Lezione 20.10

 

. COMMENTO A DV 7: SCRITTURA E SCRITTURE

DEI VERBUM 7

  1. Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale (8), comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza (9).

Gli apostoli poi, affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi « affidando il loro proprio posto di maestri » (10). Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell’uno e dell’altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com’egli è (cfr. 1 Gv 3,2).

 

La seconda lettera a Timoteo presenta Paolo consapevole di aver ormai portato a termine la sua missione di apostolo. Ora egli sente il dovere di trasmettere l’ufficio della predicazione e della custodia del deposito ( parathēkē. “bene prezioso” trad. CEI 2008 cfr. 1, 13 – 14). Non si tratta ancora di un quadro formalizzato di proposizioni vere, come il catechismo che la Chiesa ha elaborato negli ultimi secoli, ma di un impasto, un amalgama vitale tra verità di fede, trasmesse oralmente e per iscritto (cfr. inno cristologico 1, 9 – 10), e di esperienza nella fede, consolidata attraverso la prassi dei sacramenti e dei vari ministeri, nelle comunità cristiane di origine paolina. Questo deposito della fede, che scaturisce dal vangelo vissuto nelle comunità paoline, è ciò che Timoteo è incaricato di custodire, avendo come norma e modello di riferimento per la sua predicazione la parola di Paolo, ispirata alla fede e all’amore di / per Gesù Cristo.

Ci troviamo dunque ad un passaggio fondamentale della comunità cristiana, attestato nella Scrittura canonica, dalla generazione apostolica, di cui Paolo fa parte, alla generazione immediatamente successiva (cfr. anche 1 Tm; Tt). È di fondamentale importanza riflettere ulteriormente su questo passaggio e su ciò che comporta in relazione alla Scrittura stessa e alla comprensione della sua canonicità (cfr. DV 7).

In questo passaggio di consegne tra una generazione e l’altra si trasmette tutto ciò che serve a mantenere integro e custodire questo deposito della fede, ossia l’insieme delle verità e dell’esperienza consolidata di fede della comunità cristiana. Si tratta di una trasmissione vitale, che deve tenere per riferimento e modello la predicazione apostolica, che è l’elemento fondante e generativo di tale deposito. In questo processo di trasmissione diviene necessario ancorare la predicazione di colui che ha il dono dello Spirito per la preservazione del deposito, sulla Scrittura. È importante che chi ha ricevuto questo carisma di verità per l’imposizione delle mani dell’Apostolo, sappia fondarsi su una Parola che ha a che fare con lo Spirito stesso di verità, la Scrittura (cfr. 2 Tm 3, 16). “Tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui l’hai appreso e conosci le Sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” ( 2 Tm 3, 15 -16 trad. CEI 2008)

Sono due gli elementi su cui vorrei soffermarmi a proposito di questo importante versetto della lettera.

  1. L’aggettivo “ispirata da Dio”, che si può anche tradurre come “spirante Dio”.
  2. L’identità di questo termine “ tutta la Scrittura” o “ogni scrittura”.
  3. questa definizione è complessa e non facile da chiarire. L’aggettivo verbale che viene qui usato in greco può esprimere una voce passiva ma anche attiva. Se il verbo è da intendersi al passivo allora più chiaramente il termine Dio può essere un complemento d’agente, e dunque si può tradurre “ispirata da Dio”. L’autore della lettera vorrebbe qui sottolineare l’intervento attivo di Dio che ha ispirato, ha reso possibile, col dono del suo Spirito, la creazione di quest’opera letteraria. Dio sarebbe quindi il vero autore, nel senso che l’origine ultima della Scrittura si deve al lavoro del suo Spirito. Oppure si può intendere l’aggettivo verbale all’attivo, nel senso che la Scrittura è essa stessa ispirante, ossia produce in chi la legge un’ispirazione che conduce a Dio stesso. È chiaro i due significati possono essere compresenti. Proprio perché ispirata da Dio la Scrittura porta a Dio chi la legge, nell’azione dello Spirito. Insomma l’azione dello Spirito non si limita al processo che ha portato alla stesura dello scritto, ma si prolunga nell’atto stesso della lettura, in cui chi la legge è portato a conoscere Dio e ad entrare in comunione con lui (la Scrittura è come uno spartito musicale dove c’è una tradizione di composizione e una di esecuzione). Ciò significa che la Scrittura ha una caratteristica duplice: da un lato attesta una rivelazione di Dio stesso, perché è ispirata da Dio, dall’altro prolunga la comprensione di questa rivelazione nel cuore di ogni credente di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché è ispirante. Si può notare allora una concezione dinamica della Scrittura, come un fenomeno che tiene insieme la fissità di un riferimento non estendibile ad altro (essa e solo essa è Scrittura) e l’elasticità di una comunicazione continua nella storia.

Una conferma di quanto detto risiede nelle applicazioni successive del v. 16. La Scrittura infatti è utile ad insegnare, convincere, correggere ed educare alla giustizia. Si tratta di compiti di carattere morale ed “anagogico”, che fanno parte dei sensi propri della Scrittura, come più tardi il medioevo formalizzerà ( littera gesta docet, moralis quid agas, quid credes allegoria, quid speres anagogia ). È un compito che si rinnova ad ogni generazione nella Chiesa in cui l’interpretazione della Scrittura deve fare i conti con la storia e con le esigenze della cultura che in quel tempo emergono tra gli uomini, con le loro domande e i loro dubbi. Qui l’operatività spirante della Scrittura attualizza, per mezzo del carisma apostolico di verità, il deposito del vangelo per ogni tempo e ogni luogo. Qui la Scrittura diviene “anima della teologia” (cfr. DV 24), fonte del pensiero morale e ispirazione della riflessione e della missione pastorale  della Chiesa ( cfr. Verbum Domini 73).

 

  1. altro punto da affrontare è cosa intenda l’autore per tutta la Scrittura. Anzitutto bisogna segnalare che l’espressione greca non è del tutto univoca. Essa si può intendere sia in senso globale, come “ tutta la Scrittura” sia in senso distributivo, come “ogni Scrittura”, ossia ogni passo della Scrittura. La seconda modalità è tuttavia implicata nella prima, infatti non potremmo intendere ogni versetto o passo o brano della Scrittura come Scrittura stessa, se non alla luce di una comprensione sintetica della Scrittura come totalità. È importante allora riconoscere che all’epoca della redazione neotestamentaria c’è una comprensione unitaria della Scrittura, anche se non conosciamo esattamente l’estensione di questo termine. È chiaro che l’espressione in esame si riferisce all’AT, dal momento che al v. 15 si fa riferimento agli ierà grammata, ossia all’educazione infantile alle Scrittura, praticata in Israele (Timoteo era ebreo di madre) e più tardi raccomandata dalla tradizione rabbinica fin dall’età di cinque anni (cfr. Pirque Abot 5, 21). A quali libri qui si faccia riferimento non è chiaro e può essere ipotizzato solo a partire da un’indagine più approfondita sul giudaismo ellenistico del I secolo. Comunque ciò che a noi importa è che nonostante la grande varietà di questi scritti (torà, profeti, libri storici, salmi e forse l’espressione include anche i libri sapienziali) c’è una comprensione unitaria di questa realtà, che non proviene semplicemente da un’assunzione dogmatica arbitraria della comunità paolina, ma dalla tradizione ebraica: essa è non solo lettera, ma lettera sacra, essa è Scrittura.

 

Mi sembra molto importante anche per noi. Riguardo alla Scrittura siamo davanti ad una pluralità enorme di fenomeni, quanto alle lingue, alle fonti, alle tradizioni, alle traduzioni, ai generi letterari e alle culture di riferimento.

  1. Quanto alle lingue vi sono nella Scrittura almeno tre lingue (ebraico, aramaico e greco). In greco sono state scritte alcuni libri che per la Chiesa cattolica sono parte dell’Antico Testamento, come il libro della Sapienza e il Siracide (che probabilmente aveva un originale ebraico); Dn 13 – 14; Giuditta; Est 9, 20 – 32 ). In aramaico vi sono parti del libro di Esdra e del libro di Daniele ( Dn 2, 5 – 7, 28 ).
  2. Quanto alle traduzioni antiche vi è anzitutto la grande traduzione greca della LXX. Poi ci sono altre traduzioni greche del testo ebraico (o testo masoretico), denominate Aquila, Simmaco e Teodozione, e che noi siamo in grado di ricostruire grazie all’esapla di Origene. Poi ancora esistono versioni siriache e copte dell’AT. Alcuni testi, come Geremia, presentano una traduzione greca molto diversa dal testo masoretico. Di altri testi, come il Siracide, sono state ritrovate parti in ebraico, probabilmente molto vicine all’originale ebraico di cui parla lo stesso autore. Alla domanda: “quale è in questo caso il testo originale, da considerarsi come ispirato?” è difficile rispondere. Bisogna probabilmente ammettere che il “testo originale” non è mai esattamente determinabile e che l’ispirazione è un processo che coinvolge tutti i passaggi attraverso i quali il testo si costruisce e si trasmette.
  3. C’è una certa varietà nel comprendere il canone. La tradizione ebraica non ha considerato al suo interno le parti scritte in greco, pure presenti nella tradizione alessandrina della traduzione dei LXX. La tradizione cristiana ha per lungo tempo oscillato tra un canone ristretto di tipo ebraico (lista di Atanasio) e il canone allargato (lista di Agostino). Quando le comunità protestanti hanno optato per il canone ristretto la Chiesa cattolica riunita a Trento ha dogmatizzato il canone allargato.

Dal punto di vista del fenomeno, la Scrittura sembra sbriciolarsi in un insieme variegato ed estremamente disomogeneo di Scritture.

Da tutta questa complessità e varietà come può emergere l’unità del fenomeno della Scrittura?

Due sono gli elementi da sottolineare.

  1. L’unità fa parte di un processo attestato nella stessa tradizione giudaica, come sottolinea 1 Tm 3, 15 e non imposto arbitrariamente dagli Apostoli.
  2. Tenendo conto del fatto che questa stessa lettera (cfr. anche 2 Pt) è poi riconosciuta parte del canone scritturistico, allora si può dire che qui la Scrittura testimonia di se stessa di essere parte della Tradizione fondante degli Apostoli e come tale si consegna al lettore nell’atto stesso in cui la tradizione apostolica cede il passo a quella successiva. Il riconoscimento del canone non avviene fuori della tradizione.

Quindi il riconoscimento della canonicità della Scrittura, dogmatizzato definitivamente a Trento, è un’operazione che parte dall’esperienza di fede della Chiesa, radicata nella tradizione del popolo ebraico e fondata attraverso la predicazione e l’insegnamento degli Apostoli. Non si tratta di elaborare a priori un principio che permetta di distinguere ciò che è canonico da ciò che non lo è, ma di riconoscere che la storia e l’identità della Chiesa è profondamente connessa all’unità di un libro, la Scrittura, in cui la Chiesa stessa si riconosce e cresce rileggendolo alla luce della sua storia (cfr. DV 7 – 8).


3. IL CANONE DELLE SCRITTURE

3. 1 Canone Ebraico

Il canone dei libri sacri per gli ebrei comprende in definitiva 24 libri (il numero però diventa 39 contando separatamente i dodici profeti minori, i due Libri di Samuele, i due Libri dei Re, Esdra e Neemia, e i due Libri delle Cronache, ma il numero 24 è legato maggiormente alla tradizione).

תורה Torah (Legge):

  1. בראשית (Bereshìt, in principio) – Genesi 2. שמות (Shemòt, nomi) – Esodo 3. ויקרא (Wayqrà, e chiamò) – Levitico 4. במדבר (Bemidbàr, nel deserto) – Numeri 5. דברים (Devarìm, parole) – Deuteronomio נביאים

Nevi’im (Profeti):

 נביאים ראשונים (Neviìm rishonim, profeti anteriori)

  1. יהושע (Yehoshua) – Giosuè 7. שופטים (Shofetìm) – Giudici 8. שמואל (Samuèl) – Primo e Secondo libro di Samuele 9. ספר מלכים (sèfer malchìm – Libro dei re) – Primo e Secondo libro dei Re

נביאים אחרונים (Neviìm aharonim, profeti posteriori)

10.ישעיהו (Ysha’ihàu) – Isaia 11. ירמיהו (Yermihàu) – Geremia 12. יחזקאל (Yehzqè’l) – Ezechiele 13.

תרי עשר (Terè ‘asàr, dodici in aramaico), comprendente i libri che sono detti dodici profeti minori (o ‘dodici’ o ‘profeti minori’):

הושע (Hoshè’a) – Osea

יואל (Yoèl) – Gioele

עמוס (Amòs) – Amos

עובדיה (Obadiàh) – Abdia

יונה (Yonàh) – Giona

מיכה (Mikà) – Michea

נחום (Nahùm) – Naum

חבקוק (Habaqqùq) – Abacuc

צפניה (Zefanyàh) – Sofonia

חגי (Haggài) – Aggeo

זכריה (Zekaryàh) – Zaccaria

מלאכי (Mal’aki) – Malachia

כתובים Ketuvim (Scritti):

  1. תהילים (Tehillìm) – Salmi 15. איוב (Iòb) – Giobbe   16. משלי (Mishlè) – Proverbi

חמש המגילות (Hamesh meghillot, cinque rotoli) comprendente

  1. רות (rut) – Rut 18. שיר השירים (Shìr hasshirìm)-Cantico dei cantici  19. קהלת (Qohèlet) – Qoelet detto anche Ecclesiaste    20. איכה (Ekàh) – Lamentazioni   21. אסתר (Estèr) – Ester

22.דניאל (Dani’èl) – Daniele 23. עזרא (Ezrà) – Esdra; נחמיה (Nehemyàh) – Neemia 24. דברי הימים (Debarè hayomim – Cose dei giorni) – Primo e Secondo libro delle Cronache

Secondo la tradizione giudaica i libri sono raggruppati fino a formare appunto un totale di 24. Il numero corrisponde alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, a ognuna delle quali corrisponde un libro (א Genesi, ב Esodo…). La yod י, iniziale del nome di Dio, è associata a 3 libri.

 

3. 2 Canone greco

Le prime comunità cristiane hanno usato, nel culto liturgico e come riferimento per la compilazione dei testi del Nuovo Testamento, la traduzione greca dell’Antico Testamento (termine coniato dalla tradizione cristiana) iniziata ad Alessandria d’Egitto nel III secolo a.C. e terminata nel I secolo a.C. La maggioranza delle citazione dell’Antico Testamento presenti nel Nuovo Testamento seguono la Settanta greca.

La Settanta comprende anche altri testi prodotti nella diaspora alessandrina complessivamente tra il IV-I secolo a.C. chiamati nella tradizione cattolica deuterocanonici (apocrifi in quella protestante, che non li comprende all’interno del suo canone). Il numero complessivo dei libri dell’antico testamento tradizione cattolica – ortodossa è di 46.

I libri deuterocanonici sono: Giuditta; Tobia; Primo libro dei Maccabei; Secondo libro dei Maccabei; Sapienza (Ultimo libro dell’Antico Testamento); Siracide; Baruc; Lettera di Geremia; aggiunte a Daniele (Susanna; Bel e il Dragone ); aggiunte a Ester; Odi; Salmi di Salomone.

Anche la disposizione dei libri è diversa nella Settanta:

Genesi; Esodo; Levitico; Numeri; Deuteronomio

Giosuè; Giudici; Rut; I-II-III-IV Re; I – II Paralipomeni (o libri delle Cronache); Esdra I (Deuterocanonico); Esdra II (Esdra – Nehemia); Ester; Giuditta; Tobia; I – II – III – IV Maccabei.

Salmi; Odi; Proverbi; Ecclesiaste; Cantico; Giobbe; Sapienza di Salomone; Siracide; Salmi di Salomone; Osea; Amos; Michea; Gioele; Abdia; Giona; Nahum; Abacuc; Sofonia; Aggeo; Zaccaria; Malachia; Isaia; Geremia; Baruch; Lamentazioni; Lettera di Geremia; Ezechiele; Susanna; Daniele; Bel e il Dragone.

Qualche osservazione ulteriore: Giosuè – Giudici – I – II – III – IV Re, non sono considerati nell’ambito della raccolta profetica, ma sono considerati libri storici. I profeti sono posti al termine di tutta la raccolta e il libro di Daniele è considerato profetico e chiude tutta la raccolta con un accento di carattere apocalittico. III – IV Maccabei; Esdra I;  Odi; Salmi di Salomone non sono stati accolti nel Canone Cattolico del Concilio di Trento.

 

3.3. Canone del Nuovo Testamento

A partire dal IV secolo questo è l’elenco dei 27 testi accolti nel NT secondo tutte le confessioni cristiane:

Vangelo secondo Matteo; Vangelo secondo Marco; Vangelo secondo Luca; Vangelo secondo Giovanni

Atti degli Apostoli

Lettere di Paolo: Lettera ai Romani; Prima lettera ai Corinzi; Seconda lettera ai Corinzi; Lettera ai Galati; Lettera agli EfesinI; Lettera ai Filippesi; Lettera ai Colossesi;  Prima lettera ai Tessalonicesi; Seconda lettera ai Tessalonicesi; Prima lettera a Timoteo; Seconda lettera a Timoteo; Lettera a Tito; Lettera a Filemone

Lettere cattoliche: Lettera agli Ebrei (attribuita da diversi autori antichi a Paolo);  Lettera di Giacomo; Prima lettera di Pietro; Seconda lettera di Pietro; Prima lettera di Giovanni; Seconda lettera di Giovanni; Terza lettera di Giovanni; Lettera di Giuda; Apocalisse di Giovanni.

Lutero considerò la lettera agli Ebrei, le lettere di Giacomo, di Giuda e l’Apocalisse di qualità inferiore dal punto di vista canonico.

 

3.4 Significato degli aggettivi seguenti: anonimo, apocrifo, autentico e pseudoepigrafo in rapporto agli scritti del NT.

Uno scritto è detto anonimo se l’autore di esso non è conosciuto. Ad esempio la lettera agli Ebrei, anche se da una tradizione tarda è stata attribuita a Paolo, in realtà è uno scritto anonimo.

Uno scritto è detto apocrifo se non ne è riconosciuto il carattere ispirato da parte della Chiesa e pertanto è escluso dal canone della Scrittura. Ad esempio la lettera di Clemente romano ai Corinzi, che nei primi secoli della Chiesa faceva parte degli scritti letti in Chiesa per la liturgia e veniva indicata negli elenchi dei libri considerati sacri, come ad esempio nel canone muratoriano, è un documento apocrifo.

Uno scritto è detto pseudoepigrafo se, pur essendo stato scritto da un’autore anonimo, è stato per volontà dello stesso autore attribuito alla paternità di un altro autore importante, come un apostolo. Le lettere agli Efesini e Colossesi, come pure 2 Ts sono pseudoepigrafe, perché attribuite a Paolo da autori posteriori che si sono posti sotto la paternità dell’apostolo. Anche Apocalisse è uno scritto pseudoepigrafo…

Un documento è detto autentico se non vi sono motivi sufficienti per ritenere che l’attribuzione tradizionalmente tramandata sia da considerarsi discutibile e dunque la paternità dello scritto è universalmente accettata. La lettera ai Romani, così come Gal, 1 Ts, 1 – 2 Cor, Fil, Fm sono considerati scritti autentici.

 

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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