Donne impure

Donne impure. La donna che aveva perdite di sangue lo era per un motivo di carattere rituale: se il sangue esce, ciò implica la morte e un corpo morto per un ebreo è ritualmente impuro e rende impuro chi lo tocca.

La bambina era impura anch’essa, e per un motivo molto semplice, era morta.

La donna era impura da 12 anni, perché da tanto tempo durava la sua malattia, che le aveva tolto anche la fecondità, la possibilità di generare. La bambina al 12 esimo anno di età, l’età del menarca, del primo ciclo mestruale, muore senza mai aver generato figli. 12 anni dicono un periodo completo, totale, attraversato in questo caso dalla morte, senza che vi possa essere alcuna possibilità di recupero, almeno umanamente.

Non solo infatti la bambina e la donna sono ormai clinicamente irrecuperabili, ma sono anche oggetto di impurità, da non poter toccare senza contrarre la stessa lontananza da Dio, secondo la mentalità ebraica.

Si comprende quindi tutta la tensione della donna, che di fronte all’accaduto, è ancora impaurita e tremante e ciononostante si getta ai piedi di Gesù dicendo tutta la verità. Per un gesto simile avrebbe potuto essere condannata…e invece Gesù la rimanda in pace: “va la tua fede ti ha salvata”. La fede della donna in Gesù è stata più forte dei vincoli della cultura religiosa, che avrebbero certamente negato un tocco di questo tipo. Proprio perché, nella sua fede, ha toccato Gesù, questo contatto umano e spirituale con la persona del maestro ha creato lo spazio e le condizioni della sua guarigione.

Anche nella casa del maestro tutto depone a sfavore della vita: la bambina è già morta e i parenti lì radunati, che pronunciano i lamenti rituali, deridono Gesù. Qui è Gesù stesso a superare i vincoli della cultura, che impedivano un contatto con un morto: lui delicatamente prende per la mano la bambina e con la semplicità della sua parola “talità kum”, la solleva. Proprio evadendo i codici culturali della religione del tempo Gesù rivela la qualità particolare della sua santità: non una santità che divide, allontana, giudica, separa il puro e l’impuro; piuttosto una santità che accoglie, ospita, incontra, condivide, crea lo spazio di un incontro diretto e familiare con Dio.

Gli uomini di oggi come di allora hanno un bisogno disperato della santità ospitale di Gesù, perché nel loro cammino di uomini feriti, deboli, fragili, desiderano di essere accolti e amati, così come sono. E desiderano fare della loro fragilità il luogo della cura, della prossimità, di una fede che grida a Dio dentro al proprio dolore e così crea lo spazio di un incontro possibile con Lui. Mentre la cultura di oggi fornisce tanti mezzi sofisticati come palliativi, che addomesticano il dolore senza poter guarire il cuore, la Chiesa ha la possibilità di giocare il ruolo del mantello di Gesù, come già aveva proposto il cardinal Martini in una sua celebre lettera pastorale alla Chiesa di Milano.

Come? Offrire occasioni, possibilità, contesti favorevoli, in cui la persona possa arrischiare un contatto, sentire di poterlo fare nella riservatezza e nella certezza che attraverso quel contatto potrà “percepire” la potenza d’amore che scaturisce da Gesù.

Tante persone sono oggi in attesa, cercano medici e ne trovano tanti ma non guariscono. Cercano medicine e palliativi tecnici, e ne trovano tanti, ma le ferite non si riassorbono veramente. La Chiesa saprà esser oggi quel mantello in grado di favorire il tocco, il contatto con l’amore che guarisce? Avrà la forma della santità ospitale nella quale il maestro la vorrebbe? Tante persone si sentono giudicate entro i codici culturali di provenienza e nel loro bisogno d’amore, nella loro ferita, sentono di non essere amate, stimate e valorizzate, mentre si sentono accolte da una cultura che elimina le distinzioni e si impegna a compiere per loro ciò che è tecnicamente possibile. Una cultura che anestetizza il dolore, ma senza guarire il cuore, come i medici dell’emorroissa.

Come farà la Chiesa di oggi ad essere lembo del mantello per queste persone? Il grido di fede dell’emorroissa risuona ancora con forza dentro alla ricerca di identità e di amore delle persone. Ci impegniamo a coglierlo o scegliamo di brandire la rassicurante clava della verità, un po’ infastiditi dalla folla che circonda Gesù e vorrebbe toccarlo?

È vero che il diritto dei più deboli può diventare imposizione ideologica e dobbiamo prestare attenzione. È però altrettanto vero che la battaglia per il diritto d’opinione si combatte con testimoni viventi, che hanno incontrato Gesù e possono sventolare con lui la bandiera del vero amore.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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