Lc 10,25-37
Il buon samaritano
Il messaggio nel contesto
IMPORTANTE: questa breve contestualizzazione e spiegazione del brano evangelico serve da preparazione remota per l’accompagnatore, prima dell’incontro. Si tratta di mettersi in preghiera personalmente, leggere il brano evangelico e poi approfondirlo con attenzione. Le considerazioni svolte sotto non sono da “ripetere” ai partecipanti, ma da tenere presente durante l’incontro.
Non è ancora terminato il dialogo con i suoi discepoli, che entra in scena un dottore della legge e pone una domanda a Gesù, con l’intenzione di metterlo alla prova. Non dobbiamo infatti dimenticare che Gesù sta viaggiando verso Gerusalemme, dove i sacerdoti e i dottori della legge (due funzioni spesso sovrapponibili nella stessa persona) saranno tra i principali responsabili della sua condanna a morte. In questo contesto Gesù si comporta da vero maestro, ribattendo alla domanda del dottore” cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”, con una ulteriore domanda: “Nella Legge cosa è scritto? Come reciti?”. Se l’eredità si riferisce alla condizione del figlio, in questo caso il popolo che è entrato nell’alleanza con il Suo Dio (cf. Es 4,22-23), allora è implicito il riferimento alla recita quotidiana dello shemà Israel, ossia Dt 6,4-5: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.” Nei Vangeli troviamo un’aggiunta: “con tutta la tua mente”, per completare la descrizione dell’uomo: il cuore, centro delle decisioni, l’anima come sede dei sentimenti, la forza come ambito della volontà e infine la mente come organo dell’intelligenza: l’amore verso Dio si esercita con la totalità dell’uomo e delle sue funzioni, nessuna esclusa.
Inoltre solo il Vangelo di Luca riporta l’amore del prossimo (cf. Lv 19,18) collegato allo shemà Israel, come se fossero un unico comandamento, senza separazioni. Esso si trova in bocca al dottore della Legge, come se questa saldatura non fosse una novità portata da Gesù, ma fosse in certo modo ovvia anche per la concezione ebraica del tempo.
Gesù approva questa risposta del dottore (v. 28) e lo invita a mettere in pratica la sua concezione. È a questo punto che il dottore, volendo probabilmente trarsi d’impaccio per aver posto una domanda di cui sapeva già la risposta, prosegue con una questione delicata e controversa: “Chi è il mio prossimo?”. Nella tradizione giudaica il prossimo è in primo luogo colui che condivide il patto di alleanza con Dio, ossia il membro del popolo di Dio. Si possono dunque amare allo stesso modo tutti gli altri uomini, i samaritani e i pagani?
Che questa questione sia intesa dal narratore è provato anche dai personaggi della parabola, che sono tre: un sacerdote e un levita, entrambi membri a pieno titolo del popolo di Israele, e infine un samaritano. Vi è in questa parabola un completo ribaltamento, che sarà esplicitato dalla risposta finale del dottore (v. 37): non solo emerge che il prossimo è un samaritano e non un membro del popolo eletto, ma si ribalta il concetto stesso di prossimo, che non è più il destinatario dell’amore, ma colui che lo esercita. La vera domanda, per Gesù, non sta nel chiedersi chi è il mio prossimo, ma se io mi faccio concretamente prossimo di qualcuno. Il punto di vista della parabola è infatti quello della vittima, di colui che è stato derubato e percosso dai briganti, che non sa come mai il sacerdote e il levita abbiano proseguito lungo la strada (forse per non contaminarsi con il sangue in vista del culto?), ma conosce bene i gesti di compassione del samaritano, che vengono descritti con cura, come se fossero osservati molto da vicino (vv. 34-35). Questi gesti sono il segno concreto della misericordia che il samaritano ha provato verso quest’uomo (vv. 33). Lui è il modello di colui che si fa prossimo ed è una figura di Cristo stesso, che ha pagato di persona, con la sua vita, morte e resurrezione, per curare le piaghe di ogni uomo. L’amore e la misericordia sono più nel fare che nel parlare e il dottore della legge è invitato a non perdere troppo tempo in discussioni teoriche e a comportarsi come il samaritano.
Come realizzare concretamente l’incontro?
Collocazione spaziale: è bene curare particolarmente la collocazione spaziale dei partecipanti all’incontro. È opportuno scegliere configurazioni geometriche che favoriscano la percezione dei partecipanti di trovarsi coinvolti allo stesso livello e senza distinzioni gerarchiche con gli accompagnatori (meglio un cerchio di sedie che un tavolo “da relatore” con le file di sedie davanti)
durata: 1h (tutte le indicazioni temporali sono puramente indicative dei rapporti che dovrebbero stabilirsi tra le fasi dell’incontro, ma non sono da prendere alla lettera)
- Ricordiamo la vita. (15 minuti)
Come vivo la misericordia, la esperimento su di me? La vivo nei confronti degli altri?
Questa domanda ha l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti al gruppo di preghiera a partire dalla loro vita. Deve essere posta in modo molto informale e quasi naturale, come se l’incontro non fosse ancora iniziato realmente. L’accompagnatore sa invece che con questa domanda i partecipanti iniziano a condividere le loro esperienze dentro al contesto interpretativo del racconto evangelico. La domanda contribuisce a mettere il partecipante nella posizione dei servi della parabola.
- Leggere con attenzione il brano del Vangelo (almeno due volte) e soffermarsi su una parola che colpisce: Lc 10,25-37 (10 minuti)
La lettura può essere condivisa, un versetto a testa, perchè il tesoro della parola sia concretamente partecipato da tutti, allo stesso livello. Poi si danno cinque minuti per scegliere una parola che colpisce l’attenzione e la curiosità di ciascuna persona e per condividerla, uno dopo l’altro.
- Iniziare un dialogo un pò più approfondito a partire dalla lettura (30 min)
Partendo dalla condivisione della parola si può invitare qualcuno, che sembra un pò più estroverso e a suo agio nel gruppo, ad esplicitare il “perchè” ha scelto quella parola. A questo punto si aiutano anche gli altri, ponendo delle domande, a condividere le loro impressioni e valutazioni.
Alcune domande possono essere poste, senza pretendere di seguire un ordine logico preciso, ma seguendo le intuzioni condivise dai partecipanti.
Può essere utile partire da domande riguardanti luoghi, personaggi, verbi. Si tratta non solo di aiutarli a comprendere il testo, ma anche a condividere la loro vita, identificandosi nei personaggi.
Ecco uno schema possibile di domande:
- Qual è il contesto geografico e narrativo del racconto evangelico?
Gesù è in viaggio e il contesto della parabola che egli racconta è un dialogo con un dottore della legge sulle condizioni della salvezza, ossia come ereditare la vita eterna. Chi eredita è il figlio e qui c’è in ballo la questione di cosa significa essere figli di Dio…qual è l’eredità che desidero?
- Chi sono i personaggi della parabola, cosa fanno?
-Il povero viandante viene percosso e lasciato mezzo morto: quali ferite e ingiustizie incontro nel nostro tempo?
-Il sacerdote e il levita vedono e passano oltre: quale indifferenza anche nella mia vita alla condizione altrui?
-Un samaritano vede ed ha compassione: quali persone, contesti e situazioni suscitano la mia empatia profonda e mi sollecitano ad intervenire? Il mio sguardo sull’altro è misericordioso o giudicante?
– Sono importanti le sue azioni: fascia le ferite, versa olio e vino, fa montare sulla sua cavalcatura e si prende cura di lui. Inoltre si impegna a pagare di persona. Cosa significa per me prendersi cura dell’altro?
- Cosa dicono i personaggi?
-Il dottore domanda: “chi è il mio prossimo?” Sono anch’io come questo dottore impegnato nello stabilire i confini e i livelli delle mie relazioni con gli altri?
-Gesù fa rispondere il dottore che il prossimo è colui che ha avuto misericordia. Il prossimo è colui che si fa prossimo: come vivo la fede nelle relazioni concrete? È qualcosa che trasforma la mia vita rendendomi prossimo degli altri?
- Quale rivelazione è contenuta qui?
Il samaritano è una figura di Gesù, che paga di persona per ciascuno di noi, con la sua morte e resurrezione. Egli riscatta la nostra povertà e guarisce le nostre ferite materiali, umane e spirituali.
- Condivisione della vita nella preghiera (5/10 min). L’ultimo passo, dopo la condivisione della vita, è invitare ad una breve preghiera, magari formulata inizialmente dall’accompagnatore. Qualche minuto di silenzio può autare a far risuonare la vita e la Parola condivise e raccogliere alcuni elementi che possono essere stimoli per una preghiera. Il partecipante che non intende pregare sentirà comunque che la propria condivisione è stata ascoltata e che la sua vita è stata messa davanti a Dio nella preghiera di altre persone.
