Immaginiamo una folla silenziosa, si ode soltanto il pianto di una donna, pianto sommesso e disperato segno di un dolore senza speranza che rievoca e supera tutti i dolori precedenti. Una donna, che ha già perso il compagno della sua vita, ora perde anche il figlio. Privata dell’affetto e della dolce consuetudine di chi le era stato al fianco per tanto tempo, ora viene privata anche del suo futuro, di colui nel quale riponeva le speranze, la sua ultima ragione di vita. Ora è una donna sola e senza protezione, perché in Israele una vedova senza figli, non avendo né casa né eredità, è praticamente ridotta alla mendicità.
La vedova che ha perso la protezione del suo sposo è simbolo di Israele che è vedova abbandonata dal suo sposo-Dio nel tempo terribile dell’esilio, in cui l’eredità della terra e del tempio in Gerusalemme non ci sono più. Ma la vedova è anche figura della Chiesa, comunità che ha perso il suo sposo, Gesù, morto sulla croce. C’è un dolore originario e misteriosamente fecondo nella Chiesa, il dolore della perdita dello sposo, che si rinnova ad ogni distacco che la comunità subisce nella sua storia, a causa della partenza di coloro che le sono stati pastori e padri. Eppure senza questo dolore la Chiesa non è Chiesa: gli apostoli non avrebbero incendiato il mondo con il vangelo, se Gesù non fosse partito da loro e la comunità cristiana non cresce nella fede e nella speranza senza passare attraverso il distacco da coloro di cui crede di non poter fare a meno.
Inoltre questo dolore è fecondo perché verrà riscattato. Infatti Gesù è risorto e un anticipo della potenza di questa resurrezione si ritrova nella potenza con cui ordina al figlio della vedova: “Ragazzo, dico a te,alzati”. La parola potente di Gesù non solo richiama alla vita, ma anche rigenera la parola del ragazzo e spezza il silenzio muto della folla. Nuove parole si accavallano e si espandono: “Dio ha visitato il suo popolo. Dio ha suscitato un grande profeta tra noi”. La parola della resurrezione vince il silenzio della morte. La vedova ha ritrovato il suo figlio e contemporaneamente il suo sposo: Dio che da la vita senza fine nel suo Figlio Gesù. E la folla, ormai non più divisa tra chi seguiva Gesù e chi seguiva il corteo funebre, tutta insieme proclama la sua fede nel Signore.
Questa folla è figura della Chiesa, invitata a ritrovare la fiducia nella parola di Dio, parola potente. Il suo sposo è sempre vivo perché è risorto e guida la sua Chiesa. I papi cambiano ed ogni volta sembrano dominare paura ed incertezza eppure lo Spirito ci sorprende con energie nuove e con personalità ogni volta tanto diverse. I parroci cambiano ed è un dolore grande, più ancora che per i meriti pastorali, per quell’affetto umano che segna i nostri rapporti e che li vorrebbe eterni. Poi ci sono i dubbi per il futuro, le sfide che sembrano insuperabili senza la guida a cui ci si appoggiava fino a ieri. Come fare senza di lui?
Come hanno fatto gli apostoli senza Gesù? Hanno avuto fiducia nella parola di Gesù risorto, che gli aveva promesso lo Spirito Santo, quello Spirito che sempre ci accompagna, ci consola e ci da la forza. Che rinnova per noi quella parola che il Signore ha pronunciato per la vedova: “Non piangere”. Il Signore invita anche noi a non piangere, ma ad avere fede nella sua parola potente che cambia la realtà e apre una nuova fecondità alla Chiesa. È Gesù a riconsegnare il figlio guarito alla vedova, è Gesù a rendere feconda la nostra comunità, a renderla missionaria e capace di generare la fede nei ragazzi, nei giovani e nelle tante persone che incontriamo nella vita pastorale della nostra comunità. È Gesù a darci la speranza e la forza di non mollare, a rialzarci nei momenti di svilimento, a non avere paura delle sfide che il futuro riserva. Le difficoltà, come sempre, non mancheranno. Ma una vita senza difficoltà e senza sfide che vita è? Certo non è la vita cristiana. Noi siamo cristiani e sappiamo camminare con fiducia anche nelle svolte spesso improvvise che la vita riserva.
