Questa foto mostra il panorama che si osserva dal giardino reale di Capodimonte. Si nota il porto di Napoli e le diverse cupole delle Chiese del centro città.
Con un amico biblista che insegna alla facoltà teologica di Napoli abbiamo fatto una bella passeggiata, visitando anche il museo di Capodimonte e la mostra del Caravaggio installata in questi giorni, aperta al pubblico. È il Caravaggio maturo, quello del periodo napoletano, venato da una sfumatura drammatica, come nella celebre flagellazione di Cristo.
Un’attrice vestita con i costumi dell’epoca ci ha portato dentro l’ambiente di corte di Carlo e Federico, sovrani Borboni che hanno costruito e abitato la residenza.
Un pizzico di nostalgia traspariva dalle parole dell’attrice, come se davvero il popolo napoletano, con la fine dei Borboni, abbia perso qualcosa della sua gloria.
Tornando a Scampia osservavo le Vele e i palazzi e ho compreso: la borghesia napoletana ha voluto Scampia, dopo i terremoti, per isolare la massa e impedire ad essa di disturbare il Vomero, il quartiere dei ricchi.
Senza servizi. O meglio solo con quelli necessari alla sopravvivenza, perché non uscissero da li. Perché si autogovernassero, in mano alla camorra, o meglio si autodistruggessero.
Un esperimento da campo di concentramento. Che tuttavia ha generato, insieme a criminalità e sottosviluppo, anche realtà sociali di servizio e voglia di riscatto.

