Gesù si sta incamminando verso Gerusalemme, li dove si compiono i giorni della sua vita terrena e con l’ascensione e il dono dello Spirito darà inizio ad una fase nuova del tempo e della storia, caratterizzata dalla presenza della comunità dei salvati, che annuncia il Vangelo fino ai confini della terra: la Chiesa.
Un adagio medievale recita: extra ecclesiam nulla salus, “fuori dalla chiesa non c’è salvezza”. C’è oggi chi, prendendo alla lettera questo adagio, ritiene che tutti coloro che senza loro colpa non hanno conosciuto la Chiesa e non vi sono entrati non possono essere salvati. Nel paradiso ci sarebbero davvero poche persone in rapporto a tutti gli uomini esistiti finora. Nel mondo siamo 7 miliardi oggi e i cattolici poco più di un miliardo. Senza contare poi tutti coloro che hanno vissuto prima di Cristo. Vogliamo a tal punto limitare la misericordia e la potenza di Dio che essa non potrebbe agire al di fuori dei confini visibili della Chiesa? Ma secondo questi integralisti cattolici affermare che ci si può salvare anche senza battesimo mette a rischio la natura missionaria della Chiesa e la stessa evangelizzazione. Perchè evangelizzare se sappiamo che le persone possono salvarsi lo stesso?
Gesù a coloro che ponevano la domanda: “sono pochi quelli che si salvano”, non ha risposto direttamente, ma li ha invitati ad entrare per la porta stretta. Il problema per Gesù non è di sapere quanti si salveranno, ma chi si salverà. E soprattutto io mi salverò? Gesù ribalta il ragionamento: non sei tu a dover fare il mestiere di Dio, ad aministrare la salvezza per gli altri uomini, come se tu fossi già a posto e come se dovessi dare agli altri qualcosa che hai già. Infatti, dice Gesù, non basta mangiare e bere con lui, ossia condividere la mensa eucaristica, non basta essere nel luogo pubblico ad ascoltare la sua parola, non basta partecipare agli eventi ecclesiastici. L’elezione, ossia il dono che Dio ci ha fatto di essere cristiani, non garantisce di per se stesso la salvezza.
A coloro si credono garantiti Gesù risponde con una frase davvero dura: “allontanatevi da me voi tutti operatori di iniquità”. Non basta essere chiamati a vivere la Chiesa, la comunità dei salvati, per godere della salvezza, bisogna anche compiere la giustizia. Quale tipo di giustizia? La giustizia di chi, consapevole del grande e immeritato dono della fede, traffica per condividerlo. La giustizia di chi, godendo della grazia di Dio, desidera che anche gli altri ne sperimentino l’immenso valore. La giustizia di chi, vivendo la gioia della speranza cristiana, coltiva dentro di se il desiderio che tanti ne siano animati.
Non una necessità ideologica, ma la sovrabbondanza dell’amore ci conduce ad evangelizzare! Non è la necessità della ragione, ma quella dell’amore che si innesca di cuore in cuore, come sapeva il poeta: “amor che a nullo amato amar perdona”. Il vangelo viene annunciato non per imposizione, ma per gratuita condivisione di una gioia che non può non comunicarsi a chi apre uno spiraglio nella profondità del proprio cuore.
Da oriente a occidente, da settentrione a mezzogiorno tutti i popoli del mondo siedono a mensa nel Regno di Dio: quella di Isaia è una visione universale, inclusiva, totalizzante. Tutti sono chiamati a condividere il banchetto eterno del Regno dei cieli, da primi o da ultimi, da dentro alla Chiesa o da fuori. Il problema è piuttosto di chi sta dentro: la nostra parrocchia è veramente una comunità di salvati che testimonia la gioia di essere cristiani? Oppure la nostra vita di fede è fatta prevalentemente di abitudine, di prassi ripetute ma non interiorizzate, di una religiosità fatta di riti, ma che non tocca il cuore della nostra esistenza e non ci rallegra la vita? Questa è la domanda che Gesù pone alla nostra parrocchia oggi, ed è una domanda da prendere sul serio.
La gioia sarà la cartina di tornasole del nostro ingresso nella porta stretta della salvezza.
