Il parto della storia (Omelia Assunzione)

 

Molti di voi avranno vissuto l’esperienza di assistere ad un parto in diretta, magari quello della propria moglie o della propria figlia. Non è uno scherzo, il dolore, il sangue, il pianto sono ciò che un maschio può conoscere solo dall’esterno e una donna vive nella sua carne: l’immenso sforzo di una minuscola creaturina, di effettuare un passaggio inatteso e improponibile, da un ambiente caldo, morbido, sicuro e ospitale, all’aria aperta, nuova, immensa e per ciò paurosa.

Il parto è la metafora della Chiesa e del Regno dei cieli nella storia degli uomini, come ci insegna l’Apocalisse. C’è sangue, dolore, pianto, per guerre, carestie, epidemie che attraversano la storia umana, ma tutto accade nell’attesa di una vita che sta per nascere, la vita del Figlio e, in Lui, di tutti i figli di Dio che entrano nel Regno definitivo del Padre.

Questa figura del parto è presente anche nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato: Elisabetta e Maria hanno due grembi partorienti che indicano il compimento della Parola nella storia, nella carne di un uomo. Il loro rapporto improntato a venerazione reciproca e carità risale ai due figli, che sono misteriosamente in comunione nei loro grembi: “appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.  Giovanni il Battista, ultimo dei profeti, rappresenta tutta l’attesa di Israele, e proclama una Parola che ha attraversato i secoli, preparandone l’ultimo e definitivo compimento. Per questo il bambino esulta, a contatto con quella stessa Parola fatta carne che egli attesta, perchè essa lo ha preceduto ed ora si compie misteriosamente nel grembo di una vergine.

Si tratta di un piccolo embrione, in cui riposa tutta l’attesa e la speranza dell’umanità! Quant’è misteriosa e paradossale questa radicale piccolezza di una Parola onnipotente, passata attraverso i tornanti di un popolo orgogliso di essere eletto da Dio! Essa si fa debole, indifesa, piccola, bisognosa di tutto come un embrione!

“Egli ha guardato l’umiltà della sua serva, grandi cose ha fatto in me l’onnipotente.” Questo meraviglioso paradosso di umiltà e grandezza Maria lo vive in lei, piccola e umile, ma capace di accogliere nel suo seno e nella sua vita le grandi opere di Dio. Maria qui rappresenta l’Israele fedele, che ha accettato di essere un piccolo seme nella storia, destinato a generare un grande albero. Quest’albero si vedrà al termine della storia, alla luce della resurrezione e per ora può essere solo contemplato nell’attesa, in Maria assunta in cielo. Ella anticipa la condizione definitiva che tutta l’umanità vivrà, un corpo di carne, per sempre illuminato e glorificato dallo Spirito del risorto!

Ma ora dobbiamo accettare di camminare nel deserto, come la donna dell’Apocalisse, accogliendo con umiltà la nostra condizione di piccolezza e minoranza. Siamo una Chiesa generata per testimoniare la vittoria già ottenuta da Dio contro il male e la morte e per convertire i cuori, prima che le strutture. Il compito di cambiare la storia e di partecipare alla redenzione già ottenuta da Cristo avviene tramite la testimonianza, il dialogo e la purificazione di quei valori umani, che plasmano le culture rendendole più umane e perciò più cristiane. Ma questo accade soprattutto attraverso la relazione personale, il dialogo anima ad anima, che favorisce l’incontro dei cuori e il lavoro misterioso dello Spirito, creando reti di relazioni intime, fraterne, dove si accende il fuoco della fede.

Quanti gruppi potranno nascere con la prossima missione? Quante persone si convertiranno e parteciperanno alla vita parrocchiale? Se ci poniamo questa domanda siamo molto fuori strada…il punto non è il quanto, ma il come. Come vivo la fede? Come un fuoco che è acceso in me e si trasmette oppure come un camino ormai quasi spento e raffreddato, che non può più riscaldare la casa?

 

 

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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