Lezione IX

 

 

IX giorno

 

 

9. APPROCCI ARCHEOLOGICI E STORICI ALLA BIBBIA (CFR. G. FISCHER CONOSCERE LA BIBBIA. UNA GUIDA ALL’INTERPRETAZIONE. EDB 2013, 97 – 103) E GEOGRAFIA DELLA PALESTINA
Per la storia biblica si veda il libro di Mazzinghi
Per la geografia biblica si considerino alcuni temi di fondo:
– le grandi vie di comunicazione e il ruolo della mezzaluna fertile e dell’Egitto in Canaan.
– le divisioni geografiche dovute al mare e alle catene montuose e al deserto
– il tema dell’acqua (pozzi, fonti, cisterne)
– le tende e il nomadismo e la graduale conquista della terra promessa
– l’agricoltura (grano, olio, vite)
– la divisione politico-culturale in Giudea, Samaria e Galilea.

Video con informazioni sulla geografia biblica:
Canale youtube: SatelliteBibleAtlas (in inglese); la Bibbia c’è (in italiano)

10. COMMENTO DEI VERBUM 18. Il KERIGMA COME FONDAMENTO DEI VANGELI E DI TUTTO IL NT
DEI VERBUM 18
18. A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, in seguito, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti che sono il fondamento della fede, cioè l’Evangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni (31).
Con il termine kerigma si intende in generale l’annuncio che compie il disegno di Dio nella storia e porta la salvezza. Ripercorrendo le tracce del verbo corrispondente, kerysso e anche di altri verbi che fanno parte del campo semantico dell’annunciare/testimoniare nel nuovo testamento (apanghello, martyreo, laleo, euanghelizomai) si ottiene un quadro complessivo dei termini tecnici dell’annuncio, che ci permette di chiarire meglio cosa il Nuovo Testamento e i Vangeli, intendono a riguardo di ciò che comunemente indichiamo con il termine kerigma.

Non possiamo ovviamente seguire nel dettaglio tutte le ricorrenze di questi verbi. Rimandiamo per questo ai dizionari esegetici e teologici del nuovo testamento. A noi interessa costruire un percorso tematico, selezionando quelle ricorrenze “tecniche” riguardanti l’annuncio della salvezza.

Il kerigma prepasquale del Regno di Dio
Anzitutto si deve affermare che l’annuncio che i vangeli riportano è collegato al Regno di Dio. È un annuncio del Regno, introdotto dalla predicazione penitenziale del Battista (cf. Mc 1,4) e portato a compimento da Gesù nella sua predicazione, sinteticamente riportata da Marco in 1,14: <<Dopo che Giovanni fu consegnato, Gesù venne in Galilea, annunciando (kerysson) il Vangelo di Dio e dicendo: “Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo>>”. Questo annuncio del Regno è caratterizzato da un “riempimento” del tempo (kairòs), che diviene tempo maturo e opportuno per la presenza di Dio. Tale presenza si caratterizza come un dominio, un governo di Dio sulla storia e sul mondo (Regno di Dio), che ormai si è fatto vicino e le conseguenze di tale vicinanza sono realmente presenti e comportano una trasformazione degli uditori di Gesù, un cambiamento di mentalità (conversione) e l’accendersi di una nuova visione delle cose (fede). Tale annuncio comporta una vittoria contro il male, che viene segnalata emblematicamente dagli esorcismi praticati da Gesù, che <<nelle sinagoghe per tutta la Galilea annunciava (kerỳsson; ta daimònia ekbàllon) e scacciava i demoni> ( (cf. 1,39).
Anche in Matteo Gesù annuncia quello che sinteticamente viene definito come “Vangelo del Regno” (Mt 9,35).
In Luca questo annuncio che Gesù compie è più elaborato teologicamente. Si tratta di un compiersi delle promesse messianiche contenute soprattutto nel profeta Isaia, che programmaticamente Gesù legge nella sinagoga di Nazareth: <<Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia e aperto il rotolo, trovò il luogo dove era scritto: “Lo spirito del Signore è su di me, con esso egli mi ha unto di olio e mi ha mandato ad evangelizzare (euanghelìsasthai) i poveri, ad annunciare (kerỳxai) la liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi e ad annunciare (kerỳxai) un anno di grazia del Signore”>>. La concentrazione di verbi legati all’annuncio e all’evangelizzazione mostra che qui è in atto una reinterpretazione globale di tutto l’annuncio compiuto da Gesù, in questo quadro introduttivo del suo ministero. Egli è il messia, l’unto, dello Spirito Santo, che compie i segni di liberazione e guarigione promessi dalle Scritture profetiche, annunciandoli non solo a parole ma con la potenza trasformatrice dello Spirito. Si tratta di segni connessi alla restituzione della vista dei ciechi, alla liberazione dei prigionieri e degli oppressi e al richiamo al giubileo, inteso come anno in cui le terre sono finalmente restituite a chi le aveva perdute per debiti, secondo la legge del Levitico.
Questi segni kerigmatici (col verbo apanghello) vengono maggiormente dettagliati da Luca in 7,22 (cf. par. Mt 11,4) dove gli emissari di Giovanni il Battista chiedono a Gesù se sia veramente lui il messia e Gesù risponde compiendo in quello stesso momento ciò che egli annuncia a parole, ossia ciò che era stato profetizzato da Is 35,5-6, e cioè che <<i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti resuscitano, i poveri sono evangelizzati>>. Come si può notare, tutti i miracoli compiuti da Gesù in quel momento e anche precedentemente narrati dall’evangelista Luca vengono complessivamente riassunti nel quadro della manifestazione messianica, in cui Gesù si mostra come colui che è dotato di Spirito Santo e perciò in grado di realizzare quei segni che evidenziano il compimento delle Scritture di Israele e l’avvento definitivo del Regno di Dio nella sua persona.
Qui non è ancora in gioco la Pasqua di morte e resurrezione di Gesù: si tratta di un kerigma prepasquale che riguarda il Regno di Dio e la sua realizzazione nella storia umana attraverso segni efficaci, che mostrano la presenza di Dio e la potenza dello Spirito Santo agire nel messia Gesù. Tali segni non sono comunque capaci di imporsi senza escludere possibili contestazioni o incomprensioni, anzi suscitano l’opposizione dei nemici di Gesù, che vogliono per questo farlo fuori, affermando che Gesù scaccia i demoni per opera del principe dei demoni.
Tutto questo, secondo l’evangelista Matteo, non accade casualmente, ma è ancora una volta compimento della profezia di Isaia (Is 42,1-4), per il quale il servo non risponde alle contese, non urla né fa udire la sua voce in piazza, né spegne il lucignolo fumigante o spezza la canna incrinata. Egli è il servo mite e umile che lascia che la sua parola e il suo messaggio di speranza siano equivocati e attaccati violentemente dagli avversari, e in tal modo compie un annuncio di giudizio non solo ad Israele, ma a tutti i popoli (cf. Mt 12,15-24).

Il kerigma pasquale
Questo riferimento al servo sofferente di Isaia introduce l’annuncio di morte e resurrezione, compiuto da Gesù attraverso le parole del quarto canto del servo e ricapitolato anticipatamente dal gesto della donna che versa sul capo di Gesù dell’unguento profumato di gran valore (Mt 26,6-13) e che viene interpretata da Gesù come una testimonianza pasquale (Mt 26,13 par.): <<In verità io vi dico, quando verrà annunciato (kerychthè) questo Vangelo in tutto il mondo, sarà raccontato (lalethèsetai) anche ciò che ella ha fatto, in suo ricordo>>.
Il kerigma è a questo punto un vero e proprio annuncio della passione e morte di Gesù Cristo. Esso va strettamente congiunto con l’annunzio della resurrezione, che saranno le donne a fare per prime (cf. Lc 24,9 e Mt 28,8; cf. apèngheilan). L’evangelista Luca elabora teologicamente questo annuncio attraverso le prime apparizioni ai discepoli, per integrarlo in un annuncio pasquale nella sua globalità, che comprende la passione del Cristo, la sua resurrezione il terzo giorno e l’annuncio della remissione dei peccati nel suo nome a tutte le genti (cf. Lc 24,47). Esso viene ripreso e compiuto nel libro degli Atti, la seconda parte dell’opera lucana, dagli apostoli. Si confronti ad esempio il discorso di Pietro al centurione Cornelio e a tutta la sua famiglia (cf. At 10,34-43), in cui l’annuncio è insieme una testimonianza (kerỳxai to laò kai diamartỳrasthai) della resurrezione di Gesù e della sua qualità di giudice dei vivi e dei morti.
La teologia dell’annuncio lucana riprende narrativamente quella paolina, cronologicamente antecedente, esposta con chiarezza in particolare in 1 Cor 15, in cui Paolo riconsegna ai suoi lettori una tradizione che egli stesso ha ricevuto dalla tradizione apostolica e che concerne la morte e resurrezione di Gesù il terzo giorno secondo le Scritture (cf. 1Cor 15,11-12).
L’annuncio di Gesù morto, risorto ed esaltato alla destra del padre diviene nella Lettera ai Filippesi un itinerario più globale di discesa e di risalita, in cui <<Cristo Gesù, pur condividendo la forma di Dio, non considerò un possesso geloso questa uguaglianza con Dio, ma spogliò sè stesso, assumendo la forma di servo>> (Fil 2,6-7). Dopo l’incarnazione, la discesa di Gesù giunge al culmine con la morte in croce, e da qui risale nella forma di un innalzamento ad opera di Dio (cf. vv.8-11).
Questo itinerario viene maggiormente elaborato narrativamente nell’opera giovannea, che esaminiamo nel paragrafo seguente.

Il kèrigma del Figlio preesistente e donato dal Padre
Non ci sono nell’opera giovannea i termini tecnici dell’annuncio che troviamo nei sinottici o in paolo (come martyreo o apanghello). Si trova una sola ricorrenza di apanghello, in un contesto in cui Gesù parla ai suoi discepoli della rivelazione del Padre (cf. Gv 16,25) e che ci aiuta a comprendere il kerigma giovanneo come un dono e una manifestazione resa possibile dall’invio del Figlio da parte del Padre.
In Giovanni troviamo piuttosto i verbi martyrein e lalein, Con particolare pregnanza nel contesto del discorso di Gesù al fariseo Nicodemo troviamo una sintesi efficace della teologia giovannea dell’annuncio: <<In verità in verità io ti dico noi diciamo (lalumen)ciò che sappiamo e testimoniamo (marturumen) ciò che abbiamo visto, ma voi non accogliete la nostra testimonianza>>( 3,11). Questa testimonianza comporta un innalzamento del Figlio dell’uomo, sul modello del serpente nel deserto (cf. v. 14) che rivela un dono e una consegna: << Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo figlio unigenito, perché chi crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna>> (3,17). Il figlio dell’uomo, parola preesistente nel seno del Padre, è stata inviata, si è fatta carne ed è stata successivamente innalzata nell’ora della gloria, per rivelare l’amore del Padre e donare la salvezza.
Anche nella prima lettera di Giovanni questo annuncio è formulato a partire dal mistero stesso dell’incarnazione del Verbo divino (cf. 1Gv 1,1-4)
Questa teologia dell’annuncio giovannea, dipende da una visuale cristologica dall’alto, che considera cioè il mistero della persona di Cristo, non a partire dalla sua vicenda ministeriale, fino ad arrivare alla passione-morte e resurrezione, ma a partire dalla sua preesistenza.

10. 1 Cristologia dal basso e dall’alto
Con la locuzione cristologia bassa o dal basso si intende l’elaborazione di un pensiero sistematico su Gesù Cristo a partire dalla sua storia di uomo, della stirpe di Israele, proveniente da Nazareth di Galilea, che dopo il battesimo al fiume Giordano da parte del Battista ha cominciato un ministero di carattere profetico e apocalittico, particolarmente incentrato sulla sua persona. Emergono in particolare il suo misterioso rapporto con IHWH, il Dio d’Israele, da lui chiamato in modo scandalosamente confidenziale abbà, i miracoli da lui compiuti, come segni messianici che adempiono le antiche profezie, e il suo continuo richiamo rivolto ai discepoli, soprattutto a partire da un certo momento in poi, della necessità della sua morte in croce che sarebbe avvenuta a Gerusalemme per il rifiuto dei capi del popolo. Il compimento di tale cristologia è nel mistero della resurrezione, che svela ai discepoli il mistero del Figlio di Dio, morto e risorto secondo le Scritture. Una cristologia dal basso si occupa quindi, a partire dal mistero pasquale, di identificare nella storia di Gesù come uomo i segni della sua identità di Figlio di Dio. Un esempio di cristologia dal basso è il vangelo di Marco.
Per cristologia alta o dall’alto si intende una dottrina su Gesù Cristo elaborata a partire dal suo mistero immanente di Figlio di Dio, Parola di Dio coeterna al Padre, prima della creazione, poi incarnatosi in un dato momento storico nel seno della vergine Maria e la cui vicenda umana si compie definitivamente nel mistero pasquale della morte resurrezione e ascensione in cielo. Un esempio di cristologia alta è il Vangelo di Giovanni o gli inni delle lettere agli Efesini e ai Colossesi. (Ef 1,3-14; Col 1,15-20).

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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