Ognuno di noi ha un nome che è come un pezzetto della propria identità, a forza di sentirlo pronunciare, con amore, dalle persone care.
Anche Dio ha un nome, sapete quale? Trinità? No, quella è piuttosto una definizione teologica. Il vero nome di Dio è quello rivelato a Mosè sul monte Sinai: Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore. Il suo Nome è quello dell’amore, che ha tante sfumature.
La sfumatura della Misericordia, che è una tenerezza viscerale, con una sfumatura di possessività, in particolare verso chi è in pericolo.
La sfumatura della Pietà, che amore gratuito, fontale e libero verso le sue creature.
È un amore lento all’ira: sa aspettare, avere pazienza davanti alla testardaggine dell’uomo e alle mille complicazioni del suo cuore.
È un amore che agisce, uscendo fuori verso il mondo. Così dice infatti il Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito”. Egli è uscito fuori da sé stesso, donandoci Suo Figlio, per venire incontro a noi, per unirci a Lui, in una piena e totale comunione d’amore. Questo noi lo viviamo in ogni messa, già a partire saluto iniziale: la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi. Ecco la trinità…non tanto in una definizione teologica, ma nel movimento d’amore che ci coinvolge nella nostra vita e che si manifesta nella comunione concreta della nostra comunità.
Cosa ci impedisce questa comunione?
Le chiacchere, come dice il Papa, sono come il terrorismo: distruggono, svuotano e scoraggiano. Soprattutto allontanano le persone dalla comunità, perché ne fanno emergere un volto distorto, gonfiato. Le chiacchere sono voci che si alimentano e si ingigantiscono, fino a far scomparire i fatti e la realtà. Siamo tutti responsabili di quello che diciamo degli altri e della nostra comunità. A volte ci sono persone ferite, che si portano dei problemi interiori e che invece di rendersi conto che la chiave per risolverli sta dentro di loro, li proiettano all’esterno, dicendo male di quello e di quell’altro e della comunità parrocchiale. Altre volte sono delle lamentele, magari anche giuste, che però vengono sfogate un po’ dietro le spalle, sottovoce, senza avere il coraggio di porre i problemi sul tavolo.
La comunione è invece frutto di libertà, apertura, coraggio di affrontare anche i punti deboli, ma con carità, nel modo giusto, con uno stile di prudenza e rispetto, con concretezza, senza eccessi verbali o protagonismi personali. Questa comunione è dono dello Spirito Santo, frutto dell’amore del Padre e del Figlio. La chiediamo oggi nella nostra preghiera comunitaria.
Infine continuiamo a cercare una prospettiva di comunione anche per la nostra città, oggi al voto amministrativo. Come comunità parrocchiali non lasciamoci strumentalizzare e dividere, come se ci fossero parrocchie di sinistra o di destra! A tutti coloro che si impegnano in politica da cristiani si chiede la testimonianza di uno stile di sobrietà, capace di puntare più sui contenuti e sulla competenza che sulla propaganda. E, soprattutto, pur nella legittima dialettica delle scelte concrete, si chiede il rispetto dell’avversario e la disponibilità a unirsi, al di là delle divisioni partitiche, sui valori della fraternità verso ogni uomo e della solidarietà concreta con chi ha più bisogno.
