In questo tempo di crisi economica tendiamo a vedere tutto nero, nella vita politica come nella vita personale. Mai come oggi il mondo ha bisogno della virtù cristiana – teologale, per essere precisi – della speranza. Essa è un dono di Dio, ma, come tutti i doni, per diventare effettiva nella nostra vita, deve essere amministrata, coltivata, fatta germogliare e crescere. Essa è come una casa che ha bisogno di pilastri per essere fondata nel terreno. Uno di questi pilastri è senz’altro la perseverenza, ossia quell’atteggiamento umano, insieme naturale e frutto di volontà, che rimane aderente, attaccato alle abitudini positive, a ciò che costituisce la roccia della nostra esistenza. Parlo in particolare della perseveranza nella preghiera.
Nella parabola della vedova importuna e del giudice disonesto, la vedova incarna proprio questa virtù della perseveranza nel chiedere, che si traduce poi nella speranza incontrovertibile della giustizia. Ecco la Chiesa, ci dice Gesù, è come la vedova che prega con perseveranza, ben sapendo che il suo Dio non è un giudice disonesto, ma un Padre che ama, onora e perdona l’uomo. Se la perseveranza nella parabola della vedova ha cambiato la decisione del giudice disonesto, nella nostra vita la perseveranza finisce per cambiare non la decisione di Dio, che è sempre a nostro favore, ma il nostro modo di vedere Dio e la storia. E’ la perseveranza che ci fornisce gli occhi nuovi per contemplare la realtà da una nuova, inaspettata, potente angolatura: l’angolatura della fede.
C’è certamente un aspetto paradossale nel modo con cui la fede ci fa guardare le cose. Le ingiustizie rimangono nella storia e nella nostra vita: i bambini morti in questi giorni nel mediterraneo rimangono, le cattiverie che abbiamo subito gratuitamente ci hanno procurato delle ferite che sono ancora li… eppure dove l’occhio dell’uomo vede soltanto dolore e male irrimediabile, gli occhi della fede permettono di vedere la giustizia di Dio all’opera. Si, la giustizia di un Dio che muore sulla croce, condividendo con noi proprio il dolore più inaccettabile e in questo modo lo trasforma da dentro.
Un giorno una mamma che ha avuto il figlio adolescente cerebroleso in seguito ad un incidente stradale mi ha detto: ecco quel dolore li, inaccettabile, impossibile, in modo assurdo e illogico si è poi trasformato in una gioia incontenibile. Questa è la gioia del paradiso, la gioia della fede, la gioia della resurrezione, che ci fa vedere le cose con gli occhi del martire, del testimone che è stato purificato dal crogiolo della prova.
Ecco, pregare senza stancarsi, per l’inaccettabile dolore possa diventare in noi fonte di una gioia incontenibile, fino alla fine, fino ai confini, alla pienezza di un amore che attraversa il tempo e la storia e non ha limiti di spazio. è un amore che ha già vinto il mondo con le sue malvagità. Così noi diventiamo come quella vedova, testimoni di un amore impossibile, che è già passato attraverso le pieghe della storia, e che può infonderci speranza anche in tempi di crisi e di corte vedute come il nostro.
