Immaginiamoci la scena: scribi e farisei vogliono incastrare Gesù e gli portano una donna colta in flagrante adulterio per vedere come si comporterà con lei. Infatti se la condanna alla lapidazione, secondo la pena prevista dalla legge mosaica, viola il diritto romano, secondo cui gli ebrei non potevano eseguire una pena di morte. Se invece non la condanna, allora trasgredisce la legge di Mosè! Come reagisce Gesù?
Scrive per terra, probabilmente i nomi dei peccatori, secondo la profezia di Geremia: “Coloro che si allontanano da me (jhwh) saranno scritti per terra” (Ger 17, 13 LXX). Secondo Geremia tutto il popolo è divenuto peccatore. L’adulterio della donna diviene così il segno di una colpa da cui nessuno si può dichiarare esente e Gesù invita i suoi interlocutori a rendersi conto che la legge di Mosè mostra il peccato di tutto il popolo e non solo di alcuni.
Si comprende bene allora l’invito di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”: è l’invito a guardarsi dentro, a comprendere che chi pone in esecuzione la legge mosaica dovrebbe prima di tutto condannare se stesso, perché anch’egli ne è un trasgressore. A questo punto Gesù ribalta totalmente la logica: non si tratta di condannare, ma di salvare. Il padre non ha mandato suo figlio per condannare il mondo ma per salvarlo.
Di fronte alla donna, ormai lasciata sola dai suoi accusatori, Gesù dice: “neanch’io ti condanno”. Gesù non è venuto a rinfacciarle le colpe, ma a liberarla dalla morte. In questo modo ha salvato non solo la donna dall’imminente condanna a morte, ma anche i capi del popolo dalla loro pretesa di essere giusti davanti a Dio e il ha riportati all’umile, amorosa consapevolezza della propria indegnità di fronte a Dio e al perdono del loro prossimo, fragile e peccatore. Perdonando la donna, infatti, gli scribi e i farisei salvano loro stessi, perché entrano attivamente dentro all’amore di Dio, che da questo momento potrà agire anche nella loro vita.
Con il perdono Gesù porta l’acqua dell’amore di Dio nel deserto della vita umana. Il perdono è come un nuovo Esodo, una nuova uscita dalle acque del mare, che rappresenta il male; il perdono è come un acqua che disseta il popolo, che cammina nell’aridità del deserto. Il perdono nasce dalla fiducia in un Dio che dopo aver creato è capace di ri-creare in modo nuovo e radicale l’esistenza, la vita e le relazioni compromesse dal peccato, come afferma il profeta Isaia nella prima lettura:
<<Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi>>.
Il perdono e la riconciliazione sono un dono di Dio, non un semplice frutto della buona volontà dell’uomo. Grazie all’amore di Dio che Cristo ci manifesta sulla croce, li dove muore perdonando i suoi accusatori e carnefici, anche noi siamo resi capaci di perdonare e di operare la riconciliazione. Bisogna crederci con tutte le nostre forze, sia nelle nostre famiglie che nella società. Viviamo una società divisa in categorie, frantumata in interessi di parte e gruppi di potere, indebolita dagli odi delle fazioni e dal reciproco, quotidiano scambio di accuse. Quando re-impareremo a esercitare il dialogo, l’accordo, il buon compromesso? Ma questo non si può realizzare, se prima non si disarmano gli spiriti, per sopire la rabbia e operare la riconciliazione.
