“Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.” C’è una sequenza di verbi il cui soggetto è Gesù. Prendere, il pane, recitare la benedizione su di esso, spezzarlo, darlo ai discepoli: si tratta delle azioni che Gesù farà nell’ultima cena, con quel pane e quel vino che egli istituisce come il suo corpo e il suo sangue, la sua vita interamente donata ai discepoli e al mondo, per sempre. Qui, con la moltiplicazione dei pani, viene anticipata e significata in modo misterioso l’eucarestia.
Al centro di queste azioni, c’è un gesto importante per il significato simbolico che intende trasmettere: Gesù alza gli occhi al cielo. Ciò che Gesù qui sta facendo è in profonda comunione con Dio Padre. In questo pane che egli moltiplica, e quindi nel pane dell’eucarestia, Gesù trasmette tutta la vita di Dio suo Padre, quella vita che sazia fino alla sovrabbondanza.
Non a caso dopo che i 5000 uomini hanno mangiato rimangono 12 ceste. Il numero dodici indica totalità, il dono totale che supera in modo sovrabbondante ogni attesa e bisogno umano. Solo Dio riempie le attese del cuore in modo assolutamente sovrabbondante e incalcolabile e Dio è tutto contenuto in questo dono semplice e povero, in questo pane in cui Gesù si offre interamente per noi. L’Eucarestia può saziare davvero il nostro bisogno di amore e di infinito, il nostro bisogno di Dio, perché è l’unica realtà di questo mondo in cui Dio sia davvero interamente contenuto, l’unica presenza concreta e materiale di Dio con noi, che ci orienta alla nostra destinazione ultima di Figli di Dio. Il pane eucaristico è il primo segno di una creazione radicalmente rinnovata, dove Dio è tutto in tutti.
In questo modo l’Eucarestia è anche in grado di guarirci dalle ferite del peccato, che vuole trovare l’infinito nelle cose limitate e ha paura della morte. Tutti i peccati degli uomini nascono da una ricerca ansiosa di infinito: chi la cerca nel potere, chi nel piacere, chi nell’avere. Ma questi sono tutti beni finiti e limitati che non possono soddisfare il cuore e lasciano una sensazione di vuoto che deve essere colmata in forme sempre più estreme. Come certi politici possono cedere a forme di corruzione così devastante senza rendersene conto e con la coscienza (quasi) a posto? Come si arriva alla dipendenza nei confronti della droga, del sesso? Come si può perdere tutto il proprio stipendio nel gioco d’azzardo con il miraggio di una vincita impossibile?
L’eucarestia ci guarisce da tutte le ferite e ci preserva da questi pericoli, perché ci sazia, ci consola e ci da forza. Ci fa comprendere che la vita cristiana non è uno sforzo morale freddo e triste, ma è la lieta e calda compagnia d’amore di un Dio che si fa quotidianamente nostro compagno, che entra nelle nostre ferite per sollevarci dai dolori e farci camminare speditamente nella Sua volontà.
Se gli uomini, se i ragazzi in particolare si rendessero conto del dono grande che hanno a portata di mano ogni domenica! Come introdurli a questo mistero? Prima delle regole e delle parole contano i fatti. Dobbiamo riscoprire noi adulti l’eucarestia come un appuntamento bello e desiderato. Come un incontro con Dio di cui non possiamo più fare a meno. Come di un oasi di serenità e fiducia in mezzo al deserto delle prove. Come una fonte d’acqua fresca in una giornata assolata d’estate. Solo con la testimonianza umile e semplice di non poter vivere senza domenica e senza eucarestia, figli e nipoti potranno intuire la posta in gioco di questo dono, l’esperienza dolce e profonda, quasi fisica, di un Dio che entra in noi.
