L’arma del potere, oggi come una volta, è di contare. Censire persone, terreni e beni per le tasse sono strumenti da tempo conosciuti. Oggi si sono aggiunti le nuove forme di censimento come i sondaggi, i nuovi oracoli del potere di oggi, che finiscono per condizionare anche le alleanze e i programmi politici. Infine i social network aggiungono un potere ancora più grande, perché sono in grado di fornire informazioni sulla persona, la sua storia, le sue esperienze, le sue amicizie e amori, i suoi gusti e hobby, i suoi divertimenti. Sono informazioni preziosissime che stanno ormai diventando l’oro dei nostri tempi, perché chi le possiede può orientare la pubblicità, fare indagini per inventare nuovi beni di consumo, e forse anche comprendere e modificare gli stili di vita delle persone.
Chi può contare la totalità della informazioni personali, è tentato di possedere il futuro e anche di modificarlo: costoro sono i nuovi imperatori dei nostri tempi.
Anche Gesù si fa censire, ossia accetta di sottomettersi a questo potere umano facendosi contare come ogni altro uomo che nasce sulla faccia della terra e nello stesso tempo, così facendo, inserisce nel mondo i germi di un potere totalmente diverso.
Egli infatti compie nel mondo una promessa che nessun censimento potrà mai registrare, la promessa di una discendenza tanto numerosa che non si può contare, come i granellini di sabbia o le stelle del cielo. Come solo Dio può contare gli infiniti spazi dell’universo, costellati di galassie, così solo Dio può contare la discendenza di Abramo, quella promessa che si compie in Gesù, figlio di Dio fatto carne e in ogni uomo che in Lui è chiamato a diventare figlio di Dio.
Inoltre a differenza dell’imperatore umano, che può contare i suoi sudditi e dunque ragiona con i numeri senza interessarsi delle singole persone, il vero re è universale, perché non può contare le sue pecorelle e nello stesso tempo è il pastore che, a somiglianza di Davide, umile pastorello, si prodiga per strappare la pecorella smarrita dalla bocca dell’orso e del leone (1 Sam 17, 34 – 35). Questo pastore sa che i numeri sono sempre una tentazione perché trasmettono l’impressione di un controllo sulla realtà che all’uomo non è disponibile e allora sceglie di interessarsi di ciascuno, facendo arrivare non a tutti genericamente ma a ciascuno singolarmente il suo Vangelo.
E come pretende di arrivare a tutti e a ciascuno, più di qualsiasi potente, se non ha strumenti di potere? Egli infatti non conta, perché è solo un umile pastore, un piccolo bambino che viene fasciato e deposto in una mangiatoia perché non c’era posto in una stanza più grande e accogliente. Se non conta non ha neanche il potere di contare tutti gli indirizzi delle persone per avere il potere di trasmettere loro qualche informazione direttamente. Dunque come farà?
L’unico modo per far arrivare a ciascuno singolarmente il suo Vangelo non è contare, ma raccontare. Al conto del potere umano si oppone il racconto del divino Vangelo, che non ha bisogno di dominare le informazioni per arrivare a tutti, ma solo di testimoni in grado di ricevere e ritrasmettere il racconto, ciascuno con la sua vita.
Il racconto degli angeli, che indica il segno del salvatore nella città di Davide, Betlemme, in un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia, indica una potenza di pace che è frutto dell’amore di Dio e che è il riflesso terreno della stessa gloria di Dio: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama”. Il racconto degli angeli diviene poi racconto dei pastori, testimoni diretti di questo segno. Essi prendono in carico il Vangelo per trasmetterlo a loro volta, e divengono partecipi di quella caratteristica “pastorale” del re divino, che è il desiderio di coinvolgere ognuno in questo racconto di pace e di speranza, senza che nessuno sia escluso.
Infatti i pastori che sono davanti al bambino adagiato nella mangiatoia, non si limitano a constatare il compimento di un segno, ma ne vengono nutriti. La mangiatoia è il simbolo di un racconto che nutre l’anima di una vita capace di irradiarsi interno a se. Il vangelo passa attraverso la vita di ciascuno di noi per arrivare a tutti. È una rete di relazioni che si diffonde per una potenza interna, perché questo racconto nutre e da la vita e così raggiunge ciascuno nella concreta situazione in cui si trova.
Da questa potenza irradiante del Vangelo che raggiunge tutti e ciascuno ricaviamo almeno due conseguenze valide per la nostra vita. La prima è che non possiamo sottrarci alla potenza della testimonianza cristiana, se veramente abbiamo Dio nel cuore e lo sentiamo presente. È una testimonianza spesso fondata più sui fatti e sulla vita che sulle parole, ma ciò non impedisce che qualcuno, stupito dal nostro modo di essere, ci chieda di rendere ragione della speranza che è in noi anche con le parole.
La seconda è che il vangelo implica un servizio a tutti e a ciascuno, e un modo specifico di intendere il bene comune come bene di tutti e di ciascuno. Una generazione di politici ci ha abituati a pensare che le decisioni debbano essere prese a partire dai sondaggi di gradimento delle persone. Se dovessimo fare tutti così, gli insegnanti non insegnerebbero più, i genitori non educherebbero, gli imprenditori non avrebbero aziende, i sindaci non governerebbero più, e su tutto e su tutti vigerebbe la legge del più forte. Abbiamo bisogno di re-imparare il linguaggio del bene comune, che implica da un lato la condivisione dei sacrifici, dentro ad una fondamentale fiducia nel futuro, e dall’altro il rispetto per le cose che appartengono a tutti, dai banchi della parrocchia e i muri della scuola fino al Presidente della Repubblica. Il presidente della Repubblica infatti, come i muri della scuola e i banchi della parrocchia non sono di tutti e quindi di nessuno, ma sono di ciascuno e quindi di tutti.
Non saranno il gatto e la volpe, che invitano Pinocchio nell’inesistente Paese dei Balocchi, ad aiutarlo, ma il buon Geppetto, che gli indica una strada di sudore, onestà e speranza. Così i nostri padri e i nostri nonni sono usciti dai disastri della seconda guerra mondiale, così noi usciremo dal deserto della crisi economica che, anzitutto, è una crisi del bene comune.
