Per una strada che non conosco devo andare dietro a qualcuno oppure devo ascoltare le indicazioni del navigatore. Per la strada della vita, che è diversa per ciascuno di noi e davvero misteriosa, abbiamo bisogno di indicazioni, interiori ed esteriori, che ci assicurino che la strada è quella giusta.
Qui si apre un dilemma: o le indicazioni le interpreto io e in fondo me le fabbrico a mio uso e consumo, o c’è davvero qualcun altro che me le indica discretamente, perché egli ha in qualche modo già percorso la mia strada. La prima scelta mi porta a diventare un uomo di potere la seconda invece un discepolo.
È il dilemma che ha dovuto drammaticamente affrontare Pietro, subito dopo aver dichiarato che Gesù è il Cristo, il messia. Ha appena affermato che c’è qualcuno, il messia, in grado di indicargli autorevolmente la strada, ed ecco che subito si mette lui ad indicare a Gesù la strada che deve percorrere e che non è, secondo Pietro, quella della sofferenza e della croce. Egli ha subito cominciato ad agire da uomo di potere e senza accorgersene ha smesso di essere un discepolo di Gesù.
Questa tentazione sta davanti a tutti noi e si sintetizza in tre passaggi successivi, che vorrei leggere anche al positivo.
Il primo passo è non considerare che la persona di Gesù è un mistero. Umanamente non è possibile che la strada percorsa da un solo uomo possa avere la pretesa di essere un riferimento per ogni uomo, di ogni tempo e cultura. Eppure essere discepoli vuol dire accogliere questa pretesa di Gesù, non come qualcosa che si impone, ma come un’attrazione profonda e misteriosa. Tutte le volte riduciamo Gesù ad una riflessione, ad un ragionamento che si dovrebbe imporre con evidenza assoluta, tutte le volte che intendiamo far più da maestri che da umili testimoni, non stiamo rispettando il mistero della Sua persona. Molte delle ansie interiori per i nostri cari che non vivono più le esigenze della fede nascono da qui: la Sua persona e la vita di ciascuno di noi è un mistero…non possiamo noi imporre la fede e i tempi, assolutamente personali, con cui ciascuno si incontra con Lui.
Il secondo passo è razionalizzare e anestetizzare la croce. La versione più nobile di questo percorso è quella tipica del medioevo occidentale, che ha pensato alla croce come ad una riparazione infinita del peccato dell’uomo nei confronti di Dio, un peccato infinito perché rivolto verso Dio. Un Dio “sacrificale”, che è offesa dall’uomo e pretende la morte del figlio per riparare il suo peccato: questa idea si trasforma e si adatta nella nostra vita tutte le volte che affrontiamo fatiche e difficoltà e le interpretiamo come una punizione di Dio. Così abbiamo capito, abbiamo addomesticato Dio e sappiamo cosa dobbiamo fare, solo sacrificarci. Eppure un Dio così non serve a nessuno e gli uomini di oggi hanno imparato a farne a meno. Ecco l’ateismo… ma la croce è un mistero d’amore da parte di un Dio che vuole salvarci e non punirci!
Il terzo ed ultimo passo è rifiutare di seguire Gesù per quella strada e indicargli noi la nostra via. Sappiamo noi cos’è meglio per noi stessi, e rifiutiamo di andargli dietro. Abbiamo bisogno di certezze a nostro uso e consumo, pertanto ci rifugiamo in tutto ciò che può darcele in modo più visibile e che soprattutto soggiace al nostro potere che si ramifica ed estende ad ogni angolo della nostra vita, dalla famiglia, al lavoro. Siamo diventati uomini di potere… il punto d’arrivo di questo percorso è la solitudine, che il mondo teme senza avere gli antidoti per sconfiggerla.
Il mondo è dominato dagli uomini di potere ma è segretamente affascinato dai discepoli, che hanno vinto definitivamente la solitudine e la tristezza di chi non ha più nessuno da seguire incondizionatamente, perché non ha conosciuto quell’amore in nome del quale fare dono della propria vita.
Preghiamo perché i discepoli di oggi, deboli e tentati come Pietro, sappiano essere umili testimoni di quest’amore!
