Metterci la faccia (Omelia XXIV TO Anno B)

 

Qualche giorno una rivista internazionale ha pubblicato in copertina la foto della faccia di un noto politico italiano.

Nel mondo dell’immagine la faccia è tutto…c’è una cura dettagliata delle espressioni del corpo, dei vestiti, perché ad esempio un politico possa colpire il proprio target elettorale.

Nella lettura di Isaia troviamo invece la testimonianza di un servo di Dio, espone la propria faccia agli insulti e agli sputi, la guancia a coloro che strappano la barba… senza alcun sostegno umano. Lo sguardo degli uomini attorno a lui sembra unanimemente negativo e giudicante. Si tratta di uno che perde la faccia, radicalmente e senza mezzi termini.

Se un politico ci mette la faccia, perché sa che ci sarà qualcuno che lo difenderà, sa di avere consenso e dunque forza, invece questo servo sembra assolutamente solo e indifeso. È come se quest’uomo avesse scelto di accettare la propria debolezza, di non averne più paura e dunque di non difendersi più dagli occhi indagatori e accusatori degli uomini. Ma da dove trae costui la sua fiducia, il suo potere se non c’è nessuno che lo segue, lo difende o almeno lo compatisce? Lo afferma egli stesso dicendo di sapere di non restare deluso, perché il Signore Dio lo assiste. Questa è l’esperienza di un profeta, ossia di uno che ha dato a Dio talmente tanto spazio nel suo cuore, che non ha più paura della propria debolezza, l’ha accolta e accettata e ha imparato ad esporsi per amore. Egli infatti sa che l’ultima parola non appartiene al potere umano, cioè al sostegno degli altri uomini, ma appartiene solo a Dio.

È questa anche la logica esigente e fiduciosa di Gesù, che affronta con coraggio il suo cammino verso Gerusalemme, in cui subirà proprio il destino del misterioso servo di Isaia. Egli sa di non avere protettori potenti, sa di non poter contare su gruppi armati, su eserciti, su partiti ecc. ma solo sulla forza di Dio e del suo amore, che si esprime misteriosamente nella resurrezione. È una forza che non opera attraverso mezzi umani o naturali, che non scardina gli equilibri di potere in modo meccanico, che non si esprime in forma magica per impedire in extremis il disastro e condurre la storia al lieto fine. È una forza che più radicalmente può trasformare il male, in un bene più grande, anche se misterioso e in parte invisibile, come l’amore.

È la forza dei martiri: di persone come d. Pino Puglisi, di cui è stato commemorato il 25esimo anniversario. Non era un prete antimafia, era un parroco e basta. Un prete normale che nel suo desiderio di aiutare i ragazzi si è trovato davanti a forze più grandi di lui. E ha scelto di non avere paura. Di parlare chiaro. Di essere un segno, magari debole, ma non ambiguo. Hanno vinto i mafiosi? Apparentemente si, perché d. Pino è stato assassinato. In realtà no, perché d. Pino è e sarà sempre modello in grado di ispirare ed educare tutte le future generazioni!

Questa è la forza della resurrezione, una forza che ci attraversa già e che opera nella storia. Non è qualcosa di eccezionale, anche se ho citato una personalità eccezionale, come quella di Pino Puglisi. Essa infatti si trova all’opera in ciascuno di noi: quando nel lavoro ci comportiamo con generosità, guardando più al fine comune del nostro lavoro che alla carriera personale; quando nel sociale ci comportiamo con onestà, anche se in molti casi avremmo comode occasioni per agire a nostro vantaggio senza troppe ripercussioni; quando nelle relazioni cerchiamo sempre la strada della riconciliazione e del bene, anche se fare il primo passo appare costoso e forse ingiusto.

In tutti questi casi la resurrezione è già all’opera nel nostro cuore, e ci dona la libertà e la fantasia di agire solo per amore.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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