Gesù storico e Giovanni il Battista

2.2 ASSE DELLA RAPPRESENTAZIONE: IL GESÙ STORICO.

2.2. 1 STORIA DELLE DOMANDE SUL GESÙ STORICO

Nella temperie spirituale e culturale illuministica, definita da Kant come la fuoriuscita dell’uomo “dallo stato di minorità”, dove tutto ciò che era tradizionale veniva posto al vaglio della ragione critica, anche i Vangeli incominciarono ad essere studiati alla luce di una domanda di fondo: il Gesù che i vangeli raffigurano è proprio lo stesso Gesù che è storicamente vissuto nella palestina del I secolo? H.S.Reimarus, nella sua Apologia[1], pubblicata postuma da Lessing ( 1774 – 1778 ) comincia a porre questa distinzione tra ciò che Gesù ha predicato  e insegnato, ossia la vicinanza del regno dei cieli e la necessità della conversione, e ciò che gli Apostoli raccontano nei loro scritti. Egli arriva fino a spiegare la resurrezione di Gesù come un inganno ordito dagli apostoli.

In modo senza dubbio più raffinato il filosofo e teologo D. F. Strauss, profondamente debitore nei confronti della visione hegeliana, nella sua Vita di Gesù ( 1835 – 36 ) cerca di rispondere alla medesima domanda su quanto vi sia di storico in ciò che i Vangeli raccontano, ricorrendo al concetto di “mito”.  Ogni volta che su Gesù vengono applicati motivi diffusi nell’Antico Testamento ( come i miracoli profetici, che abrogano le leggi di natura ) o nel più ampio contesto storico – religioso (cfr. l’idea di figlio di Dio), è all’opera un processo di mitizzazione, che trasferisce i termini di racconto il concetto dell’umanità di Dio, realizzatasi nell’individuo storico Gesù.  Questa idea sarebbe al cuore del Gesù storico.

Parallelamente alla domanda sul Gesù storico si intreccia e sviluppa anche un’altra domanda, ossia quale sia effettivamente stato il percorso storico di formazione dei Vangeli, che avremo modo di approfondire nel dettaglio più avanti. F. Chr Baur mostra che il vangelo di Giovanni è posteriore ai sinottici, mentre H. J. Holtzmann[2], approfondisce la teoria delle due fonti, per la quale il vangelo più antico e vicino al Gesù storico sarebbe Mc, e Luca e Matteo si basano indipendentemente l’uno dall’altro, sia su Mc che su una fonte orale di detti di Gesù detta fonte Q (dal tedesco Qwelle, che significa fonte).

Da questo momento inizia il tentativo di rispondere alla domanda sul Gesù storico privilegiando le fonti cosiddette più antiche, ossia più vicine al Gesù della storia, come Marco e Q. Ne emerge un’immagine “romantica” di Gesù come predicatore itinerante del Regno di Dio, profondamente inserito nel contesto giudaico palestinese del suo tempo.[3] L’importanza di questa storiografia liberale su Gesù non risiede tanto sui risultati raggiunti, quanto nella distinzione tra Gesù della fede e Gesù storico, che, al di là delle motivazioni ideologiche, è stata il primo passo per l’elaborazione di una metodologia storica in riferimento ai vangeli. l’emergere della scienza storica e degli studi letterari, delle tecniche filologiche e della critica scientifica delle fonti ha infatti contribuito a far porre domande sulle fonti, sullo sviluppo storico e sul grado di interpretazione teologica dei vangeli.

W. Wrede nel 1901 dimostra che anche il Vangelo di Marco non può rispondere pienamente alla domanda sulla storicità di Gesù, perché è all’opera anche in esso una reinterpretazione teologica. In particolare il silenzio imposto da Gesù ai suoi discepoli a riguardo della sua messianicità, denominato “segreto messianico”, non sarebbe storico, ma sarebbe un artificio teologico di Marco per motivare il fatto che nella sua vita storica Gesù non avrebbe mai preteso di essere il messia.  Quest’opera fondamentale incrinò la fiducia che vi era precedentemente nella possibilità di tracciare il vero volto storico di Gesù.

A. Schweitzer nella sua “Storia della ricerca sulla vita di Gesù” mostra che tutte le immagini di Gesù prodotte dalla critica liberale costituivano di fatto una proiezione degli ideali etico – filosofici degli autori. La sfiducia nei tentativi illuministici e romantici di ricostruire la figura storica di Gesù venne portata avanti da una teologia “dialettica” di matrice barthiana, per la quale non conta tanto ciò che Gesù aveva effettivamente detto e fatto, ma quello che Dio ha compiuto nel mistero pasquale della sua morte e resurrezione, ossia il Cristo kerygmatico.  Ciò significa che l’esegesi deve principalmente occuparsi dell’annuncio del kerygma, tralasciando sostanzialmente la questione del Gesù storico. R. Bultmann fu il principale esegeta a seguire i principi della teologia dialettica / esistenzialista.

Un discepolo di Bultmann, Käsemann, nella conferenza tenuta nel 1953 a Marburgo, intitolata “Das Problem des historischen Jesus”,  pone una nuova, più raffinata domanda, alla ricerca del Gesù storico. Posto che i Vangeli sono narrazioni con finalità teologica e non storica, che si basano sul kerygma ecclesiale, il kerygma stesso non presuppone forse un nucleo di storicità di Gesù, ossia non prevede un appiglio nella predicazione del Gesù pre – pasquale? E se si,  come determinarlo?

Questa conferenza è considerata l’atto d’inizio della nuova ricerca (New Quest) sul Gesù storico. Dopo aver compreso che non si può pretendere di risolvere la questione storica ritrovando le fonti più antiche, con la new Quest si utilizza una metodologia di tipo più storico – sociologico, per la quale si devono confrontare con le affermazioni dei vangeli su Gesù con il contesto culturale e sociale della palestina del I secolo, per comprendere quali di esse sarebbero del tutto originali e non deducibili da esso (criterio della differenza).  Tutti gli aspetti di Gesù non riconducibili né alla cultura giudaica ne a quello ellenistico ne all’interesse della Chiesa primitiva sarebbero “gesuani”, ossia appartenenti al nucleo storico del kerigma evangelico.  A questo proposito si possono citare la libertà con cui Gesù critica la legge (Käsemann), la rivendicazione dell’amore radicale per i peccatori (Fuchs), l’ unione radicale tra Torah e grazia (Braun). Sono tutti aspetti, insieme all’appello alla decisione di fronte al regno di Dio (sottolineato piuttosto da Bultmann) che mostrano implicitamente la pretesa messianica di Gesù.

Il limite di questa opzione metodologica non ha tardato a manifestarsi. Ne emergeva infatti una figura di Cristo troppo sganciata dal mondo di cui faceva parte. Nella Third Quest, incominciata con gli studi di E.P.Sanders si valuta in modo molto più approfondito l’inserimento di Gesù nel contesto dei movimenti del giudaismo dell’epoca.  Egli sarebbe fondatore di un “movimento di rinnovamento interno al giudaismo” in cui la radicalizzazione della Torah e una concezione apocalittica – escatologica del tempo presente sono comuni ad altri movimenti radical – teocratici dell’epoca.  Qui si mira piuttosto ad utilizzare il criterio della plausibilità storica, per trovare il nucleo storico della figura di Gesù. In questo quadro la scoperta di Qumran  l’approfondimento della tradizione giudaica intertestamentaria e dei vangeli non canonici (Vangelo di Tommaso, Protovangelo di Giacomo, Papiro Egerton 2, vangelo segreto di Marco, vangelo di Pietro… ) ha reso più ampia e complessa la discussione.

 

2.2. 2   LABORATORIO SU “ GIOVANNI IL BATTISTA”

Il quadro che emerge dalle fonti canoniche ( Sinottici, Q, Giovanni, Atti ) è sfaccettato e in alcuni casi contraddittorio. In generale sembra problematico dal punto di vista storico il rapporto che queste fonti istituiscono tra Giovanni il Battista e Gesù.

Il racconto di Flavio Giuseppe (Ant 18, 116 – 119), usa parole chiave della discussione ellenistico romana e suscita il sospetto che il quadro sia troppo modificato dal desiderio di essere compreso dall’interlocutore. Vediamo nel dettaglio:

Battesimo di Giovanni:

Dagli evangelisti viene presentato come un sacramento che conferisce il perdono dei peccati, per il quale erano presupposti il pentimento e la disponibilità alla conversione. La sua unicità e l’elemento del perdono dei peccati si ricollegano all’attesa escatologica e messianica e permettono di ricollegare la figura di Gesù, proprio da questo punto di vista.  Invece secondo Flavio Giuseppe tale battesimo aveva come unico obiettivo la purificazione del corpo, perché l’anima era già stata purificata prima attraverso una condotta giusta.  Egli sembra conoscere l’interpretazione sacramentale del battesimo di Giovanni e rifiutarla sopprimendo assieme ad essa anche il contesto escatologico in cui essa è inserita.  Ma nel suo racconto rimangono senza spiegazione due elementi: l’unicità dall’atto battesimale, che chiaramente lo distingue da un rituale di purificazione di stampo essenico che doveva essere ripetuto e la straordinaria funzione di mediazione svolta da Giovanni nella sua celebrazione, tanto da meritare il titolo, riconosciuta anche da Flavio Giuseppe, di baptisthes (non può essere interpolazione cristiana, perché il contesto non è chiaramente assimilabile al pensiero cristiano). Inoltre l’attitudine a sopprimere gli elementi di carattere escatologico è particolarmente presente in Giuseppe Flavio, per due motivi, ossia da un lato perché il suo lettore avrebbe difficilmente potuto comprenderli, e dall’altro per non incorrere nel pericolo di un incomprensione di carattere politico con l’impero romano. Ad esempio quando descrive i movimenti di rivolta di stampo apocalittico / teocratico li dipinge come briganti.

Per quanto riguarda poi l’attesa messianica, legata soprattutto alla profezia di Isaia, è plausibile che sia storica dal momento che nel retroterra giudaico del I secolo d.C. l’attesa messianica e la concezione apocalittica della storia erano molto diffuse (criterio della plausibilità storica).   Il criterio dell’imbarazzo può essere usato per mostrare l’attendibilità storica dell’evento del battesimo di Gesù. Gli evangelisti non lo avrebbero mai inventato, per le difficoltà che creava dal punto di vista della loro teologia! Gesù sembra essere meno di Giovanni. Quindi in rapporto al battesimo amministrato da Giovanni i Vangeli si possono considerare come più affidabili di Flavio Giuseppe.

La predicazione di Giovanni Anche per la predicazione Flavio Giuseppe non menziona alcun riferimento ad aspetti di carattere escatologico. Il Battista è presentato in modo simile ad un filosofo ellenista, che insegna la virtù, e in particolare le due virtù fondamentali, ossia la dikaiosyne, la giustizia nei rapporti con gli altri e la eusebeia, ossia la pietà verso Dio. Invece i vangeli fanno ampio riferimento agli aspetti escatologici del giudizio finale che, come abbiamo visto, sono storicamente plausibili. Tuttavia quando si entra nei dettagli il problema è capire fin dove arriva l’interpretazione cristiana delle parole del Battista. Per esempio storicamente il Battista attendeva la venuta di Dio o una figura messianica umana?

Infatti se in Mt 3, 10 è Dio ad essere presentato come giudice per il passivo teologico (“viene tagliato e gettato nel fuoco” sott. “da Dio”), invece in Mt 3, 12  (Lc 3, 17) il più forte pulirà l’aia e brucerà la pula con un fuoco inestinguibile.  Chi è questa figura del più forte? Si tratta di Dio o di una figura messianica?

Alcuni argomenti sono a favore dell’identificazione con Dio:

In 3, 10 si fa già riferimento a Dio come giudice, e il termine “più forte” è un nome che nella LXX è attribuito a Dio.  Poi il battesimo di fuoco si ricollega al giudizio di fuoco di 3, 10 e ha precedenti veterotestamentari soltanto nell’azione finale di Dio in Ez e Os.

Altri argomenti sono contro  a favore di un’identificazione personale

L’antropomorfismo di portare i sandali e sciogliere i legacci dei sandali è difficilmente tollerabile come immagine di Dio. (cfr. Mt 11, 2ss). Bisognerebbe allora considerare anche questa tradizione come posteriore al Battista e come interpretazione cristiana, nonostante il suo background profondamente giudaico (cfr. legge del levirato).

Inoltre l’attesa messianica, così formulata dai sinottici, non risponde alle concezioni su Gesù Cristo della comunità primitiva, che lo definiva piuttosto come “figlio dell’uomo”, “cristo”, e “figlio di Dio”. Né ischyròteros (più forte), né erchòmenos (colui che viene) sono attestati come titoli messianici che la comunità cristiana avrebbe potuto usare applicandole a Gesù. Allora queste parole possono essere interpretate nell’ambito delle attese giudaico messianiche, senza la necessità di rifarsi a concezioni cristiane.

Inoltre c’è una plausibilità storica in riferimento a questa attesa di un messia personale che opera il giudizio. Infatti nella letteratura giudaica intertestamentaria esistono numerosi personaggi che annunciano il giudizio di Dio e la restaurazione e che sono plenipotenziari divini (messia regali e sacerdotali, arcangelo michele/melchisedek, figlio dell’uomo e Elia redivivo).

Il peso di queste ultime argomentazioni fa propendere per una plausibile storicità dei riferimenti messianici della predicazione del Battista.

La morte di Giovanni anticipa quella di Gesù nei vangeli, e c’è tra esse una somiglianza innegabile. Questo ci guida a supporre che la narrazione della morte del Battista nei sinottici sia costruita in modo tale da sottolineare particolarmente l’innocenza del Battista e la futilità dei motivi, in parallelo alla morte ingiusta di Gesù. Flavio Giuseppe invece sottolinea particolarmente in motivi politici, che sembrano avere una notevole plausibilità storica. Erode temeva il movimento di popolo e di opinione che si era creato intorno a Giovanni, in un contesto di forti tensioni politiche e militari con i Nabatei (per datazione anni precedenti al 36 d.C. ).

 

Sulla nascita e retroterra familiare del battista siamo informati unicamente da Lc 1, che intende mostrare come Giovanni sia precursore del messia e inviato da Dio fin dal seno materno. Il valore storico complessivamente esiguo: infatti Luca costruisce questo racconto per porre chiaramente in parallelo la nascita di Gesù con la nascita di Giovanni. Inoltre non abbiamo alcuna traccia di questo legame familiare in altre fonti (criterio dell’attestazione molteplice). L’unico dato storicamente verosimile potrebbe essere la provenienza del Battista da stirpe sacerdotale. Se questo fosse vero, la sua distanza dal tempio andrebbe interpretata come frattura intenzionale di un membro della classe sacerdotale nei confronti dei riti sacrificali del tempio, dal momento che propone un battesimo per il perdono dei peccati al di fuori del tempio stesso. Nello stesso tempo però bisogna affermare una distanza di Giovanni dagli esseni: egli non pare arrivare a rifiutare ideologicamente  e programmaticamente il tempio di Gerusalemme.

IMPORTANTE:

1. IL FATTO CHE I VANGELI DELL’INFANZIA ABBIANO SCARSA ATTENDIBILITÀ DAL PUNTO DI VISTA DELLA METODOLOGIA STORICA, NON MINA L’ISPIRAZIONE E LA VERITÀ TEOLOGICA CONTENUTA IN TALI RACCONTI, CHE SONO TESTIMONIANZE KERIGMATICHE, FRUTTO DEL GIUDIZIO DI FEDE SU GESÙ ACQUISITO IN SEGUITO ALLA PASQUA.

2. ESSERE CONSAPEVOLI CHE, DAL PUNTO DI VISTA DELLA SCIENZA STORICA, NON ABBIAMO ELEMENTI PER DIMOSTRARE L’ATTENDIBILITÀ DI ALCUNI NON SIGNIFICA AFFERMARE IN SENSO ASSOLUTO CHE ESSI NON SIANO AVVENUTI. INFATTI LA SCIENZA STORICA PUÒ SOLO ARRIVARE AD UN CERTO GRADO DI PLAUSIBLITÀ SULLA BASE DELLE FONTI PERVENUTECI.

3. DIFFERENZIARE LE FONTI EVANGELICHE PER QUANTO RIGUARDA LA LORO ATTENDIBILITÀ STORICAMENTE DIMOSTRABILE PERMETTE POI DI GIUNGERE AD UN GIUDIZIO DI STORICITÀ “SOSTANZIALE” DELLA FONTE “VANGELO”, SENZA ESSERE POSTI DI FRONTE AL DILEMMA DI DOVER DIMOSTRARE STORICAMENTE TUTTI I PARTICOLARI OPPURE DI DOVER SCARTARE I VANGELI COME INATTENDIBILI.

Notizia del soggiorno di Giovanni nel  deserto fino al giorno della sua apparizione pubblica dinanzi ad Israele (Lc 1,  80) è espressione con funzione di aggancio per anticipare il futuro luogo di attività del battista, ossia nel deserto. Qui il punto di contatto con gli esseni nella formazione di Giovanni è puramente congetturale.

 

2.2.3 GESÙ EBREO: BREVE SINTESI.

Il giudaismo del primo secolo è molto sfaccettato e difficile da ricostruire nella sua complessità. Quando dunque diciamo che Gesù era un ebreo, che cosa precisamente intendiamo? È legittimo immaginarlo come un ebreo dei nostri giorni? E se si, a quale corrente potrebbe appartenere, integralisti, riformati o liberali?

Dietro a queste domande, se ne potrebbe formulare un’altra, ancor più radicale: Qual è l’identità ebraica nella sua costante che attraversa i secoli? Esiste un’identità ebraica? Secondo il rabbino Elio Toaff il punto fondamentale dell’ebraismo è: “L’unità: l’unità di Dio, l’unità del popolo, l’unità dell’umanità”.[4] Secondo alcuni studiosi contemporanei, come Sanders il giudaismo ha una caratteristica ideologica unitaria, una sorta di mainstream, riconducibile al cosiddetto “nomismo del patto”,[5] per il quale l’ingresso nell’alleanza avviene per dono gratuito di Dio, ma il mantenersi all’interno del patto richiede l’osservanza dei precetti della Legge. Secondo altri invece non si può parlare di giudaismo al singolare, ma di giudaismi al plurale. Ad esempio Alan Segal parla del rabbinismo (giudaismo che si sviluppa dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. e l’istituzione del rabbinato) e del cristianesimo come due fratelli gemelli, come Esaù-Giacobbe, i quali, pur in lotta tra loro, sono entrambi degli eredi del giudaismo del I secolo[6].

Cominciamo dapprima a descrivere in estrema sintesi il laboratorio di fede e cultura rappresentato dal giudaismo del I secolo, poi svolgeremo qualche breve considerazione su Gesù come ebreo.

Nel I secolo assistiamo ad una grande varietà di posizioni all’interno del cosiddetto “giudaismo”. In sintesi si potrebbero suddividere le correnti in due grandi tronconi, quello che si richiama alla tradizione “sacerdotale/cultuale” del tempio (sacerdoti e scribi appartenenti ai sadducei, leviti ecc.) e quello invece che radicalizza la visione profetica della storia, di cui si attende l’imminente consumazione (Farisei, esseni / Qumran, zeloti, Giovanni Battista ecc.).

Questi gruppi differiscono in ordine al valore assegnato alla legge, al tempio, alla fede nella resurrezione e alla concezione della libertà umana.[7]

Ad esempio per quanto riguarda la Legge mosaica (Torà) per la comunità di Qumran non è sufficiente l’osservanza di essa per ottenere la salvezza, ma è necessaria anche l’appartenenza alla comunità stessa (cfr. 1 QS 2, 25 – 3, 12). Per i farisei, invece, la condizione necessaria e sufficiente per rimanere all’interno dell’alleanza è l’osservanza della legge.

Sul tempio di Gerusalemme si hanno valutazioni diverse, a seconda del tipo di visione storica. A differenza dei  sadducei e dei sacerdoti, che sono direttamente coinvolti nel sistema di potere socio  economico rappresentato dal tempio, gli esseni (e tra essi probabilmente anche la comunità di Qumran) hanno rifiutato l’istituzione sommosacerdotale come eretica dai tempi di Onia III (II sec. a.C.) e compiono dei riti per proprio conto.

La fede nella resurrezione è un altro punto fortemente controverso. In At 23, 6 – 10 Paolo nella sua dichiarazione davanti al sinedrio sfrutta abilmente le divisioni tra i sinedriti proprio su questa materia. I farisei davano un valore forte alla tradizione orale della Torà e quindi all’insegnamento dei rabbì così da sostenere posizioni che pure non si trovano esplicitate nella Torà scritta (Pentateuco). Infatti l’idea di resurrezione si trova soltanto negli scritti più tardivi dell’AT (cfr. Dn 12, 2 – 3; 2 Mac 7). I sadducei, al contrario, erano molto più conservatori e negavano la resurrezione.

Anche sul rapporto tra volontà di Dio e libertà umana la diversità tra farisei, sadducei ed esseni era notevole. Secondo Flavio Giuseppe per i farisei bisogna tenere insieme volontà di Dio e libertà dell’uomo, secondo i sadducei non c’è alcun influsso divino capace di modificare la libertà umana, secondo gli esseni invece ogni atto umano ed evento dipende dalla predestinazione divina.

Anche sull’attesa del messia, e soprattutto di quale tipo di messia, le posizioni di queste correnti erano molto diversificate al loro interno (Re, Figlio di Davide, guerriero regale, Sacerdote, Profeta, Figlio dell’uomo, Giudice celeste).

Ora possiamo affrontare più da vicino l’identità di Gesù in rapporto a questo sfondo giudaico del I secolo. Egli è sia etnicamente che religiosamente giudeo (cfr. Rm 1, 3; 9, 5; 15, 8). La circoncisione (cfr. Lc 2, 21), la recita dello šema’ (Mc 12, 28 – 34 cfr. Dt 6, 4 – 9), la frequentazione della liturgia sinagogale in giorno di sabato (cfr. Lc 4, 15 – 16), la partecipazione alle festività maggiori di Israele (Pasqua: Mc 14, 12 – 16 par.; ma anche Tabernacoli in Gv 7, 2; Dedicazione in Gv 10, 22) sono elementi importanti dell’identità di un giudeo praticante.

Ci sono anche aspetti del suo ministero storico che sono interpretabili solo alla luce dell’identità giudaica. Gesù nella sua predicazione annuncia il Regno di Dio (Mc 1, 14 – 15 par.; cfr. 2 Re 19, 15; 2 Ch 13, 8; Sal 93, 1; 97, 1; 99, 1) e invita a pregare Dio con una formula che ha un retroterra fortemente ebraico: “Padre nostro: aḇînu” (cfr. Os 11, 1; Is 63, 16; Ml 1, 6; cfr. anche la preghiera giudaica delle diciotto benedizioni o la preghiera del Qaddîš) e lo prega lui stesso con la formula aramaica (‘abbà). Gesù inoltra accetta il titolo di “rabbì” (cfr. Mt 23, 7 – 8) e la sua predicazione rimane limitata ai centri di cultura e religione giudaica sia in galilea che in giudea (per esempio non abbiamo notizia di una sua predicazione a Sefforis o Tiberiade, due grandi città ellenistiche della galilea).

D’altra parte vi sono aspetti profondamente innovativi nel suo ministero. Sembra che la sua osservanza del sabato fosse importante ma non assoluta, spesso  in polemica con i farisei del tempo, più rigidi di lui (cfr. Mc 3, 1 – 6). Anche sulle norme alimentari (cfr. Mc 7) e sulle regole di purità rituale sembra avere una visione molto più aperta, perché frequenta liberamente persone “impure” come prostitute e pubblicani arrivando perfino alla comunione della mensa.  Osa modificare importanti precetti della Torà, come quello sulla possibilità del divorzio, dichiarando in tal modo un’autorità pari o superiore a quella mosaica (cfr. Mc 10, 1 – 12). Frequenta il tempio ma vi compie un’azione simbolica, motivata dalla sua coscienza profetica e apocalittica, che può metterlo in grave collisione con l’autorità sacerdotale. Inoltre ha un rapporto di intimità radicale con Dio che, sebbene in un certo modo presente anche nelle attestazioni profetiche dell’Antico Testamento, è comunque molto rara, se non unica. In effetti l’espressione al singolare ‘aḇî (“padre mio” cfr. Lc 22, 28; Mt 20, 23; 26, 39) è scarsamente attestata nell’ebraismo e nell’AT (cfr. Sal 89, 27 che è un testo messianico, e Sir 51, 10). Inoltre questa espressione non viene ripresa mai dalla Chiesa primitiva: ciò vuol dire che tale modo che Gesù ha di rivolgersi al Padre è considerato dai primi cristiani una prerogativa di Gesù.  Si può allora pensare che questa formulazione sia la modalità letteraria con cui la Chiesa primitiva ha restituito ai suoi lettori la percezione che i testimoni storici di Gesù, gli apostoli e i discepoli, avevano della profonda intimità di Gesù con Dio.

Quindi nella presentazione che i vangeli offrono di Gesù ci sono elementi plausibilmente storici che descrivono la bene la sua identità ebraica, ma altri elementi, altrettanto plausibilmente storici, che attestano un’originalità che, pur non fuoriuscendo da coordinate religiose proprie dell’ebraismo, ne radicalizzano alcuni aspetti di carattere profetico e apocalittico. Tali elementi derivano dall’esperienza del tutto particolare di un’intimità con il Dio d’Israele, da lui visssuto e sentito come il Padre suo.

A questo proposito anche un racconto come Lc 2, 41 – 50, il  ritrovamento di Gesù nel tempio, pur essendo denso di riferimenti teologici e simbolici, esprime bene questa paradossalità propria del Gesù storico, tra elementi propriamente ebraici (nell’accezione socio – religiosa di cui abbiamo parlato sopra) e la particolare originalità con cui  essi vengono affermati nel rapporto con il Dio di Israele. Luca infatti con questo racconto, in linea con le biografie ellenistiche dell’epoca, vuole mettere in evidenza in Gesù adolescente quelle caratteristiche che contraddistinguono il suo ministero da adulto. Dunque lo sfondo storico non si trova tanto nei dettagli, quanto nella ricostruzione globale, che ripropone la stessa dialettica paradossale  tra ebraicità di Gesù e originalità del suo ministero.

Proviamo a mostrarla nel dettaglio. La reinterpretazione teologica del redattore lucano è qui ben al lavoro, ad esempio nel porre in rapporto la sapienza di Gesù ragazzino con i dottori del Tempio, mostrando che tale superiorità è frutto di un’identità misteriosa e molto particolare, l’identità del Figlio di Dio. Anche la perdita di Gesù a Gerusalemme e il suo ritrovamento dopo tre giorni potrebbero alludere alla morte e resurrezione di Gesù.

Tuttavia in questo racconto ci sono anche alcuni dettagli di carattere storico che destano interesse. Gesù e i suoi genitori si recano ogni anno nel Tempio di Gerusalemme. Infatti secondo la Legge ogni giudeo (maschio) deve recarsi tre volte all’anno a Gerusalemme per le feste di Pasqua, Tabernacoli e Pentecoste (cfr. Es 23, 17). È anche probabile che per i giudei che abitavano lontano si fosse permessa l’abitudine di recarsi una sola volta all’anno, accompagnati dalla famiglia (moglie e figli). È anche possibile che a 12 anni i figli maschi celebrassero al tempo di Gesù il cosiddetto “bar mitzwah”, o “figlio del precetto”, che è una festa di iniziazione dei figli all’osservanza della legge, di cui abbiamo notizia dal Talmud e che viene celebrata ancor oggi dagli ebrei praticanti.[8] Anche se non siamo certi che Luca potesse fare riferimento esattamente a questa festa, nel rendere nota l’età di Gesù, Luca intende inserirsi in un contesto di “iniziazione” alla vita adulta, raccontando un episodio che deve richiamare la futura missione del protagonista (cfr. Ant 5, 348).

Se Luca costruisce questo racconto con tale logica, questa è la conferma che lo sfondo storico non va ricercato nei dettagli del racconto stesso, ma nelle caratteristiche del personaggio che qui si manifestano e che dovranno contraddistinguere il suo ministero futuro. Lo sfondo storico di questo racconto non può dunque limitarsi all’ebraicità di Gesù ma deve anche tener conto di ciò che l’autore vuole comunicarci, contribuendo a porre il lettore nei panni di Maria e della sua incomprensione nei confronti delle parole di Gesù. Luca ci consegna così un’identità storicamente complessa, che da un lato dipende dal contesto socio – religioso in cui è inserito, ma dall’altro emerge in un contrasto paradossale con i suoi, che nasce dal mistero stesso della sua persona, e dell’auto-rappresentazione che Gesù aveva di se in rapporto con Dio.

Allora possiamo ben immaginare che Gesù preghi nel tempio lo šema’, questa preghiera che sintetizza secoli di storia sacra, la storia della relazione tra Yahvè e il suo popolo Israele. In questo dodicenne apparentemente uguale a qualsiasi altro tutta la storia religiosa di Israele e dell’umanità era concentrata: egli solo, nella sua coscienza, poteva perfettamente ricapitolare la storia del figlio primogenito, Israele, tratto fuori dall’Egitto, amato dal Padre con viscere materne. E al contempo tale storia era superata radicalmente: in questo ragazzino lo šema  sprofonda nell’abisso misterioso del Figlio unigenito. Lui è il Figlio, lui, mistero paradossale che non cesserà mai di stupirci, è il Figlio disceso dal cielo, dal Padre, per aprirci la strada della comunione con Dio!  Ma questa non è più semplicemente storia, è teologia!

 


[1] Apologia, ovvero difesa degli adoratori razionali di Dio. Trad. it. (I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel pubblicati da G. E. Lessing, a cura di Fausto Parente, Bibliopolis, Napoli 1977).

[2] H. J. HOLTZMANN, Die synoptoschen Evangelien. Ihr Ursprung und geschichtlicher Character, (Leipzig 1863).

[3] Cfr. E. RENAN, La vita di Gesù, Newton Compton 1994, Tit. or. La vie de Jesus (Pière sur l’Acropole 1865).

[4] E. TOAFF – A. ELKANN, Essere ebreo, Bompiani, Milano 1994, 27.

[5] E.P.SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione, (BT 21), Paideia, Brescia 1986 (orig. ingl. 1977).

[6] A. F. SEGAL, Rebecca’s Children: Judaism and Christianity in the Roman world, Harvard University Press, London-Philadelphia 1986.

[7] Ricavo queste riflessioni molto sintetiche da R. PENNA Gesù di Nazareth nelle culture del suo tempo. Alcuni aspetti del Gesù storico, (Bologna EDB  2012), 34 – 39.

[8] Non c’è però certezza storica del fatto che questa festa esistesse anche nel I secolo, al tempo di Gesù.

Pubblicato da bibbiainrete

prete cattolico particolarmente impegnato nello studio e divulgazione della bibbia e nell'animazione biblica della pastorale

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