MEDITAZIONE SUL SALMO 136 (14/11)
Questo Salmo è caratterizzata dalla ripetizione: “perché eterno è il suo amore”. Lodare è non stancarsi di ripetere! L’amore di Dio è eterno. È un alleanza in cui l’amore di Dio per noi è eterno, per cui non ci stanchiamo di ripetere la lode.
Ma non si ripete sempre la stessa cosa: siamo creature immerse nel tempo e nella variazione. Ogni volta si ripete qualcosa di uguale ma c’è sempre anche qualche novità. Che cosa è uguale e che cosa cambia di volta in volta? Di uguale c’è che ad ogni sezione è sempre Dio che agisce. In ebraico si tratta di participi. È come se si dessero tante definizioni di Dio: lui è colui che ha fatto grandi prodigi, lui è colui che ha fatto i cieli con sapienza… e ancora è colui che ha percosso l’Egitto nei suoi primogenti, è colui che ha guidato il suo popolo, egli è colui che nella nostra umiliazione si ricorda di noi. Una volta a catechismo si imparava che Dio è l’essere perfettissimo: era una definizione. Anche in questo salmo la bibbia ci vuol dare una definizione di Dio, non però basata sulla filosofia, ma sul modo di agire di Dio.
Abbiamo detto cosa c’è di uguale, ma cosa c’è di nuovo? C’è che Dio pur essendo sempre lo stesso e pur essendo sempre lui ad agire, non fa mai una cosa uguale all’altra, in tutte le sue azioni scopriamo sempre qualcosa di nuovo e diverso. C’è come una progressione nel suo agire, e ogni episodio è assolutamente nuovo. Chi recita questo salmo infatti è un solista e ad ogni frase il coro ripete: eterno è il suo amore! Quindi ogni intervento di Dio è come isolato dai precedenti, come a dire che non è causato da essi, ma solo dalla volontà di Dio che vuole fare ancora qualcosa di nuovo. Lui che è eterno ogni volta fa qualcosa di nuovo, come a dire che la sua eternità non è pura staticità, ma continua e travolgente novità, è l’eternità dell’amore che non finisce mai di coinvolgerci nella sua storia e di stupirci.
In Mt 26, 30 Gesù si avvia alla sua passione con il canto del Salmo: può essere in modo particolare il Salmo 136, dato che come altri Salmi veniva cantato alla conclusione del pasto pasquale. Gesù, andando alla passione, è pienamente e consapevolmente dentro questo movimento dell’amore di Dio, egli sta per donare tutto se stesso al padre sulla croce, e allora sceglie di concentrare tutto il significato di questo dono in un segno tanto piccolo quanto comune: il pane (cfr. Sal 136, 25). Egli “sceglie” di diventare questo pane che Dio nel suo amore da ad ogni vivente, come culmine della sua storia d’amore nei confronti di Israele e attraverso di lui di tutti gli uomini.
Questo pane “segno” tanto piccolo quanto comune, è l’ultima novità di Dio, ma che racchiude tutte le novità precedenti e tutte le azioni di Dio descritte nel Salmo. Non a caso il Salmo nella tradizione ebraica veniva cantato come rendimento di grazie sul pane. È infatti il pane della creazione, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Non ci sarebbe il pane se Dio non fosse colui che ha steso la terra sopra le acque e che ha fatto i cieli con sapienza. Nel pane Dio si rivela come colui che crea lo spazio e le condizioni di abitabilità per noi e poi mette tutto in movimento attraverso il tempo (creazione degli astri) in un universo ordinato: non ci sarebbe il pane se non ci fossero i giorni e le notti e le stagioni a consentire la crescita del grano e se non fosse ciclicamente stabilito il tempo della mietitura.
Ma non ci sarebbe il pane della cena pasquale se Dio non si fosse impegnato nella storia con un popolo particolare il popolo ebraico. Allora il pane della cena ricorda l’afflizione dell’Egitto, la schiavitù ma ricorda ancor più l’azione liberatrice di Dio, l’azione potente con cui ha percosso il faraone, l’azione potente con cui ha fatto passare Israele in mezzo al mare della morte, liberandolo e nello stesso tempo generandolo come popolo. Quello che prima dell’arrivo in Egitto era una famiglia di 12 fratelli e che contava 70 persone all’uscita dall’Egitto è divenuto un popolo di 300 000 persone. Così la liberazione dell’Egitto è anche definitivamente l’atto di nascita di questo popolo e tale nascita, attraverso il mare e nel deserto, è un continuo confronto con la morte. Ogni nascita, anche la nostra nascita, è stata un passaggio attraverso la fragilità e il confronto con la morte: ogni nascita prelude alla nascita definitiva, quella che attraverso la morte ci passa davvero. Tutto questo è come contenuto, registrato nel pane pasquale, come un file la cui memoria non può essere cancellata.
Ma l’esodo del popolo e il suo ingresso nella terra promessa e conquista è anche una faticosa, mai terminata lotta contro la tentazione di ritornare alla schiavitù. Un cammino di maturazione, di purificazione in cui il popolo impara che la vera libertà e felicità non sta nel consegnarsi schiavi degli idoli (l’Egitto con i suoi frutti ingannevoli e poi il vitello d’oro), ma nel servire Dio. Dalla servitù al servizio. Anche noi diventiamo adulti così, passando da quegli idoli che hanno schiavizzato e reso infelice la nostra adolescenza, alla matura comprensione che il senso più vero e bello della nostra vita è servire Dio, fare la sua volontà. Il travaglio, la sofferenza sono il passaggio del mare attraverso cui Dio ci ha parlato e ci ha liberato, facendoci comprendere come riconoscere la sua azione nella nostra vita, rendergli grazie e lodarlo e infine servirlo facendo la sua volontà sia il vero scopo della nostra vita.
“Egli nella nostra umiliazione si è ricordato di noi ci ha liberato dai nostri oppressori”: questa storia di liberazione che ha nell’esodo il suo modello fondatore si ripete ad ogni passaggio della storia del popolo di Israele. L’invasione degli assiri e la distruzione di Samaria, e ancora l’invasione dei babilonesi e la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio nel 587 a.C. e l’esilio durato quasi un secolo. Sono i profeti ad indicare al popolo che tutto questo non accade per caso, ma è Dio che sta purificando il popolo dalla sua idolatria, e che lo accompagna con amore anche nella terra dell’esilio. Sono ancora i profeti ad indicare che ci sarà presto un ritorno e una ricostruzione di Gerusalemme e che la gloria del Signore risplenderà a Gerusalemme per tutti i popoli. Ecco: “Il signore nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, ci ha liberato dai nostri oppressori”: con questa frase è riassunta tutta la storia profetica di Israele, ma è in qualche modo riassunta anche tutta la nostra vita. Tutta la nostra vita infatti è una giostra un po’ paradossale di umiliazioni ed esaltazioni, dove stentiamo a trovare l’equilibrio. Il punto di equilibrio non sta in noi stessi, ma ce lo ricorda il Salmo: “eterno è il suo amore”: ogni volta è il suo amore che si fa uscire da noi stessi, ci risolleva dalla fatica, dal peccato, dalle sofferenze. Ogni volta è sempre lui, il suo amore a vincere, in ogni evento e in ogni istante della nostra vita.
Conoscere questo è sapienza, perché comporta il sapere che Dio è “per definizione” colui che dona il pane ad ogni vivente, ossia che supera la morte con il dono di una di un amore eterno. I libri sapienziali non sono altro che una riflessione su chi è Dio per tutti gli uomini alla luce di come ha agito e agisce nella storia del suo popolo.
Dai proverbi che condensano tutta la sapienza in brevi massime parallele, alla cui base c’è una sostanziale fiducia del principio di retribuzione divina; fino ad arrivare a Giobbe, la più estrema e radicale messa in questione della retribuzione divina: “se il giusto soffre, dov’è la giustizia di Dio?” Sapienza è qui entrare nel mistero di Dio con tutta la nostra esistenza senza pretendere di spiegarlo, ma fidandosi dell’infinita onnipotenza e saggezza di Dio che con i suoi paradossi supera il modo umano di comprendere. È il punto a cui i saggi arrivano dopo l’esilio e il dramma della sofferenza ingiusta subita dal popolo. Tutta questa sapienza è simbolicamente concentrata nel pane, che il Signore dona ad ogni vivente, quale umile fiducia nella vittoria della vita contro ogni potenza di morte.
Questa vittoria è iscritta nel pane in cui Gesù ha scelto di donarsi a noi, il pane dell’eucarestia, che è il pane del ringraziamento ossia il pane sul quale si benedice Dio per tutto ciò che ha compiuto per noi, quel pane attraverso il quale per l’azione dello Spirito, entriamo misteriosamente dentro l’atto con cui Cristo si è donato a noi, e così tutta la storia della salvezza per noi si compie. In questo pane tutta la storia è ricapitolata, tutta la bibbia riassunta, perché Dio ha attraversato la morte e l’ha distrutta definitivamente. Questo è il pane della resurrezione e il farmaco dell’immortalità.
Ora mangiando questo pane anche noi entriamo nell’opera di salvezza che Dio ha compiuto per il suo popolo, anche noi usciamo dall’Egitto e riconosciamo di avere ricevuto in eredità la terra.

Pensare che questo salmo sia stato letto da Gesù prima che si compisse la Sua passione verso la quale Lui stava andando liberamente, fa rimanere sbalorditi. E’ inutile che io dica a me stessa che in fondo Lui era il Figlio di Dio, perché allora devo anche dirmi che era fatto della carne di cui sono fatta io. Questo cosa significa per me? Significa che la mia persona, tutto ciò di cui sono fatta gli appartiene e questo, è bene che io lo ricordi spesso a me stessa, proprio come fa il salmista quando rammenta i prodigi operati da Dio, dal momento della creazione, al passaggio del popolo attraverso il Mar Rosso e poi, questo lo aggiungo io, … fino all’ultima cena. Quel piccolo pezzo di “pane” che ricevo significa la Sua totale dedizione all’uomo, a me misera creatura, una dedizione fatta di un amore che supera ogni confine. Ma il razionalismo del quale siamo fatti che pretende di incasellare tutto dentro i propri schemi, ci fa dimenticare che Dio non si dimentica mai di noi e nel silenzio, quando tutto sembra non corrispondere al cuore, è allora che Lui agisce Tutta la Bibbia ci mette di fronte a questa realtà: la storia umana è intrisa della Sua Presenza.
Non posso pretendere di capire tutto, posso solo fidarmi e dire: “Signore, tu mi scuti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando mi riposo….” (Sal 139, 1 – 2)