Oggi siamo andati a trovare alcune famiglie nelle quali i ragazzi della comunità sono stati reinseriti. L’obiettivo infatti di Koinonìa non è solo quello di aiutare i ragazzi di strada dandogli una casa, del cibo e la scuola da frequentare per la loro crescita, ma anche quello di ritrovare le loro radici familiari e reinserirli gradualmente, per accompagnarli nella loro crescita dentro alla rete delle proprie relazioni e non renderli dipendenti dalla comunità.
Ci siamo divisi in tre gruppi, per visitare tre diverse famiglie. Noi cinque, io, Giammarco, Chiara, Carlotta e Gaia siamo andati dalla famiglia di Kevin, in Kauangare Gatina Checkpoint. Kevin vive con la zia, perché i genitori non ci sono più. Lei ha altri tre figli e cinque nipoti e lavora come colf domestica nelle case dei vicini. Solo con l’aiuto di Koinonìa Kevin ha potuto frequentare la scuola elementare e iniziare il suo percorso. Non parla molto, perché è un ragazzo introverso, ma ci ha detto che vorrebbe diventare un ingegnere, perché ci sa fare con i circuiti elettrici e qualsiasi componente elettronico, anche i computer.
La casa in cui Kevin vive colpisce chi vi entra da occidentale, perché è fatta tutta di lamiera, come tutte quelle del quartiere. Tra le case i torrentelli sono pieni di spazzatura, che viene portata via dalla prima piena del fiume. Anche dentro questa casa, in contesti così precari e poveri, il cuore coltiva desideri importanti, come quelli di Kevin. O come quelli di un’altra ragazza di 18 anni che abbiamo incontrato in un’altra famiglia vicino, che ci raccontava il suo sogno più grande: “aprire il cuore agli altri e fare dono dei suoi talenti”.
Uscendo fuori dal quartiere ho incontrato il pastore protestante, che ha una Chiesa e una scuola nei pressi. “Noi siamo qui a servire la gente e il lavoro è tanto per migliorare il loro modo di vivere”, mi ha detto con tono predicatorio, “il tempo è breve e il Signore ti giudicherà su ciò che hai fatto”.
Più chiaro di così!

