno di consolazione e di accompagnamento.
